Andy Warhol, Vetrine al PAN
Recensione
08 Maggio 2014
Come tutti sanno ormai, Andrew Warhola, meglio conosciuto come Andy Warhol, l'artista di Pittsburgh, New Yorkese di adozione che con le sue factory e le sue serigrafie è diventato uno dei meggiori esponenti della Pop Art, è tornato in Italia. Dopo Milano, due sono le mostre dedicategli, divise tra Roma e Napoli. Quella della capitale Partenopea, curata da Achille Bonito Oliva, in particolare è stata al suo lancio un vero successo, a ridosso delle vacanze pasquali, grazie alla bella iniziativa di rendere le prime tre giornate gratuite, provocando lunghe code di appassionati e non, che grazie a questo saranno riusciti ad avvicinarsi ancora di più all'arte moderna.
Le opere esposte al Palazzo delle Arti di Napoli sono più di 150, sul tema del legame tra Warhol e Napoli, grazie alle sue visite negli anni '70 e all'amicizia con il gallerista napoletano Lucio Amelio.
Si intuisce infatti una doppia lettura della mostra: quella appena citata del rapporto dell'artista con la città, visibile attraverso la scelta di esporre ritratti di famosi napoletani, quali Peppino di Bernardo, Graziella Lonardi Buontempo o Ernesto Esposito, i maestosi headline work basati sull'indimenticabile prima pagina del quotidiano “Il Mattino” del 23 Novembre 1980 intitolata “FATE PRESTO” in seguito al terribile terremoto in Irpinia, ma anche le sue Napoliroid e la serie di dipinti “Vesuvius”. L'altra interpretazione intuibile è quella del progresso della carriera di Andy Warhol, dall'inizio della mostra, dove sono esposte una serie di opere su carta e illustrazioni di copertine di album, risalenti agli anni '50, quando Warhol lavorava come vetrinista e grafico pubblicitario a Madison Avenue, da cui trae anche il nome della mostra: “Vetrine”, fino all'evolversi della sua tecnica serigrafica nei primi dipinti, le riproduzioni ossessive, le influenze che si definiscono essere sempre più quelle dei suoi lavori più popolari: quelle della grande distribuzione e del consumo di massa che la sua arte “industriale” richiama riproducendosi come un prodotto da vendere, con la quale la mostra si chiude.
È stata però usata la parola “intuibile” non a caso, perché benché la opere di Warhol bastino per emozionare, dispiace non aver trovato un'organizzazione non proprio all'altezza di una mostra di questa importanza. Sul chaos e l'incanalamento della folla si può discutere, non sono elementi purtroppo molto controllabili quando ci sono iniziative come quella dei primi tre giorni. Non c'è stato però un percorso di mostra ben chiaro, sia fisicamente per quanto riguarda la logistica che nell'esposizione e nella valorizzazione delle opere stesse, quasi “soffocate”, con spiegazioni poco chiare e distanti, cronologie assenti e a volte nelle stanze successive.
Non è ben chiaro se questo sia da attribuirsi al luogo che non rende giustizia ad una mostra come questa o ad una pecca organizzativa, ma per aver visto Andy Warhol in occasioni precedenti, è certo che si possa fare di meglio.
I presupposti erano però ottimi, attribuibili di sicuro ad A.B.Oliva, non a caso uno dei migliori curatori d'Italia, sfruttare il parallelo di un immaginario tipicamente napoletano come ad esempio quello del “femminiello” e il lavoro su drag queen e trans del 1975, “Ladies and Gentleman” , o quello con la musica esponendo vinili delle collaborazioni di Warhol con cantanti e gruppi rock, per creare una liason tra Napoli e New York, come luogo di vivace cultura, multirazzialità, bello e kitsch, ricco ma anche povero. Un confronto che aveva rilevato anche John Turturro quando aveva girato il suo film “Passione”.
Resta comunque una mostra di un'icona assoluta dell'arte e non solo, quindi scavalcando i difetti che può avere, rimane godibile tenendo ben a mente le diverse interpretazioni e il legame con Napoli.
Fino al 20 Luglio 2014 al PAN di Napoli.
www. palazzoartinapoli.net