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Adiós, Rafa

Ci mancheranno i Vamos, i pinocchietto, la fascia legata in fronte e gli smanicati sporchi di terra rossa

Adiós, Rafa Ci mancheranno i Vamos, i pinocchietto, la fascia legata in fronte e gli smanicati sporchi di terra rossa

Il ritiro dal tennis di Rafael Nadal, tormentato negli ultimi anni da un’infinita serie di infortuni e acciacchi fisici, era nell’aria da tempo. Eppure, sembrava non dovesse arrivare mai, un po’ per il suo categorico - e a volte infastidito - rifiuto di parlarne in pubblico, e un po’ per il finale di carriera che lo spagnolo ha provato faticosamente a regalarsi; un farewell tour fatto di qualche apparizione nei tornei per lui più significativi, come i Giochi Olimpici e il Roland Garros, e il resto del tempo dedicato alla cura di un corpo ormai ben oltre l’usurato. Alla fine, però, quel momento è arrivato, con il messaggio d’addio - un video di quasi cinque minuti - pubblicato ieri da Nadal sul suo profilo Instagram. «Mi sento davvero fortunato per tutte le cose che ho potuto vivere», racconta il maiorchino, «e voglio ringraziare tutto il movimento del tennis, tutte le persone che lo compongono e soprattutto i miei grandi rivali». Una dedica rivolta ovviamente ai due antagonisti di sempre, Roger Federer e Novak Djokovic, sottolineata anche dalle immagini che la accompagnano. «Con loro ne ho passate tante, ho vissuto momenti che ricorderò per tutta la mia vita».

Il prossimo mese, dunque, Nadal scenderà in campo per l’ultima volta, rappresentando la sua Spagna nella Coppa Davis: «il modo migliore per chiudere il cerchio», dice. «Mil gracias a todos», le parole con cui cala il sipario, in attesa delle lacrime che scorreranno, inevitabilmente, in occasione del suo definitivo congedo il 24 novembre. Pur essendo la versione attuale, come fisiologico per un 38enne con un simile chilometraggio, una copia sbiadita del leggendario tennista che fu, a Malaga sarà l'ultima occasione per vivere quelle emozioni che Rafa per oltre vent’anni ha regalato al pubblico. Intense, fisiche, penetranti - come il suo gioco e lo spirito con cui ha affrontato ogni battaglia: un «vamos», un pugnetto, una canotta, una banana, un dritto anomalo e una maratona sulla terra rossa dopo l’altra, fino alla stoica resistenza opposta a Padre Tempo e coronata dall’incredibile trionfo a Parigi di due anni fa, prima di arrivare al capolinea. «Me ne vado con la tranquillità assoluta di aver dato il massimo», dice con orgoglio, «di aver dato tutto in ogni modo possibile». E come diceva un vecchio spot di chi lo ha vestito per quindici anni, «siamo tutti testimoni».

L’estetica di Nadal

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Affermatosi da giovanissimo come anti-Federer sul campo, ben presto Nadal si è confermato sua antitesi anche nello stile e nell'immagine trasmessa al pubblico. Anche per questo, del resto, è stata una rivalità perfetta: per la complementarietà dei suoi protagonisti. Da una parte la compostezza e l’eleganza dello svizzero, dall’altra il sangue caldo e il look irriverente dello spagnolo; o almeno così era percepito, ad esempio, sul centrale di Wimbledon, dove si presentava con la sua - pur bianca - canotta, i pantaloni pinocchietto e l’immancabile fascia legata in fronte. In ogni caso, a fine incontro Nadal ci arrivava quasi sempre con un po’ della superficie di gioco addosso, su quel fisico esplosivo - termine non improprio per il bicipite mancino - che distruggeva lo schermo. L’emblema del lottatore insomma, da qualsiasi angolazione.

Proprio per questi attributi, oltre che per la sua popolarità e per l’ineccepibile temperamento fuori dal campo, fin da subito Nadal è diventato un testimonial ideale per Nike. Con lo Swoosh ha intrattenuto un lungo (quasi tutta la carriera) e proficuo (circa 10 milioni di euro all’anno, stando alle indiscrezioni) rapporto di sponsorizzazione, che ha dato vita tra le altre cose alle linee Raging Bull, la sua signature sviluppata con il brand di Beaverton. Per Nike Nadal interpretava al meglio lo spirito iconoclasta e competitivo che da sempre è stato il marchio di fabbrica delle sponsorizzazioni dello Swoosh nel tennis.

La ritualistica

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Per apprezzare Nadal nel profondo è necessario abbracciarne la determinazione, anche nelle sue forme più ossessive. I miglioramenti sul campo ne sono stati una conferma inequivocabile, ma c’è anche una faccia più oscura della medaglia; un lato in cui trovare, tra le altre cose, l’estenuante routine che ha preceduto ogni servizio della sua carriera: uno di quei rituali snervanti, simili tic consapevoli e intrisi di scaramanzia, a cui il pubblico finisce in qualche modo per affezionarsi. Ebbene, da dove parte una buona prima di servizio, magari un ace? Per Nadal, è una catena di montaggio da ripetere ossequiosamente: sistemare le calze, i capelli, i pantaloncini, le mutande, asciugarsi la fronte col polsino, toccarsi il naso, e solo dopo tutto ciò - in rigoroso ordine - lanciare la pallina in aria.

Si tratta di una pratica che da fuori può sembrare folle, ma che nel tennis - in modi e forme variegate - non è così rara. Un caso analogo, ad esempio, è rappresentato da Djokovic e dai suoi interminabili palleggi prima di servire: una litania infernale per chi vorrebbe solo divorare il punto successivo. Nonostante ciò, proprio il serbo si è esibito nel 2009, a Roma, in un’imitazione esilarante della routine nadaliana.

L’eredità

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Se Nadal è entrato nell’Olimpo del tennis grazie ai risultati e alla longevità, il posto che si è eternamente ritagliato nell’immaginario collettivo e nel cuore dei tifosi lo deve a quanto ha saputo trasmettere umanamente. La sua è un’eredità diversa da quella di un messaggero della bellezza come Federer, e da quella di un tennista-cyborg come Djokovic. Nadal è stato l’incarnazione dell’etica del lavoro, della perseveranza e dell'umiltà: valori di cui si tende ad abusare per raccontare i grandi campioni, ma non certo nel caso di Nadal.

"Gracias Rafa", l’omaggio con cui l’ATP ha salutato, pochi istanti dopo dopo l’annuncio, uno dei suoi più grandi rappresentanti e ambasciatori di sempre. E se per elencare i traguardi che lo spagnolo ha raggiunto nel circuito servirebbero un’infinità di caratteri, ne sono bastati pochi - quelli del "suo" storico hashtag - per catturarne l’eternità: #RafaSiempre.