Danny
Williams
Pursuit of Happiness
Le carriere dei calciatori viste da lontano possono sembrare tutte uguali, compatte tra allenamenti, uniformi da gioco, racconti da spogliatoio e le corse dietro il pallone. Ma avvicinandosi ad ogni storia individuale si scopre quanto ogni strada che conduce al calcio professionistico differiscono l’una con l’altra, raccontando le diverse storie personali, i sogni, le ambizioni ma anche le sfide e le difficoltà che accompagnano una vita su un campo da calcio. E proprio da queste ha tratto ispirazione Danny Williams, capitano della nazionale statunitense ma nato a Karlsruhe, in Germania da padre afroamericano e madre tedesca, nel creare il proprio brand di moda, A Beautiful Struggle. Un viaggio attraverso la sua vita come atleta e come individuo dalla costante curiosità, pronto a sfidare le regole di uno sport così legato alle proprie tradizioni, come ci ha raccontato durante il settimo episodio di More Than. “La cosa più strana è che ho iniziato fin da quando ero un bambino, perché essendo nato in Germania da madre tedesca e da padre afroamericano di New York, sono sempre stato esposto alla cultura statunitense di mio padre, che amava la musica jazz e il basket. Quindi di conseguenza non avevo grande familiarità con la tradizione tedesca anche se ci sono nato e cresciuto. Sono stato considerato un outsider in quanto non sembravo proprio la tipica persona tedesca, ma la cosa non mi ha mai infastidito, ho sempre saputo di essere diverso” mi dice mentre è a Napoli per un evento legato al suo brand di moda. “Ho avuto una costante curiosità verso ogni aspetto della vita, che sia essere a Napoli ed esplorare la cultura italiana, o come quando giocavo in Inghilterra e negli USA scoprire questi brand emergenti come Rhude, Fear of God, Amiri che poi sono diventati così comuni tra gli sportivi”. Per Danny Williams la moda è diventata presto un canale attraverso il quale esprimersi, mostrando le sue passioni e i suoi riferimenti.
“Durante la mia adolescenza negli anni novanta sono stato influenzato da Michael Jordan, dall’hip-hop e da brand come FUBU e South Pole. Mi vestivo come i rapper che ascoltavo, da Biggie a 2Pac. È sempre stato il mio stile. Ero attirato da questi personaggi al limite, come Dennis Rodman o Allen Iverson, che sono il motivo per il quale ho cominciato a ossigenarmi i capelli o farmi le trecce, i tatuaggi e usare collane e anelli. Cercavo sempre di sperimentare un po' di più il mio lato afroamericano, e 25 anni fa la gente pensava che fossi pazzo, molto pazzo ed effettivamente ripensandoci non ero proprio una persona normale”. Quello che però risultava essere il desiderio di ribellione di un giovane Williams ha poi trovato una felice dimensione nella creatività della moda, passata da essere una valvola di sfogo a sua nuova occupazione dopo aver chiuso la sua carriera professionistica. “Il mio amore è sempre verso la moda, è stata la mia seconda occupazione oltre al calcio e quando ho iniziato a lavorare al mio marchio nessuno aveva le mie stesse ambizioni. Perché era la mia storia e nessuno poteva raccontarla come volevo io, nessuno poteva sapere cosa mi aveva influenzato durante la mia infanzia o durante la mia carriera di calciatore professionista. Nessuno poteva dirlo al posto mio, perché solo io l’avevo vissuto in prima persona.”
Nasce così Beautiful Struggle, un percorso intimo e onesto dentro la vita di Danny Williams. “Ho avuto un solo infortunio, uno solo in tutta la mia carriera, ed ha cambiato la mia vita. Mi sono ritrovato a Cipro, improvvisamente non ero più così di moda, le persone hanno cominciato ad allontanarsi, le agenzie a smettere di chiamare. Ero da solo su questa terrazza, davanti a me il mare ed ho pensato che questa era davvero una battaglia, ma una bella battaglia degna di essere combattuta”. E scegliere i terreni sui quali scendere in campo per Danny Williams è molto importante, alla costante ricerca del contesto che gli permette di esprimere al meglio la sua creatività. E quando il campo da calcio è diventato troppo stretto, non ha avuto problemi a lasciarlo per dedicarsi al suo brand. “Ero stanco di essere rinchiuso in una categoria e dover seguire le direttive altrui. Per questo ho deciso di terminare la mia carriera professionistica quando ero ancora piuttosto giovane, a 30 o 31 anni, perché quando perdo l’amore per quello che sto facendo allora è meglio interrompere proprio di netto”.
Una separazione netta, in controtendenza a quanto sta avvenendo in questi ultimi anni durante i quali i confini tra il mondo dello sport e quello della moda si stanno confondendo con atleti e calciatori che diventano brand ambassador e modelli e le collezioni di moda che inseriscono stili e oggetti che guardano direttamente al campo di gioco. Per Danny Williams invece non sarebbe stato possibile gestire le incombenze di un brand di moda mentre ancora era impegnato nella quotidianità che definisce un calciatore professionista. “Dal mio punto di vista non credo sia giusto aprire un brand mentre ancora si gioca, perché il calcio è ancora legato al successo sportivo, un business legato ai risultati di campo e quindi devi essere concentrato e spendere tutte le tue energie in quella direzione. È davvero complicato avere un’altra attività nel mentre. Mi rendo conto proprio oggi, mentre sono qui a Napoli per un evento durante la stagione regolare, come i due calendari non siano coincidenti. Tutto questo, viaggiare, creare connessioni con il mondo della moda non sarebbe stato possibile mentre ero ancora un calciatore professionista”.
“Ci sono ancora una serie di tabù nel mondo del calcio e i giocatori non sono ancora aperti a parlarne, perché vivono in una bolla, sono pagati dai club e devono rispettare delle regole.”
“Ci sono ancora una serie di tabù nel mondo del calcio e i giocatori non sono ancora aperti a parlarne, perché vivono in una bolla, sono pagati dai club e devono rispettare delle regole.”
Inoltre, nonostante i calciatori abbiano acquisito più libertà nel mostrare il proprio lato più personale anche attraverso i social, non sempre tale comportamento è accettato all’interno di uno sport che vive secondo regole di condotta molto strette. “Il problema è che, e ti faccio l’esempio di Hector Bellerin, un pioniere nel portare uno stile innovativo nel calcio, ad ogni sconfitta o prestazione non esaltante sei immediatamente assalito da chi ti rinfaccia di doversi dedicare esclusivamente al calcio”. Se da un lato infatti i calciatori sono dei personaggi pubblici anche oltre il campo, quest’ultimo rimane il metro di giudizio per valutare il loro successo come sempre Williams prosegue a raccontare. “Ci sono ancora una serie di tabù nel mondo del calcio e i giocatori non sono ancora aperti a parlarne, perché vivono in una bolla, sono pagati dai club e devono rispettare delle regole.” Anche per questo nasce Beautiful Struggle, per iniziare una conversazione sul calcio oltre il calcio, oltre i soliti cliché e stereotipi che affliggono questo mondo e dando valore alle connessioni umane.
“In due anni ho già realizzato così tanto, attraverso varie collaborazioni dentro e fuori il mondo del calcio, dalla nazionale USA con la campagna United Against Racism, e i lavori realizzati insieme a PUMA. Ho già fatto molto in termini di cambiamento culturale e di apertura di nuovi discorsi, ma è solo l'inizio. C'è ancora molto da imparare ma sono pronto, sono innamorato di questo processo” mi spiega Williams. Negli ultimi mesi non è stato mai fermo, è volato a Parigi per incontrare i designer, visitare gli ateliers e conquistare il rispetto degli addetti ai lavori di un mondo che ancora parla un’altra lingua. “Non amo la parola pregiudizio, preferisco percezione. E il calcio è ancora percepito in un certo modo”. Ma attraverso il lavoro, la dedizione Williams è sicuro di riuscire a cambiare il paradigma. “Credo che alla fine la cosa che conta è quanto tu riesca ad essere coerente, persistente, a credere in quello che fai e lavorare duramente per ottenerlo”. Gli elementi di un viaggio che inizia su un campo da calcio e prosegue alla ricerca di un significato che va oltre lo sport. “Spesso le persone mi hanno chiesto perché ho scelto la moda, perché non sono rimasto nel calcio, ma come ho detto mi piace essere curioso, mi piace imparare cose nuove. Sono più di un atleta, lo sono sempre stato, e sentivo di non potermi esprimermi completamente in quel mondo.”
Talent: Danny Williams
Photographer: Luca Scavone
Stylist: Giorgia Toscani
MUA: Natsumi Ebiko
Interview: Lorenzo Bottini
Production: nss factory