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BACK WHERE WE STARTED FROM: RAY PETRI AND THE BUFFALO CREW

BACK WHERE WE STARTED FROM: RAY PETRI AND THE BUFFALO CREW

Parlando di esordi si parla di fermento, di iperattività, paura e sgomento. Si parla di vera creatività, di un qualcosa che, se sviluppato al meglio e con un'idea vincente, andrà a influenzare ciò che accadrà negli anni a venire.

Spesso sento ragazzi giovanissimi dire che vogliono fare gli stylist, spesso questa professione non è compresa e troppe volte improvvisata. Non si arriva a fare il salto di qualità per cui uno stylist è colui che, insieme al fotografo, traduce in immagini una sensazione, un'atmosfera, uno stile, un'idea, un disagio, una gioia e così via.

I lavori migliori di questi personaggi, a mio avviso, non si giudicano in base ai marchi utilizzati, al nome della modella o del modello o del fotografo. Non esiste un buon gusto universale, né tanto meno un'oggettività. Il gusto è soggettivo e le persone che svolgono questo lavoro attraverso la cultura e la continua reinterpretazione di influenze passate, presenti e future, sono quelli che riescono al meglio.

Un bravo stylist è colui che riesce a cogliere dei dettagli dalla vita quotidiana, da ciò che lo circonda, da un libro, da un film, da una mostra come un input, per poi costruire attorno una storia fatta di immagini, abiti e luci.

Tutto ha sempre un inizio, tutto comincia da una necessità, un guizzo, una volontà. Nessuno ha mai scritto la storia dello styling e spesso i ragazzi non conoscono il punto di inizio di una carriera tanto sognata.

Gli stylist non sono sempre esistiti, sono stati una conseguenza del successo delle riviste di moda e piano piano hanno preso piede e importanza nel campo dell'editoria e non solo.

In pochi, specialmente in Italia, sanno dove tutto iniziò. L'inizio va sotto il nome di Ray Petri e della sua Buffalo Crew.

 

Londra, 1984. Il signor Petri negli anni precedenti si occupava della vendita di vecchi gioielli e monili a Camden Road. C'era stato il fenomeno del punk, della customizzazione libera e anarchica degli abiti, la strada aveva preso piede e importanza. Ray Petri aveva vissuto quel periodo, ne aveva assorbito il fermento e soprattutto, aveva osservato ciò che accadde. A poco a poco si fece travolgere dalla passione per la fotografia, la volontà di formare un collettivo di giovani creativi, una sorta di gang, formata da persone diverse, tutti talenti, riuniti, come diceva lui, sotto lo stesso ombrello e lo stesso nome "Buffalo". 

Buffalo diventa una vera filosofia di vita, con una divisa: Dr Martens, calzini bianchi, Levi's 501 scuri, bomber MA-1 dell'areonautica e un pork pie hat. Il nome Buffalo deriva dai buttafuori de "Les Bains Douches" a Parigi, dei ragazzi decisamente prestanti provenienti da Guadalupe che indossavano il famoso giubbotto MA-1 con la scritta "Buffalo" sulla spalle. Molte erano le contaminazioni con il mondo della musica, fu inevitabile l'associazione a "Buffalo Soldier" di Bob Marley, ma il vero inno a tale stile fu la hit del 1988 di Neneh Cherry, "Buffalo Stance".

 

Ray Petri creò un suo mondo, un suo modo di vedere le cose. Capì che c'era del fermento nell'aria, Londra all'epoca ne aveva viste tante, dal punk al new wave, alla strada, quella strada inglese che continuava a essere contaminata da tutte le influenze possibili. Ray Petri era affascinato dai cattivi ragazzi, dall'immaginario dei nativi americani, dal tribale. Amava l'idea della sartoria classica italiana filtrata da un gusto caraibico. Unì gli uomini con le donne, diede vita per la prima volta al concetto di metrosexual, uomini virili in gonna, fotografati con abiti che mischiavano i generi, ma che non intaccavano minimamente la mascolinità del soggetto. Pensava che il modello giusto fosse colui che poteva interpretare al meglio il look e così il più delle volte erano ragazzi della strada inglese, alternati a una giovanissima Naomi Campbell o a personaggi del mondo musicale quali, la già citata Neneh Cherry, i Massive Attack o Nick Kamen.

 

La sua crea era formata da nomi che poi diventarono grandissimi, quali Judy Blame, Jamie Morgan, Marc Lebon, Barry Kamen e tanti altri. Ray Petri fu "l'inventore" della figura dello stylist che prima non esisteva, così come non era minimamente considerata l'idea che abbiamo oggi dell'editoriale, dei giornali specializzati nel dare una visione della moda. Era l'epoca di "The Face", "I-D", "Blitz" e del figlioccio di Petri, "Arena". Per la prima volta le aziende di moda si rivolgono a degli stylist per avere delle consulenze, Ray Petri lavora ad esempio con Stone Island, per citarne una.

 

Lo stile Buffalo era la fusione di mille influenze, la nobilitazione dello sportswear e una vera e propria istituzione della moda di strada. Da quel momento era cambiato qualcosa e come tutte le  storie appassionanti che si rispettino il lieto fine fu spezzato dalla prematura scomparsa del padre della Buffalo Crew, stroncato dal HIV sul nascere di una rivoluzione purtroppo non studiata e conosciuta abbastanza.

BUFFALO! "THE HARDER THEY COME, THE BETTER." (Ray Petri, "The Face" Marzo 1985)