Umbro, un'icona calcistica
Breve storia del più romantico brand calcistico di sempre
05 Dicembre 2016
Un’ultima volta, una sola, sarebbe bello rivedere una squadra, possibilmente una nazionale, vincere qualcosa di rilevante e vedere il suo capitano alzare il trofeo e gonfiare il petto evidenziando il brand più romantico e iconico della storia del calcio: Umbro. Una volta, almeno. Se non altro per disegnarci nella memoria quei pomeriggi di calcio inglese, con la pioggia battente e i campi fangosi, ben prima di quei verdi manti che resistono perfettamente a settimane di pioggia ininterrotta. Quelle partite in cui le divise delle due squadre si confondono a causa della fanghiglia e dello sporco accumulato nelle scivolate e nelle cadute; dove il gioco assume, con la stanchezza crescente, sempre più le forme dello scontro, della lotta. Un po’ come se l’immagine di Brian Clough e del suo Leeds non ci permettesse di pensare ad altro.
Era in quelle giornate che si faceva spazio una doppia forma romboidale, posizionata in orizzontale. Ma è anche l’immagine che descrive scenari totalmente divergenti, spiagge dorate, sole perenne ed abbagliante. Coppa Libertadores, il titolo esclusivo di pentacampeon; una quarta coppa vinta nel 1994, fedelmente legati ad un marchio, anche in assenza del doppio rombo. I fratelli Humphrey nel 1920 decidono di fondare la Humphrey Brothers Clothing; ma le cinque lettere evidenziate diventano imperativamente gli elementi a comporre un logo che prima di ogni altro ha segnato la storia del calcio. E sono bastati giusto 14 anni perché una squadra, il Manchester City, vincesse una FA cup vestendo Umbro.
Da quel momento il legame con il paese natale è sempre stato fortissimo, ma non si è fermata entro i confini nazionali. Italia, Brasile, la gelida Russia e la patria del calcio totale Olanda, hanno visto squadre che optavano per l’icona, per la prima azienda che avesse deciso di concentrarsi sul calcio e su tutto ciò che questo volesse simbolicamente comunicare. E quando decidi di essere così, finisci per vestire tanti momenti storici, tanti protagonisti immortali:
Manchester Utd, anni '90
Cantona ne ha indossate diverse, e di tutte ha alzato il colletto. La rossa di Manchester è sempre stata estremamente celebre, anche per le scelte centrate di stile. Questa resta tra le più famose, quasi come se quel colletto ci facesse rivivere la nostra infanzia in compagnia di Robin Hood a Sherwood con Little John che ci invita a prendere la caraffa di birra.
Irlanda del Nord, anni '60
Il quinto Beatles, anche se lo hanno affibiato a tanti, era una definizione assolutamente coerente se riferita a Best, che resta un artista, per quanto sregolato, nel panorama calcistico. Non un calciatore, un artista. Che con la sua Irlanda del Nord – a cui teneva tanto – vestiva un maglietta a maniche lunghe con i polsini ed il collo di un bianco evidenziato maggiormante dal verde intenso.
Brasile, '94
La quarta volta non si dimentica mai, soprattutto se ti rende l’unica nazionale 4 volte campione del mondo. Il numero 11 lo portava Romario, che per lungo tempo in Brasile è stato venerato, al punto che superati i quarant’anni c’era ancora qualcuno che lo volesse in nazionale, anche perché 56 goal in 70 partite non sono bruscolini. Qui non ci sono i due rombi, ma c’è una coppa del mondo alzata al cielo da parte di una nazionale passesca – come spesso è capitato ai verdeoro.
Ajax, anni '90
Il calcio totale è stato una rivoluzione, ben prima delle innovazioni spagnole. E gli olandesi, ancora oggi, reclamano – a ragione – un mondiale, che dovrebbero ricevere tanto per meriti quanto a livello simbolico: il calcio è mutato profondamente da quando Johan Cruyff e co. hanno deciso di cambiarlo. Detto, fatto, da quel momento le squadre dei Paesi Bassi hanno prodotto talenti, stile e soprattutto meraviglioso calcio. Negli anni 90’ anche l’Ajax, la cui maglia sarà sempre tra le maggiori espressioni della sintesi stile-sport, scelse il doppio rombo.
New York Cosmos, anni '70
Il signore in foto giocò appena due amichevole con i NY Cosmos, ma grazie a numerosi eroi del calcio moderno – Pelè, Beckenbauer, per dirne due – la squadra della Grande Mela vinse 5 campionati NASL. Ma le vittorie (anche perché, non c’è ne vogliano, la competizione non era poi tanta) non è il punto rilevante, o che interessa a noi, quantomeno. Si tratta di quelle sperimentazioni culturali – una sorta di superband alla Traveling Wilburys, che finiscono per non funzionare mai, come se tutto fosse troppo perfetto – che ci regalano senz’altro un legato, una cosa tipo questo oggettino che veste Cruyjff, con il collo che sembra richiamare l’allegria giamaicana , dove il nostro amato doppio rombo si mimetizza con un bianco su bianco.
Passerà il tempo, i giocatori, le squadre, i trofei. Continuerà a girare la macchina del calcio, ma ciò che rimarrà è l’icona. Quella non si dimentica mai.