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L’ultima cartolina di Rafael Nadal da Parigi

Dopo la sconfitta contro Djokovic, Rafa può ancora vincere una medaglia sul campo dove ha scritto la sua leggenda

L’ultima cartolina di Rafael Nadal da Parigi Dopo la sconfitta contro Djokovic, Rafa può ancora vincere una medaglia sul campo dove ha scritto la sua leggenda

Sono durati solamente tre giorni i Giochi Olimpici di Rafael Nadal. O meglio, la sua avventura nel tabellone singolare, da cui Novak Djokovic l’ha estromesso con facilità, più di quanto dica il 6-1, 6-4 di una sfida che profumava di storia, ma che si è rivelata una copia sbiadita della grande rivalità che fu. Il tempo, d’altronde, passa anche per gli atleti più longevi - e se per “Nole” (37 anni) il momento si sta ancora avvicinando, per “Rafa” (38) il capolinea sembra più che mai vicino. Nel sessantasettesimo incontro tra i due si è visto infatti un divario che dice molto dell’eccezionalità del serbo, ma anche dell’ammutinamento del fisico dello spagnolo. Il suo ultimo ballo a Parigi, però, non è ancora finito: il maiorchino è ancora in corsa insieme a Carlos Alcaraz nel doppio, dopo aver battuto negli ottavi di finale gli olandesi Griekspoor e Koolhof con un 10-2 al super tie-break. Il doppio non è mai stata la sua specialità, nemmeno nei momenti di maggior brillantezza fisica, eppure nel suo infinito palmares c’è anche l’oro olimpico vinto con Marc Lopez a Rio 2016, a fare il paio con quello nel singolare a Pechino 2008. Nella speranza di fare spazio nei prossimi giorni a una nuova medaglia.

A Parigi, Nadal si è presentato per i suoi ultimi Giochi - e forse non solo, pur continuando a rifiutarsi di parlare del ritiro - con gli ormai consueti ed evidenti limiti fisici. Al fianco del numero 3 al mondo, però, ha un’occasione per regalarsi un’ultima, grande gioia. Con tante coppie - la loro inclusa - poco affiatate e spesso mal assortite, il contesto olimpico permette di sognare un finale romantico: proprio sui campi del Roland Garros, dove Nadal ha costruito e reso immortale la sua leggenda. Sarebbe speciale vivere quell’emozione ancora una volta, a quasi vent’anni dalla prima e a prescindere dal contesto; o forse a maggior ragione perché chiudere il cerchio insieme all’erede designato e al nuovo idolo del pubblico spagnolo, sarebbe a suo modo un finale perfetto.

Al Philippe Chatrier stasera sfideranno gli statunitensi con la quarta testa di serie del torneo, Rajeev Ram e Austin Krajicek. Rispettivamente 40 e 34 anni, nelle loro carriere hanno vinto (mai insieme) cinque titoli dello Slam e di sicuro hanno trascorso molto più tempo nel doppio rispetto a Nadalcaraz; non si tratta, però, di un accoppiamento proibitivo, anzi il favore del pronostico sembra pendere leggermente dalla parte degli iberici. In palio ci sono due medal games che per Nadal si giocherebbero sostanzialmente “in casa”, davanti a un pubblico orfano di coppie francesi (Monfils e Roger-Vasselin sono stati eliminati agli ottavi), e soprattutto davanti a chi - un “vamos”, un dritto anomalo, un titolo e un record dopo l’altro - nel tempo ha imparato ad apprezzare Nadal. Fino ad amarlo tanto da farne un figlio adottivo, nonostante la genesi da antagonista di Roger Federer e della sua raffinatezza, che sulle rive della Senna ha sempre trovato terreno fertile.

Quando ha debuttato tra i professionisti, quell’enfant prodige che ricordano nei circoli di tutto il mondo, perennemente smanicato, non era neanche (lontanamente) maggiorenne. E nemmeno ventenne quando scriveva per la prima volta il suo nome su un trofeo dello Slam, a Parigi, nel 2005. Da lì in avanti, Nadal ha imposto un’egemonia mai vista prima al Philippe Chatrier e al Suzanne Lenglen (i due storici campi del Roland Garros), anzi in nessuno dei grandi tornei del circuito, ripetendosi altre tredici volte nell’arco diciotto anni. Si possono elencare infiniti record e numeri fantascientifici che ha stabilito sulla terra parigina, non solo per il quanto (14 titoli, lo insegue Djokovic ben distante con 10 Australian Open, unici con una “stella” in un torneo dello Slam), ma anche per il come. Il suo score personale al Roland Garros è di 112 vittorie e 4 sconfitte, talmente poche che le si ricorda nitidamente: quella con il Soderling più ispirato di sempre, negli ottavi del 2009, poi le due con Djokovic nel 2015 (quarti) e nel 2021 (semifinale), e infine quella di dodici mesi fa con Zverev (primo turno). Restano fuori solo le edizioni del 2016 e 2023, in cui si è ritirato per infortunio: per il resto, solo vittorie.

Il più delle volte non c’è stata storia: si è praticamente giocato per i punti e i soldi dal secondo classificato in giù. In quattro edizioni Nadal ha compiuto il percorso perfetto, cioè senza concedere nemmeno un set agli avversari (in un ventennio che gli ha messo di fronte, tra gli altri, due talenti generazionali). La prima di queste è stata nel 2008, e ha segnato un momento storico per Nadal: il sonoro 6-1, 6-3, 6-0 rifilato in finale a Federer era il preludio della vittoria “in trasferta” a Wimbledon e quindi del sorpasso ai vertici del ranking ATP. Nel 2017, ha lasciato la miseria di 35 game totali lungo il percorso: un record proibitivo anche solo da avvicinare.

“Giocare contro Rafa al Roland Garros è probabilmente una delle più grandi sfide che siano esistite nel tour", ha detto Djokovic una volta in conferenza stampa. “Quando è ispirato e non commette errori, si ha la sensazione che sia impenetrabile, che sia come un muro”: ciò che il serbo aveva probabilmente pensato, ad esempio, durante l’indimenticabile semifinale del 2013, una battaglia conclusa 9-7 al quinto; oppure durante la finale del 2020, finita - e quasi mai cominciata - 6-0, 6-2, 7-5 davanti a tribune mezze vuote e con un'inedita brezza autunnale (causa pandemia). L’emozionante trionfo del 2022, a 36 anni compiuti (record), è stato il sigillo definitivo, una sorta di imprimatur eterno sulla sua eredità. Il 3-0 rifilato allora a Ruud (6-3, 6-3, 6-0) aveva tutta l’aria del canto del cigno - ma figurarsi, non nella testa del maiorchino, che anche quel giorno aveva ragione. Oggi al suo collo c’è ancora spazio per un metallo olimpico, per l’ennesimo lieto fine in una carriera che appartiene già alla leggenda.