Che senso ha fare una giornata di Serie A vintage
È davvero un’idea “bella ma non praticabile” come detto in Lega?
22 Aprile 2024
“Riunione di Lega Serie A. Un manager di un top club propone: perché non organizziamo una giornata vintage? Tutte le gare alle 15, vecchie divise senza nomi, scarpini neri, eccetera. Operazione dal forte impatto emotivo e commerciale. Risposta: idea bella, ma non praticabile”. A riportare lo scambio è Marco Iaria, Gazzetta dello Sport, con un tweet pubblicato martedì scorso che ha alimentato, prevedibilmente, un fiume di discussioni. L’impraticabilità di questa proposta, del resto, non può che stonare alle orecchie di milioni di tifosi e appassionati che recentemente hanno assistito, ad esempio, alle acrobazie logistiche per spedire la Supercoppa in Arabia Saudita, con formato espanso e nel pieno della stagione, mostrando un’inconsueta flessibilità.
L’istituzione di una “giornata vintage” di Serie A potrebbe davvero essere, al di là del formato proposto, un’occasione di “forte impatto emotivo e commerciale”. Si inserirebbe infatti in una struttura di marketing decisamente meno sviluppata rispetto al punto di riferimento europeo, la Premier League, che di pari passo con la globalizzazione ha portato i suoi marchi e prodotti ad ogni latitudine; e anni luce distante dalle eccellenze del settore, le leghe americane di football (NFL), basket (NBA) e baseball (MLB). In Italia, un’iniziativa simile sarebbe accolta da uno scontato apprezzamento del pubblico, che in questa sede è opportuno considerare non soltanto come spettatore in senso stretto (che pure ha una comprovata nostalgia della contemporaneità della domenica pomeriggio), piuttosto nella sua dimensione di consumatore e fruitore del prodotto. Merchandising dunque, in una gamma sempre più ampia di prodotti e segmenti di mercato, ma non solo; come mostrano alcuni virtuosi casi oltreoceano - “Turn Back the Clock”, “Legacy Games” e “Hardwood Classics Night” (e in senso più ampio anche “Noche Latina”, “Chinese New Year Day”, e via dicendo) - i benefici sono tangibili tanto nell’immediato quanto sul medio-lungo termine, e toccano diverse sfere: posizionamento del brand, trasmissione della sua identità, ampliamento del bacino d’utenza, fidelizzazione della fanbase. Usare la ricca tradizione dei propri affiliati, insomma, per creare nuovi sbocchi commerciali e avvicinare diverse generazioni di tifosi.
Un’operazione del genere nel contesto italiano, però, si scontra ad oggi su una serie di rigidità che sembrano ancora lontane dall’essere scalfite, a partire da quelle figlie degli accordi con le emittenti televisive, al secolo DAZN e SkySport. I proventi dai diritti tv rappresentano infatti la principale fonte di ricavo dei club italiani e la Serie A non è estranea alla tendenza universale dell’intrattenimento sportivo verso quello che chiamiamo “spezzatino”; ovvero, la frammentazione del calendario e la dilatazione del weekend calcistico, in nome della massimizzazione degli ascolti e degli introiti pubblicitari. Difficile quindi che la prospettiva di un ritorno alle origini possa attrarre gli attori protagonisti del business, salvo circostanze davvero straordinarie (come quelle “pandemizzate” del 3 gennaio 2021, unico precedente negli ultimi dieci anni). Non per caso si è osservato negli ultimi anni il progressivo abbandono della contemporaneità anche nelle ultime giornate di campionato, volate escluse, a conferma dell’incidenza di tali logiche anche nell’ambito del singolo turno. In ogni caso, nella progettazione di una domenica vintage si può tranquillamente estromettere la componente di calendario e limitarsi a quella estetica, che sembra più alla portata e che, soprattutto per quanto riguarda le divise, incontra un diffuso interesse nel pubblico, tra “nostalgici” e nuove generazioni.
Riunione di Lega Serie A. Un manager di top club propone: “Perché non organizziamo una giornata vintage? Tutte le gare alle 15, vecchie divise senza nomi, scarpini neri, ecc”. Operazione dal forte impatto emotivo e commerciale. Risposta: “Idea bella ma non praticabile”.
— Marco Iaria (@MarcoIaria1) April 16, 2024
Le maglie vintage, quelle storiche e più iconiche di ciascuna squadra, rappresentano un prezioso patrimonio culturale per l’intero movimento, sfruttato solo in parte. Ci sono società più attive di altre in tal senso - un paio di esempi recenti: la maglia “Origins” della Roma e le new entry nella collezione retro del Milan - ma sembra mancare trazione alla struttura nel suo insieme, in quella che dovrebbe essere una visione e missione condivisa. Le innumerevoli restrizioni predisposte dal regolamento in materia di scritte e loghi sulle divise (font, dimensioni, posizionamento), e in generale di equipaggiamento del calciatore, non sono d’aiuto; e vengono applicate con estrema rigidità, come ricordano le multe alla Fiorentina per la fascia da capitano dedicata ad Astori. Inoltre molte volte gli sponsor tecnici sono in conflitto tra di loro, e non possono realizzare maglie simili a quelle precedentemente disegnate da altri, o non vogliono associare la propria brand image a quella di un altro competitor.
Se a questo si aggiunge la mancanza di un palcoscenico in cui esporre, raccontare e celebrare - nel momento topico della vita del club, sul campo - il proprio passato, ne emerge un quadro abbastanza scoraggiante, tanto per le squadre, quanto per gli sponsor. Anche le società più decise e interessate a puntare sul legame storico con i propri tifosi, così, si trovano con un ridotto margine di manovra e finiscono spesso per omologarsi alla staticità del retro-marketing ormai tipica della Serie A. Una trovata della Serie B che risale a un anno e mezzo fa, il “weekend vintage” del novembre 2022, era sembrata ad alcuni un primo, timido passo nella direzione opposta. L’opportunità di sfruttare due sfide come Palermo-Parma e Reggina-Genoa aveva incentivato in quell’occasione un approccio creativo, mirato a valorizzare la tradizione dei club coinvolti e scegliendo, per farlo, di recuperare alcuni vecchi elementi della cultura calcistica italiana.
Si è trattato però di un caso isolato, limitato alla dimensione della comunicazione digitale, e mai replicato offline, nonostante il feedback positivo di tutte le parti coinvolte. Eppure, negli ultimi anni si è ripetuto fino alla nausea, contestualmente all’avanzare di “nuovi” campionati con sconfinate disponibilità economiche, che sono proprio la storia, la tradizione e quello che hanno inciso nella memoria collettiva a definire il DNA del calcio italiano, e più in generale europeo. A renderlo speciale e “migliore”, a prescindere (o quasi) dalla competitività, dallo spettacolo offerto, dalle stelle che attrae. Eccessi di presunzione a parte, c’è un fondo di verità in tutto ciò, e viene naturale chiedersi, allora, perché una nostra versione del “Turn Back the Clock” non venga neanche presa in considerazione.