The racist side of the NBA
Do The Right Thing
28 Aprile 2014
Triste. E’ davvero triste ritrovarsi, nel 2014, a scrivere di razzismo. Ancor di più in un ambito del genere, in quella NBA in cui l’integrazione (sembra) cosa fatta, dove i tempi delle palestre vietate ai neri (sembravano) finiti da un pezzo. Eppure il caso è troppo grande e troppo condizionante per passare inosservato. In breve: il proprietario dei Clippers, Donald Sterling, il più longevo owner di una franchigia NBA dopo la morte di Jerry Buss, in un telefonata con la sua fidanzata, avrebbe detto di non gradire la presenza degli afro-americani nel suo palazzetto quando giocano i Clippers, riferendosi nello specifico a Magic Johnson. Il condizionale viene qui utilizzato solo perché sono ancora in corso le indagini sulla veridicità del nastro, che appare tuttavia più che autentico. Sulla questione si sono espressi in tantissimi. Baron Davis ha ricordato come Sterling non sia nuovo a parole del genere, e di come una volta in allenamento lo chiamò “bastardo”, il Presidente Obama ha duramente criticato l’accaduto. Hanno parlato MJ, lo stesso Magic (che si dice abbia espresso la volontà di rilevare i Clippers pur di far fuori un razzista dalla lega) ed ovviamente il nuovo Commissioner dell’NBA Adam Silver, che ha ribadito il suo obbligo di ascoltare tutte le parti prima di potersi esprimere. Ed i Clippers? Eh, in teoria sarebbero impegnati nella piu bella serie dei playoff, in pratica hanno perso gara 4 ed eseguito tutto il riscaldamento senza felpa della squadra, e con calzini e braccialetti neri. Purtroppo questo non è il solo caso di razzismo in NBA, e gli afro-americani non sono le uniche vittime della storia. Abbiamo raccolto 5 casi su tutti, per cercar di capire un po meglio un fenomeno che continua ad essere anche americano.
1-La “Linsanity” al contrario.
Jeremy Lin è stato il primo cinese/taiwanese a tutti gli effetti americano a giocare in NBA. La cosa non dev’essere andata giù a tutti, e mentre tra tantissime arene d’America impazzata la “linsanity” tre giornalisti (due di ESPN e uno di FOX) si divertivano in epiteti razzisti come “chink” e “bastoncino” (riferito al pene di Lin). Non ha aiutato neanche il campione Floyd Mayweather che asserì che “fosse stato nero, non avrebbe avuto tutto questo successo”. Insomma, nonostante l’NBA continui la sua espansione ad Est, non tutti sembrano apprezzare l’idea.
2-Doc River house burned down
I tweets di Jeremiah Rivers sulla vicenda Sterling/Clippers, e sull’ipotesi di boicottaggio delle pertite in casa del team, hanno riportato alla luce un bruttissimo episodio di quasi vent’anni fa. Doc Rivers (padre di Jeremiah e guarda caso coach dei LAC) si era appena trasferito in Texas, a San Antonio, quando la sua casa fu bruciata, ed il suo cane ucciso, per colpa del colore della sua pelle. Questo il tweet del figlio di pochi giorni fa “People want to #BoycottClippers because of one man? My house has been burned to the ground, animals tortured and burned as well.”
3-Tweets razzisti.
Non crediate che i tifosi d’NBA siamo dolci di sale. Certo, nessuna banana è stata mai lanciata in campo, ma a pensarci bene, forse è stato fatto di peggio. Dopo che Sebastien de la Cruz, undicenne prodigio messicano, si esibì nell’inno nazionale americano in occasione di Gara-3 delle scorse Finals tra Spurs e Miami Heat, i cinguettii dei deficienti non hanno tardato ad arrivare. "This kid is Mexican, why is he singing the national anthem. #yournotamerican #gohome" e "Miami=cute white girl sings national anthem. San Antonio= gets a little Mexican to sing it ... I thought this was America!!!" non credo meritino commenti.
4-Pat il genio ed il dress code.
Ci sono stati anche casi in cui il razzismo si è espresso in modi leggermente più velati. Lo scorso Marzo il senatore Pat Garofalo ebbe la brillante idea di dire la sua sui giocatori NBA con un delicato tweet “ Let's be honest, 70% of teams in NBA could fold tomorrow + nobody would notice a difference w/ possible exception of increase in streetcrime”. Il fatto che i giocatori NBA siano per l’80% di colore attribuisce al tweet una buona probabilità di accusa razzista. La storia del dress code è invece vecchia. Nella stagione 2005-2006 venne instituito un dress code appunto, che, in sostanza, vietava di indossare (in occasione ufficiali) qualsiasi indumento relativo alla cultura hip-hop. Ad Iverson non andò molto a genio, e magari l'episodio non è neanche da considerarsi troppo razzista, ma valeva la pena di riportare l’accaduto.
5-Il Signore Degli Anelli contro il razzismo.
Il razzismo è una bestia davvero brutta, non guarda in faccia a nessuno, nemmeno al più grande vincente della storia del gioco, a chi ha creato l’immortale leggenda dei Celtics, a chi si è visto intitolato il premio di MVP come parziale compenso di una carriera fatta di 11 titoli NBA e neanche uno da miglior giocatore della lega, nonostante lo meritasse in tante di quelle undici occasioni. La lotta di Bill Russell contro il razzismo nasce da lontano, da quando con il suo college in trasferta in South Carolina, un albergatore rifiutò la prenotazione a causa del colore della pelle dei clienti. Da quando gli venne distrutta casa da dei vandali razzisti. Tutto ciò lo ha portato ad affiliarsi al Black Power, a sostenere Ali (quando quest’ultimo si rifiutò di andare in guerra) e a non recarsi alla cerimonia per il ritiro del suo numero, il mitico 6 del signore degli anelli.