La passione dell'NBA per le throwback jerseys
La lega più futuristica al mondo è troppo fissata con il proprio passato?
21 Ottobre 2022
La stagione NBA è ufficialmente iniziata e possiamo finalmente ammirare sul parquet le nuove divise presentate durante l’off-season. La grande novità è il ritorno al passato, con 10 team infatti hanno già presentato le loro “Classic edition” - fedeli riproduzioni di design storici. Nike e NBA hanno progettato a lungo questa mossa, iniziando nel 2019 a far giocare sporadiche partite coi dei kit throwback, per poi l’anno scorso annunciare, in occasione del 75esimo anniversario della lega la nascita delle classic edition che ampliarono il numero totale di kit da 4 a 5 per Warriors, Celtics e Knicks. Il brand e la lega hanno lentamente tastato il terreno per vedere come il pubblico avrebbe reagito, visto che la mossa di mercato avrebbe potuto ritorcersi contro a livello di immagine. D’altronde perché mai la lega sportiva più attenta all’attualità e più proiettata verso il futuro dovrebbe “tornare indietro”?
Per comprendere questa decisione bisogna fare un salto nel passato, come per la maggior parte dei trend post-pandemici, di una ventina d’anni. Alla fine degli anni ‘90 la jersey si era posizionata prepotentemente tra i must-have dello stile hip-hop per poi arrivare nel giro di un paio d’anni, ad essere un macro trend del guardaroba maschile, dopo che i DJ e gli MC della golden age del rap avevano iniziato ad indossarle per qualsivoglia occasione, le jersey erano dappertutto e indosso a chiunque. A quel punto ai più attenti allo stile, che volevano seguire il trend differenziandosi dal resto, cade l’occhio sulle throwback jersey - divise di giocatori ormai ritirati, con un design che non veniva più utilizzato in campo.
All’epoca erano prodotte esclusivamente da Mitchell & Ness e risultavano più cool perché avevano uno stile nuovo ma familiare, erano meno accessibili poiché erano prodotte in minore quantità e quindi più esclusive, con un prezzo più alto rispetto alle Authentic – riproduzioni di quelle indossate dai giocatori in attività. Indossare una jersey con un design vintage dimostrava contemporaneamente ricercatezza e gusto nell’interpretare le mode, permettendo comunque di ostentare la capacità del proprio portafoglio. A questo punto era iniziata una vera e propria sfida nel mondo Hip-Hop su chi ne possedesse di più e chi trovasse le più limitate e ricercate, con Fabolous aka “Throwback King” che arriverà ad averne un migliaio.
La svolta decisiva per far esplodere il trend arriva a fine millennio, grazie al giocatore che più ha influenzato lo stile nella storia NBA: Allen “The Answer” Iverson. In un’iconica copertina di SLAM Magazine del ’99 indossa una retro jersey dei Sixers stagione 1966-67 a completare un outfit che celebrava l’evoluzione della cultura afroamericana. Si inizia anche a indossare throwback jerseys quando si è bordocampo e durante le interviste, sdoganando completamente l’indossare la divisa di un team diverso da quello per cui si gioca. Per i giocatori indossare la divisa di una star del passato diventa un modo per essere al passo con la moda e al contempo portare rispetto a chi ha fatto la storia prima di loro.
Da questo punto in poi il mercato si espande esponenzialmente, grazie all’influenza sempre maggiore delle star del rap e delle superstar NBA sullo streetstyle. Mitchell & Ness ha visto il suo fatturato schizzare da 2.2 milioni di dollari nel 1999 a 36 milioni nel 2003, diventando il marchio di riferimento per le retro jerseys. Come ogni mercato che cresce in tale esponenziale modo alla fine dei 2000 la bolla è esplosa, le jersey hanno smesso di essere usate come capo d’abbigliamento street e sono tornate ad essere un elemento di merchandising esclusivamente per i fan. Proprio in quegli anni però la pallacanestro si stava espandendo e l’NBA accresceva il proprio seguito di anno in anno, fino ad arrivare a una stima di 2 miliardi di fan a livello mondiale.
Il mercato delle jersey quindi, pur essendo tornato ad essere un mercato di nicchia per appassionati è tornato ad essere in crescita costante, che punta in particolare, su giovani e nuovi fan spuntati nell’ultimo decennio che, anche grazie a internet, hanno potuto appassionarsi a un passato che non avevano vissuto e hanno iniziato a desiderarlo. Mitchell & Ness ha creato una linea più economica delle throwback jerseys, ma ciò che davvero ha iniziato a spopolare erano i “throwback fake”: jersey con design vintage ma nome e numero di giocatori in attività che, nonostante la loro palese falsità, venivano acquistate e portate fieramente. Ogni fan vuole poter indossare contemporaneamente il suo design preferito e il suo giocatore preferito di quel team, poco importa se non fosse storicamente accurato. A quel punto Nike e l’NBA non hanno avuto altra scelta che aprire un nuovo mercato, creare il “Classic style” e riproporre i design che hanno fatto la storia di ogni squadra, facendoli indossare ai giocatori che la stanno scrivendo adesso.