Perché i musei italiani stanno soffrendo un'insolita carenza di personale
Nonostante il numero di visitatori sia tornato ai livelli pre-pandemia
25 Aprile 2023
Sempre più istituti museali italiani si vedono costretti a chiudere per interi periodi, ad esempio durante le festività, o applicare l’orario ridotto, a causa della mancanza di personale. Gli Uffizi sono rimasti chiusi durante il ponte di Ognissanti, in cui erano previsti migliaia di visitatori; anche al Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria e in quello di Taranto ci sono state chiusure inattese, in periodi di grande affluenza di turisti, così come al Museo della Città di Rovereto e in quello di Spoleto. «Bisogna affrontare e risolvere subito il problema del personale di musei e luoghi della cultura» ha segnalato il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, che con oltre un milione di utenti all’anno è il museo più visitato d’Italia, ma nonostante questo nel 2022 ha visto una riduzione del suo personale di 9 punti percentuali. Nel museo fiorentino in circa dieci anni sono andati in pensione oltre 160 addetti, a fronte di poco più di 30 nuove assunzioni. Una carenza di personale, questa, «sicuramente condivisa da molti altri musei, archivi, e biblioteche», precisa Schmidt. «Il numero degli addetti nei musei continua a contrarsi. [...] È ovunque ridotto all’osso». Le conseguenze della mancanza di personale sono diverse, e vanno dalla regolare chiusura dell’intero istituto museale o di una sua sezione, alla difficoltà di garantire un’adeguata sorveglianza alle sale, fino all’impossibilità di spiegare ai visitatori le mostre in corso. Questo è un problema da non sottovalutare soprattutto perché, negli ultimi anni, i visitatori dei musei e del patrimonio artistico italiano sono aumentati tantissimo, crescendo di oltre il 30%.
I dipendenti dei musei statali sono circa 10mila, ma si stima dovrebbero essere almeno 9mila unità in più. Parte del personale mancante è stato integrato con collaborazioni esterne, con contratti però più precari e meno stabili di quelli dei dipendenti ministeriali. «Non c’è turnover e non escono i concorsi. Il risultato è che si esternalizza tutto,» ha dichiarato un portavoce dell’associazione Mi riconosci?. La mancanza di personale nei musei ha diverse cause. La più citata riguarda i minori investimenti dello Stato nel settore culturale, ma c’è anche un problema di reclutamento degli addetti. La riforma Franceschini del 2015, sebbene accolta positivamente dagli istituti museali, non è stata in grado di risolvere la cosa: ha infatti confermato che l’assunzione del personale dei musei statali non è a carico delle singole strutture, ma del Ministero della Cultura, la cui gestione dell’organico è però ritenuta dagli addetti ai lavori non al passo coi tempi. I bandi ministeriali sono molto generici e inadatti al livello di specializzazione richiesto dai musei – ad esempio meno dei due terzi degli istituti museali italiani possono contare su personale che parli inglese e ancora meno francese, tedesco e spagnolo - e le competenze digitali sono carenti.
«Ci rendiamo conto che non è una situazione tollerabile. La platea dei dipendenti è molto sottodimensionata, quasi dimezzata, con un’età media che si avvicina ai 60 anni per i dipendenti interni al Ministero, e in alcuni uffici i pensionamenti sono superiori agli ingressi. Così è impossibile svolgere le funzioni. Il piano è noto, le proteste non sono altro che una presa d’atto che è chiara anche a livello politico», hanno detto ad Artribune fonti del Ministero della Cultura. Eike Schmidt ha proposto come soluzione a parte di questi problemi una maggiore autonomia dei singoli musei, da estendere anche all’assunzione e gestione del personale. Altri direttori e direttrici temono però che un reclutamento gestito dal singolo museo finisca per pesare economicamente sull’istituzione museale, ma a quella nazionale preferirebbero comunque una direzione quantomeno di ordine regionale. «Bisognerebbe mappare la situazione. Il Ministero conosce perfettamente la situazione, eppure non raccoglie i dati,» aggiunge l’associazione Mi riconosci? «Questo sarebbe un buon punto di partenza.»