I wrestler amano Trump perché è uno di loro
E sono una presenza costante delle sue manifestazioni
04 Novembre 2024
Negli Stati Uniti si sta già votando per eleggere il Presidente che prenderà il posto di Joe Biden, e manca sempre meno al 5 novembre, giorno in cui verranno chiuse le urne e inizierà il conteggio dei voti. Da settimane, i maggiori analisti del mondo parlano dell’elezione americana più incerta di sempre, con i due candidati sostanzialmente pari. In una situazione in cui il dogma è "ogni voto conta", è interessante vedere quanto Donald Trump si stia concentrando sul mondo del wrestling.
Già durante la conferenza repubblicana che seguiva l’attentato del 13 luglio, avevamo assistito all’incredibile scena di Hulk Hogan sul palco, che si strappava la maglietta mostrando sotto una con i nomi di Trump e Vance, il tutto accompagnato dalla frase "Let Trumpamania run wild, Brother", che riprendeva il suo storico tormentone. Abbiamo visto di nuovo qualcosa di simile qualche giorno fa, all’evento repubblicano tenutosi al Madison Square Garden. A questo possiamo aggiungere la presenza di Trump al podcast "Six Feet Under with Mark Calaway", condotto da Undertaker, e i video in cui si vede The Donald accompagnato dai Brothers of Destruction, ovvero proprio Undertaker e Kane.
Per essere chiari: la WWE non si è ufficialmente esposta; non tutti i wrestler professionisti sono a favore di Trump, per esempio Dave Bautista sostiene Kamala Harris. Ma l’approccio del candidato repubblicano e la risposta ottenuta dalla categoria sono estremamente interessanti. E le ragioni dietro a questo fenomeno, oltre a quelle pragmatiche, ovvero l’arrivare a una fascia di popolazione altrimenti difficile da raggiungere, sono principalmente due: il passato di Trump in WWE e la natura del Wrestling che lo stesso The Donald non ha esitato ad applicare alla politica. Vediamo questi punti più da vicino.
Trump e la WWE: un Hall of famer alla Casa Bianca
Il 45esimo Presidente degli Stati Uniti è cresciuto nel Queens guardando il wrestling e ammirando i suoi eroi dell’epoca. Il suo percorso ha molti punti in comune con l'ascesa dell'ex CEO della WWE, Vincent Kennedy McMahon. Entrambi hanno preso le redini delle aziende di famiglia, trasformandole in veri e propri imperi con il loro volto impresso. Hanno gettato le basi nell'America reaganiana, prosperato nell'ultra-capitalismo deregolamentato degli anni ‘80 e affrontato un’infinità di scandali e processi sia aziendali che personali. Le loro strade si sono incrociate per la prima volta nel 1988, quando la federazione (all'epoca WWF) cercava una sede per la quarta edizione di WrestleMania. Molti nel paese cercarono di accaparrarsi l'evento, ma a spuntarla fu Trump, proponendo uno dei suoi edifici ad Atlantic City.
Avanziamo di vent’anni. Siamo nel pieno della popolarità del reality The Apprentice, con il tormentone “You’re Fired” usato da chiunque, Vince McMahon compreso. Durante una puntata speciale di Raw, in cui il Big Boss era in preda ad un’autocelebrazione sfrenata, ecco arrivare sullo stage The Donald. Il suo ingresso viene accompagnato da una pioggia di banconote che cade sugli spettatori. Il pubblico è in visibilio davanti ad un Trump che incarnava il "Face" (il buono) della situazione, il setup perfetto per una storia che avrebbe trovato la sua conclusione a WrestleMania 23. Per l’occasione, scelgono un campione (Umaga per McMahon, Lashley per Trump) per combattere al loro posto: lo sconfitto sarebbe stato rasato a zero in diretta mondiale. Durante la "road to WrestleMania", le apparizioni di Trump sono frequenti. In queste occasioni, Trump tiene i suoi primi discorsi in pubblico e, rivedendo oggi gli interventi, si notano le basi del politico che sarebbe diventato.
A WrestleMania 23, Umaga viene sconfitto e Vincent McMahon viene rasato a zero, con un tronfio e soddisfatto Trump al suo fianco, in uno dei momenti più ricordati della storia dello “Showcase of the Immortals”. Il Pay-per-view diventa il più redditizio della storia della compagnia fino a quel momento. Negli anni successivi, non mancheranno altre apparizioni e storyline con al centro The Donald, che nel 2013 viene anche inserito nella WWE Hall of Fame.
La politica come il Wrestling
Gli attori convenzionali sul palco e sullo schermo hanno un tacito accordo con il pubblico: è chiaro a tutti che ciò che sta accadendo non è reale. Altrimenti, gli spettatori sarebbero terrorizzati quando qualcuno muore in un film, per esempio. Nel wrestling professionistico, tuttavia, i lottatori fingono che tutto sia reale, anche quando sono fuori dal palco. Il pubblico applaude e gioca. È la kayfabe, l’arte di far sembrare reale ciò che è messo in scena, il sottile confine tra finzione e realtà che tiene in piedi lo sport entertainment.
Trump è l’unico Hall of Famer WWE ad essere diventato Presidente degli Stati Uniti. Ed è diventato il 45esimo Presidente anche sfruttando il suo passato nella WWE. Questa affermazione si colloca esattamente su quel confine ed è talmente significativa che il candidato repubblicano la sfrutta nel momento più importante della campagna elettorale. Trump usa la teatralità di questo formato per manipolare il suo pubblico. Pensiamo al recente attentato, quando ha alzato il pugno in un gesto di sfida quasi subito dopo. "Fight", ha urlato alla folla e alle telecamere. L'incidente evidenzia la consapevolezza di Trump dell'immagine che vuole proiettare, anche in situazioni caotiche, e di come usa quei momenti per rafforzare il suo messaggio.
Prima ha trasformato la politica americana in un ring WWE, poi ha assunto il ruolo di “heel”, ovvero il cattivo del wrestling che infrange le regole e provoca il pubblico in cerca di reazioni forti. Trump non ha problemi a mentire apertamente alla gente. È talmente disinibito e sopra le righe che il suo modo di mentire risulta, per via del patto tipico tra lottatore e spettatore nel wrestling, paradossalmente più onesto. Ciò che resta da capire, in base all’esito del voto, è se questa storyline porterà alla fine di un’era o all’inizio di qualcos'altro.