Il mecenatismo di Swatch alla Biennale di Venezia
Abbiamo visitato il padiglione del brand tra artisti emergenti e un diorama di 15 metri
26 Aprile 2022
Venezia è spledida, almeno finchè non ti accorgi di soffrire il mal di mare. Eppure se c’è un deterrente valido per sopportare la nausea causata da un agitatissimo mare in una giornata di pioggia in cui il vostro traghetto ondeggia verso il cielo come se volesse toccarlo, è proprio la Biennale di Venezia, la prima curata da una donna in un centenario di storia, Cecilia Alemani. In occasione dell’evento europeo più atteso nell'ambito dell’arte contemporanea internazionale e in quella che è, problemi di logistica a parte, la città più romantica del mondo, Swatch ha presentato il suo padiglione, un’operazione di mecenatismo che il brand porta avanti dal 2011 selezionando e invitando artisti, affermati o emergenti, a esporre negli spazi della Serenissima. Nelle ultime sei edizioni della Biennale il marchio svizzero di orologi figura come uno dei principali sostenitori, oltre che, come ci ha riferito il presidente della manifestazione in persona Roberto Cicutto, “creatore e incoraggiatore d’arte”. Quest’anno, dopo aver portato alla laguna nomi come Joe Tilson e Ian Devemport, un padiglione apposito accoglie le opere di 5 selezionatissimi artisti, mentre accanto, nei Giardini, un’opera mastodontica racconta Venezia da un punto di vista del tutto inedito.
C’era Marcelot, artista svizzero-brasiliano che armato solo di fogli di giornale e corda ha dato vita a due sculture che volevano essere insieme celebrative e provocatorie, il leone simbolo della città e il busto di Napoleone che ne è stato storico avversario - «avevo trasferito il mio ufficio nella mia camera per finire tutto in tempo», racconta. C’era Navin Rawanchaikul, che intervistato da Carlo Giordanetti, figura di spicco del management di Swatch nonché CEO dell’Art Peace Hotel di Shangai dove il brand ospita artisti da tutto il mondo, ha raccontato di come e quanto il suo lavoro parlasse di ‘identità’. Uno dei principali artisti internazionali asiatici che già nel 2021 aveva esposto a Roma al MAXXi, dove Giordanetti lo aveva apprezzato per la prima volta, che in occasione della sua prima visita a Venezia, in piena pandemia, ha studiato Il Milione di Marco Polo - con cui sente quasi di essersi scambiati di posto (dall’Italia all’ Asia lui e secoli dopo dall’Asia all’Italia Navim) - e ha osservato come la città sia sempre stata un crogiolo di scambi e di migranti: africani, bengalesi, pakistani arrivati in città per costruirsi una nuova vita. Il risultato è un mega diorama di 15 metri per 4 dove emergono in 3D personaggi che raccontano la loro storia di migranti, affiancati da visi locali, di gente del posto nata e cresciuta tra gli stessi canali; viene messo in luce come come queste realtà così diverse riescano ad amalgamarsi in una città tanto piena di turisti che i residenti passano inosservati. Immancabile nel caleodoscopico 'collage' Marco Polo, a cui Navin ha scritto persino una lettera, in cui lo ringrazia per la sua storia meravigliosa, tanto che è proprio dal nome originale de Il Milione che dono il titolo all'opera The description of the world. Gli altri 3 artisti raccontano invece di mondi fantastici, opere che parlano di evasione in un periodo storico in cui la realtà sembra un incubo da cui fuggire la risposta sembra essere nell’astrattismo, nel surrealismo e, a volte, nel passato: i Buddha in resina e carta di Hoyoon Shin, i personaggi cartooneschi di Xue Fei, il simbolismo pandemico di Tang Shu, le forme astratte e infantili di Landi.
Guardare un’opera d’arte è un’esperienza personalissima: la storia, i retaggi culturali, l’ideologia di ciascuno si scontrano con il pensiero, non sempre esplicito, dell’artista, a volta lo abbracciano, altre lo respingono. Ma quando è l’artista che ti spiega come quello stesso pensiero raggiunge un supporto materico, è tutta un’altra storia: da Navim a cena che ti spiega che la sua maglietta riporta il nome indiano della città d’origine di sua madre, a Marcelot che con un’inglese stentato e un sorriso caloroso ti passeggia a fianco mentre visita la Biennale. Infondo l’arte non è forse questo? Il passaggio di un’emozione impresso nel tempo, in modo che possa durare magari per sempre, un po’ come i ricordi. Beh, quelli di quel weekend veneziano sono stati molto belli.