To wear or not to wear?
07 Giugno 2010
In certi casi, un interrogativo del genere è decisamente d’obbligo.
Premetto che il mio feticismo nei confronti delle calzature è in grado di raggiungere ogni giorno nuovi confini: resistere al fascino estetico di certe scarpe è davvero impossibile, sia che io abbia modo di vederle (e toccarle) dal vivo, sia che mi limiti a sfogliare cataloghi virtuali di boutique online.
Sempre più spesso mi ritrovo ad osservare modelli incredibili per forme, colori, giochi d’incastri tacco-punta-lacci che sembrano quasi sfidare le leggi della gravità. Il che mi riporta all’interrogativo iniziale, ossia, belle per belle (e facilmente scomode per scomode), certe scarpe vanno indossate o semplicemente ammirate?
Terreno fertile per designer che vogliano cimentarsi in nuove sfide, e darsi magari visibilità presso un pubblico ancora inesplorato, la moda offre golose occasioni per dare vita a progetti paralleli che in certi casi si evolvono in veri e propri fenomeni di successo.
Se la moda è considerata da alcuni un’autentica forma d’arte, chi meglio la può affrontare, appunto, di un designer? O un architetto! Basti pensare all’ormai solida partnership tra Melissa, produttore brasiliano delle famosissime plastic shoes, e l’archistar Zaha Hadid.
Ed è quello che succede anche con United Nude, brand nato dalla collaborazione tra lo shoe designer Galahad Clark e l’architetto Rem Koolhaas che propone tacchi scultura e silhouette da far invidia al più moderno degli edifici di un’asiatica Shanghai o di un’occidentale New York.
Altro brand che si dà a forti sperimentazioni in fatto di materiali e forme avanguardistiche è l’inglese CHAUHARLEE: scarpe come oggetti d’esposizione, quasi più da conservare in una teca di cristallo che da indossare. Forme futuristiche, figure quasi aliene, dove Bauhaus e trompe l’oeil si mescolano per dare vita ad autentici pezzi da collezione.
Come negare che questa sia arte?