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L’evoluzione visual della Finale di Champions League

Com'è cambiata l'estetica della partita più attesa della stagione

L’evoluzione visual della Finale di Champions League  Com'è cambiata l'estetica della partita più attesa della stagione

È il 26 maggio 1999, al Camp Nou di Barcellona sta per iniziare la finale di Champions League tra Manchester United e Bayern Monaco. Il fischietto designato dalla UEFA è Pierluigi Collina, nella prima volta senza un'italiana dopo otto edizioni consecutive; ed è una partita destinata a passare alla storia come una delle finali più belle di sempre, con la clamorosa rimonta in extremis dei Red Devils firmata Sheringham e Solskjaer. Durante la cerimonia di apertura, la soprano catalana Montserrat Caballé si esibisce in una versione di "Barcelona", brano che dodici anni prima aveva scritto e cantato insieme a Freddie Mercury, diventato poi l'inno dei Giochi Olimpici del '92; la voce dei Queen era scomparsa nel '91, così Caballé ha duettato in entrambe le occasioni con una sua registrazione, proiettata sul maxischermo. Sul rettangolo verde intanto si animano una serie di coreografie che rimandano a edifici e simboli di Barcellona, e che esteticamente si inseriscono nell'innovativa identità pensata per l'evento, che farà da apripista per tutte le finali del nuovo millennio. Per vestire quella del '99 la UEFA optò infatti per una linea visiva fortemente ispirata alla città, nell'intento di rappresentarne la cultura e iniziare a creare quell'evento nell'evento in cui le finali si trasformeranno nei decenni successivi, anche grazie alla strategia di branding adottata dalla federcalcio europea.

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Sulla locandina, sui biglietti e in ogni contenuto promozionale di Barcelona ‘99 il design è un omaggio a Joan Mirò, altra icona della scena artistica catalana. E come Caballé, anche il celebre pittore e scultore si era prestato in precedenza come testimonial di un grande evento sportivo nel Paese: il Mundial 1982, per cui aveva disegnato il manifesto ufficiale, una delle sue ultime opere. L’ispirazione della UEFA nella creazione di un’identità visiva specifica per ogni finale sembra affondare le radici proprio nei grandi eventi organizzati dal Comitato Olimpico e dalla FIFA, che tradizionalmente hanno cercato di incapsulare il patrimonio culturale e urbano nei contenuti visual. Ed ecco quindi un manifesto energico, vivo, con un disegno nel classico stile (surrealismo) di Mirò, colori caldi e contrasti forti. L’attenzione della UEFA per la componente artistica di questi eventi, dopo che a inizio Anni ‘90 aveva realizzato un logo e un inno ad hoc, è evidentemente accresciuta. E dopo l’esperimento di Barcellona la rotta è tracciata, come confermano le fermate successive: per Parigi (2000, e poi ancora nel 2006 per la cinquantesima edizione) i colori scelti sono quelli della bandiera francese, con al centro un disegno che richiama la Tour Eiffel (nel secondo caso più defilata); per Milano (2001) si punta su un design elegante e su un sipario teatrale che allude alla Scala, per una finale il cui slogan è “L’Opera del Calcio”; anche ad Atene (2007), poi, la scelta cromatica strizza l’occhio alla bandiera e il disegno presenta una fantasia in classico stile ellenico.

Con la finale di Mosca (2008) subentra un altro elemento che verrà ripreso in più occasioni, questa volta di ispirazione architettonica: la skyline (stilizzata) della città, in cui si distingue nitidamente il Cremlino; e si colloca sulla stessa lunghezza d’onda l’output comunicativo dell’anno dopo, a Roma (2009), dove il trofeo della Champions League si staglia su un angolo del Colosseo; per Madrid (2010), infine, si punta su un disegno che ritrae la sagoma stilizzata dell’Estadio Santiago Bernabeu, incastonata in sinuose fantasie decorate con la classica starball della Champions League. Successivamente, Wembley si troverà a ospitare la finale per due volte nell’arco di tre edizioni: nel 2011 viene presentato un design elegante e minimalista, con i leoni d’Inghilterra che ghermiscono il trofeo, figure bianche su sfondo bluastro e scritte rosse. Nel 2013 — edizione celebrativa per il 150esimo anniversario della fondazione della federazione inglese — è stata invece scelta un'illustrazione sicuramente meno incisiva, ovvero una serie di fasci di luce che illuminano la sagoma della coppa, generando uno scenario di geometrie piatte, astratte e poco dinamiche, che non risaltano affatto sul blu dello sfondo. Per quanto riguarda invece la finale di mezzo, la sfida di Monaco di Baviera del 2012 che vide il Chelsea per la prima volta campione, è apprezzabile invece la complessità di sovrapposizioni, tonalità e bagliori spettrali che vanno a un comporre un autentico mosaico di forme irregolari dalle tinte verde acqua, da cui emergono un portiere in tuffo e una figura intenta a tirare.

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A partire dalla finale di Lisbona del 2014 la UEFA prese la decisione di delegare il compito di illustrare le finali a un’agenzia creativa londinese, Designwerk. Per i quattro anni seguenti il comparto grafico dell'evento apparve più uniforme e coeso, sia nell'aspetto iconografico che quello cromatico: il blu Champions sarà infatti il colore predominante in tutti i loro progetti. La prima opera è un omaggio alla tradizione navale portoghese: un immenso giroscopio in movimento circonda il trofeo, il quale poggia al centro di una luminosa rosa dei venti, riproposta in piccolo nella pancia del trofeo. Per Berlino 2015 l'idea di fondo è molto più sobria: in un vasto scenario monocolore il trofeo si erge sull’Olympiastadion in lontananza, mentre le ombre delle colonne della Porta di Brandeburgo si estendono fino a comporre la scritta “FINAL”. L’anno seguente a Milano l’ambientazione dell’identità visiva è la galleria Vittorio Emanuele II, mentre per Cardiff il protagonista è il drago gallese, che avvolge fiero il trofeo. L’abito della finale di Kyiv richiama invece i colori della bandiera ucraina e l’ipnotico motivo “a buchi” della copertura dello Stadio Olimpico.

Interrotta la partnership con Designwerk, Nyon passò la palla ai grafici locali, i quali a loro parere avrebbero saputo interpretare meglio l'anima della città in cui vivono. Decisione che si rivelò azzeccata: l’identità della finale di Madrid del 2019 è uno stupendo collage di figure, animali, natura ed elementi tradizionali dipinti con gli intensi colori blu-arancio del candilazo, il caratteristico tramonto madrileno. La bellezza della propria città al tramonto fu di ispirazione anche al turco Tolga Tarhan per rappresentare la sua Istanbul, autore di un delizioso gradiente blu-rosa che avvolge i monumenti più famosi dell’antica Costantinopoli. Design che, ricordiamo, ha dovuto attendere ben tre anni per essere utilizzato: la pandemia ha causato lo spostamento delle finali del 2020 e del 2021 in Portogallo — e di conseguenza l’assenza di una identità visiva ad hoc — mentre la finale di San Pietroburgo del 2022, adornata con una esplosione astratta di geometrie e colori reminiscente di Kandinsky e del suprematismo di Malevich, ha lasciato il posto a Parigi per effetto dell’invasione russa dell’Ucraina.

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A differenza di Lisbona e Porto, alla finale di Parigi è stata dedicata una sorta di identità distinta, ma la sua composizione spoglia e monocromatica ci fa pensare a una produzione interna alla UEFA, piuttosto che a una commissione esterna. Chiudiamo questa  colorata rassegna menzionando la finale che questa sera chiuderà la stagione calcistica europea 2023/24: la finale di Londra opta anch'essa per una elaborata composizione geometrica dai colori intensi, un graffito multiforme che “riflette l'energia e il movimento costante della città con forme che alludono agli edifici iconici e alla vastità urbana pur contrastando con gli spazi verdi”