A Guide to All Creative Directors

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«L’equilibrio degli opposti» Intervista a Louis Gabriel Nouchi
È difficile farsi una reputazione a Parigi. Ma Louis Gabriel Nouchi ci è riuscito. E questo per la sua capacità di creare una moda trasversale, che mescola alla lettura dei trend e alla creazione di abiti in senso stretto riflessioni letterarie e politiche identitarie per parlarci del nostro mondo. È una moda meta-autoriale per alcuni versi, che si riferisce a chi la crea, a chi lo ispira e a chi vuole ispirare in collezioni precise, portabili ma sempre illuminate da un lampo d’avanguardismo. «Credo che aggiunga un livello di lettura molto personale», ci ha detto il designer, «parto da impressioni, sentimenti, sensazioni, che voglio tradurre nel mondo della bobina. Leggo molti romanzi. Non biografie o saggi. Mi piacciono le storie. È anche così che si può creare un universo logico completo». La sua ultima collezione, ispirata a 1984 di George Orwell, non è solo un vivido esempio della sua abilità nel traslare nel tessuto i temi di opere letterarie che risuonano con il pubblico contemporaneo, ma dimostra anche una singolare capacità di percepire lo zeitgeist corrente e le sue perturbazioni. Dopo tutto il padre di tutti i romanzi distopici, che dipinge un mondo dominato tecnologicamente e culturalmente da uno “Grande Fratello” totalitario, sta prendendo forma sotto i nostri occhi in questi mesi e in quelli scorsi ha fornito a Nouchi una solida base creativa. Quando l’abbiamo raggiunto a Parigi all’indomani del suo show, lui stesso ci ha descritto 1984 come una fascinazione di lunga data: «È da anni che voglio lavorare su questo monumento. In realtà, le ultime tre collezioni sono state create per arrivare a questo argomento». Indubbiamente, l’ultimo show ha toccato temi contemporanei che altri designer forse non avrebbero avuto lo spirito provocatorio di contemplare: «Credo davvero che quando si fa moda si parli della società, anche se si tratta di un punto di vista personale. Mi affascina il modo in cui le persone si vestono. Mi piace stare da solo in una terrasse a Parigi e osservare la gente che passa per strada. Mi piace anche il fatto che una passerella sia un “fantasma” della realtà, una fantasia che deve restare avvicinabile in un certo modo».

Nouchi è particolarmente attratto dalla natura ciclica della storia e da come gli eventi passati facciano eco nel presente: «Sono ossessionato dal fatto che vedi sempre relazioni tra ciò che sta accadendo ora e un riferimento passato, come se la storia si ripetesse. La scelta non è innocente. Sono sempre personaggi outsider, storie straordinarie e situazioni eccezionali che ti costringono a confrontarti con te stesso e pensare, ‘Cosa avrei fatto?’». Come ci ha spiegato Nouchi: «Partiamo da parole chiave che dobbiamo tradurre in immagini, traduciamo queste immagini in tessuto e forma», e i termini che incapsulavano l’essenza del romanzo per questa stagione erano “uniforme,” “freddo,” “amore impossibile,” “piaceri proibiti” e “pericolo.” Nouchi ha proseguito: «Se si estende questa idea, si trovano tutte le connotazioni tessili e formali che fanno sentire e pensare automaticamente a queste parole: lingerie, velluto, abbigliamento da lavoro, kaki, le punte per il pericolo». Da queste ha sviluppato tessuti, silhouette e dettagli che potessero evocare l’universo cupo e terribilmente vicino di 1984. Il risultato è una collezione che mescola elementi ispirati alla lingerie, estetiche militari e design funzionali, con tessuti come velluto e spine per incarnare ribellione e sensualità. Questa prospettiva è fondamentale nel suo lavoro che, come ci ha spiegato, non vuole restituire nella moda ogni singolo dettaglio tematico dei libri, il che sarebbe pedantesco, ma renderne l’elusiva impressione, quella sensazione breve come un battito di ciglia che viene quando pensiamo a un libro che abbiamo amato. Per lui «i libri provocano emozioni intense—quasi fisiche. È questa la sensazione che cerco di catturare». Attraverso le sue collezioni, che descrive sull’orlo di una «delicata stranezza», Nouchi invita le persone a vedere la bellezza nell’inaspettato e ad abbracciare il potere dell’individualità.
Ma la letteratura è sempre stata una pietra miliare nel processo creativo di Nouchi e nel DNA di LGN. Per lui, le storie non sono solo fonti di ispirazione, ma la piattaforma di lancio di nuove riflessioni che consentissero alla sua mente curiosa di interpretare la realtà. «La lettura è sempre stato il mio modo di fuggire dalla realtà, inventare nuovi mondi e sognare», ci ha detto. A differenza dei film, che sono fugaci, i libri lasciano un'impressione duratura su di lui. «Ho ricordi più forti dai libri che dai film. Il mio primo Murakami, Marguerite Duras, Il Signore degli Anelli—hanno formato il mio mondo». Forse uno dei più interessanti forti lettori della moda, in un settore i cui professionisti tendono sempre di più a preferire i coffee table books illustrati ai classici della letteratura, Nouchi ci ha confidato di rileggere spesso i romanzi che lo hanno colpito di più – un qualcosa di strano per chi non legge ma di abituale per chi invece, ruminando sulla parola scritta, apprezza come con l’avanzare dell’età e lo stratificarsi dell’esperienza il senso del libro cambi e si sposti come un cappotto che si adatta col tempo alle forme del corpo di chi lo indossa per anni anche la metafora che lui ha usato è diversa: «Quando li rileggo, mi piace confrontare i miei nuovi sentimenti o impressioni con quelli passati. Per me è esattamente come un capo d’abbigliamento; puoi avere diverse interpretazioni dello stesso pezzo a seconda di come lo presenti, di chi lo indossa e perché». I design di Nouchi sono definiti dall'interazione di opposti, una dualità che lui attribuisce alle sue esperienze personali: «Bilanciare gli opposti fa parte della mia personalità e della mia vita», ci racconta. «Mi sono sempre sentito come un outsider—diverso, ma volevo essere integrato nella società. Questo può spiegare la mia ossessione per la creazione di capi che siano un mix tra armatura e rifugio». Questa dinamica si manifesta in pezzi che emanano sia sensualità che praticità. I suoi design non sono eccessivamente provocatori: provare a far sì che il suo pubblico e la sua clientela si esprimano attraverso i suoi abiti significa anche rifiutare l’effetto di facile shock o pruderie. «La sensualità non è una cosa diretta», ci ha spiegato. «Riguarda più l’essere a proprio agio e sentirsi sicuri nell’esprimere la propria autostima verso gli altri. Penso che questo principio vada d’accordo con le persone che non vogliono conformarsi a ciò che la società si aspetta da loro, ma vogliono comunque esprimere il loro io interiore». Questo approccio sfumato è particolarmente evidente nel suo concetto di menswear, che è la sua area di specializzazione oltre che un settore del mercato in cui «la rappresentazione del corpo è così codificata, specialmente nella moda maschile, dove i corpi degli uomini sono stati messi in scatole per così tanti anni. Mostrare la pelle è politico perché rende desiderabili parti inaspettate del corpo». Ovviamente, il brand non fa un reboot della propria identità a ogni collezione letteraria che produce – quasi il contrario: «Abbiamo i nostri codici di progettazione: lo spacco, la nostra linea di spalla per la sartoria, una certa gamma di colori, la fluidità e l'inclusività», spiega Nouchi. «Non mi sono mai posto il problema di ripetere, ripetere, ripetere... La sfida principale è stata quella di consolidare ed estendere le idee presenti nella prima stagione e di trovare un modo per comunicarle. Trovare il tono della comunicazione è stato per me più difficile del design stesso, che per alcuni pezzi non è cambiato dalla prima collezione».
Mi sono sempre sentito come un outsider-diverso, ma volevo essere integrato nella società. Questo può spiegare la mia ossessione per la creazione di capi che siano un mix tra armatura e rifugio. Mi sono sempre sentito come un outsider-diverso, ma volevo essere integrato nella società. Questo può spiegare la mia ossessione per la creazione di capi che siano un mix tra armatura e rifugio.
In questa collezione, Nouchi ha ulteriormente esplorato i temi dell’identità e della protezione attraverso i materiali. La collaborazione è stata un elemento chiave, in particolare la sua partnership con Kvadrat, un’azienda danese conosciuta per i suoi tessuti per tappezzeria con cui famosamente, per anni, ha collaborato anche Raf Simons. «È un ottimo modo per esprimere le sensazioni se riusciamo a sviluppare il tessuto fin dall'inizio. Ecco perché le texture sono così importanti per me. Traducono in realtà le parole chiave che abbiamo per ogni stagione». Il tailoring di questa collezione ha utilizzato i tessuti di Kvadrat, un omaggio alle esperienze passate di Nouchi, quando assisteva proprio Raf Simons, ed era entrato in contatto con il brand di produzione tessile per la prima volta. Inoltre, la collezione ha incluso pelle cerata, velluti devoré e altri materiali la cui texture servisse sia a elevare la narrazione che a convogliare sensazioni specifiche: «La lingerie e la biancheria intima sono i capi più intimi», ci ha spiegato. «Mostrano il nostro rapporto con il corpo, il comfort e anche alcuni codici di abbigliamento: come il fatto che non indossi mai un capo direttamente sulla pelle, ma hai bisogno di un'intercapedine, per proteggere le tue parti intime e fragili. Essere senza biancheria intima è una dichiarazione politica. Togliere il reggiseno è un atto politico per le donne. La lingerie modella anche i corpi, mi piace molto questa idea di trasformare il corpo e mettere in evidenza alcune aree: come i fianchi, il décolleté, la schiena... La lingerie ti fa pensare a qualcosa di sexy, come una versione migliore e più raffinata di un corpo nudo. La biancheria intima e i capi militari sono più legati al comfort, non si espongono agli occhi degli altri. È pura utilità: sei più caldo, più comodo, puoi muoverti più facilmente... e a me piace mescolare entrambi». Ma al di là di questi esperimenti, del gusto di evocare e tradurre sensazioni oltre che di ricomporre i contrasti, il lavoro di Nouchi riguarda da vicino un’idea precisa e programmatica di individualità: «Spero che il brand renda le persone più aperte verso se stesse e verso il mondo». Una speranza più che valida ma che con il successo del proprio brand, i conseguenti impegni e viaggi in giro per il mondo e l’evolversi delle notizie che giungono dal mondo ha creato una contraddizione per il designer che ci ha detto di non essere «mai stata così aperto al mondo, quest'anno ho girato 7 paesi in un mese» e al contempo di avere «paura di guardare i telegiornali. Sta diventando una schizofrenia! Il divario tra i milioni di informazioni visive e sonore con cui abbiamo a che fare e ciò che sperimentiamo nella realtà è così grande. Bilanciare le due cose sarà la nostra prossima sfida. Come gestiamo il nostro ego virtuale e il nostro ego reale come individui e come gruppo?» Il discorso sulla tecnologia cade a proposito dato che Nouchi, per aggiungere ulteriori elementi al già ricco nucleo tematico dello show, ha affidato la composizione dei suoi paratesti, ovvero soundtrack e show notes, all’intelligenza artificiale: «Non mi sono mai sentito attaccato o spaventato dalla tecnologia. Per me è un altro strumento per esprimere direttamente ciò che ho in mente. Volevo avere un punto di vista freddo e radicale sul mood generale di questa collezione. Quasi come una macchina. Ma come può questa meccanica ispirare sensazioni sexy e sensuali?», si domanda il designer che apprezza come lo schematismo dei modelli di linguaggio artificiali riesca ad aprirsi a combinazioni caotiche ma imprevedibilmente sensate. «Mi piace che si tratti di incidenti casuali e bellissimi che si possono controllare in un certo modo perché si ha molta conoscenza. Credo che questa possa essere la definizione di ciò che faccio»
Non mi sono mai sentito attaccato o spaventato dalla tecnologia. Per me è un altro strumento per esprimere direttamente ciò che ho in mente Non mi sono mai sentito attaccato o spaventato dalla tecnologia. Per me è un altro strumento per esprimere direttamente ciò che ho in mente
CREDITS:
Photographer Boris Camaca
Interview Lorenzo Salamone