La lunga tradizione dei Matchday programs
Stampati fin dal 1880, i giornali dei club di calcio erano e sono un legame fra tifoso e società. Ma con la digitalizzazione si perderanno un sacco di ricordi.
11 Febbraio 2022
Da molto tempo, nell’editoria ma non solo, si parla degli effetti che sta avendo la digitalizzazione dell'informazione. Un processo che, nei diversi livelli di pubblicazione, coinvolge anche l’editoria indipendente fino ad arrivare a quella delle squadre di calcio. Non è più usanza, negli stadi, di varcare i gate e fermarsi qualche secondo per prendere e sfogliare i vari matchday programmes lasciati lì dalla società di casa.
In alcuni casi sono un pamphlet, in altri uno o due fogli formato berlinese o A3, in altri ancora un vero e proprio magazine, come quello che ogni mese pubblica il Sudtirol FC, club di Serie C, una rivista di quasi 50 pagine con news, interviste e servizi speciali. L’estetica di questi piccoli magazine è tutta rivolta al tifoso, per cui, come in una normale rivista - di musica, di moda, di calcio - in copertina si esalta un personaggio: il mister, l’attaccante più prolifico, il capitano, l’ultimo acquisto. E proprio come un giornale ha un colophon con editor, grafici e responsabili amministrativi, un direttore che coordina e spesso anche un editore. Ci sono sponsor, come è normale che sia, e ci sono dentro tutte le aziende che si ritrovano nei board pubblicitari ai confini del campo. Non mancano la sezione fotografica - in stile Sportweek -, la sezione commenti, e la cronaca dei principali eventi del momento. Altrettanto immancabile la pagina dedicata all’avversario della partita.
Sui più vecchi si ritrovano i layout Nineties con la copertina un delle linee cubiste a fare da cornice, altri un po’ più versione VHS con dei font bombati. Nei più recenti, dai metà anni Dieci del Duemila, si vedono sovrapposti più giocatori, spesso con dei close up e il loro volto in sovrimpressione. La centralità del giocatore è l'aspetto fondamentale, come fossero degli attori di Hollywood. In questo si rivede molto il principio editoriale di esaltare un personaggio, di scegliere un divo e metterlo sotto le luci della ribalta.
Ecco, tutto questo mondo ora soffre la digitalizzazione. Ce ne sono diversi casi anche in Serie A, Milan (solo digitale), ma anche Inter (curato dalla Inter media house), Napoli (stadio Napoli, fisico) Roma (aggiornatissimo, ma online), mentre altri hanno un vero e proprio magazine che si compra direttamente in edicola, come la Lazio con Lazio Style o l’Udinese con L’Udinese. Tanti altri club europei ormai pubblicano i loro match program direttamente sull’app o come pdf sul sito. Di questo fenomeno ne risentono l’estetica e soprattutto i ricordi.
In un pezzo sul The Guardian, Elis James riflette sulla fine dei match programmes e su come sia difficile fare a meno di questi giornaletti, soprattutto per una questione affettiva. Un tema caro alla redazione sportiva del The Guardian visto che ne aveva già parlato in occasione di una votazione della English football league per l’abolizione dell’obbligo di stampa dei football program (secondo alcuni club i loro guadagni non facevano pari con i costi di produzione), scrivendo di come quelle paginette all’ingresso dello stadio fossero soprattutto lì per creare un legame fra tifoso e club.
Sono cimeli, madeleine proustiane di vecchie imprese o delusioni sportive che hanno lo stesso valore di una fotografia. D’altronde hanno una storia antichissima, che risale a quella dei primi club professionistici. Il primo match program, noto come The Villa news and records, venne stampato per la gara del 1 settembre 1906 fra Aston Villa e West Midlands, ma c’è chi dice che il vero, primo numero, è stato quello del 1873 riferito alla partita di college nel Connecticut fra Eton e Yale - trovato dentro un libro, è stato venduto per 30mila sterline. Sono infatti oggetti di importanza fondamentale per ricordare il calcio e, manco a dirlo, è un fetish tutto inglese: nel National Football Museum di Manchester c’è una sezione interamente dedicata ai football match programmes.
Ma non sono solo memorabilia. C’è anche molta coolness. Soprattutto in Inghilterra, come per qualsiasi cosa riguardi un pallone che rotola, ci sono migliaia di aficionados online che cercano vecchie copie di match programmes. Sul marketplace footballprogrammes (quale altro nome poteva avere?) se ne trovano di ogni: da Inghilterra-Germania Ovest dei Mondiali 1966 a una partita di beneficenza fra i Best XI di Gerrard e i Best XI di Carragher; c’è perfino una distinta di Chelsea - West Bromwich del 2011. Non serve ricordare che la maggior parte di questi cimeli arrivano dei campionati britannici e, fra tutti, quelli del Chelsea (che ha poi continuato la tradizione con dei fantastici match programmes su Instagram) e quelli della Nazionale Inglese, di cui peraltro si trovano molte copie antiche, sono fra i più belli. Oggi in Premier League e nelle serie minori, dai top club alle realtà di provincia, molte società vendono ancora i propri fascicoli davanti o dentro allo stadio e ci si può anche abbonare.
A dimostrazione che ancora oggi riescono a resistere delle forme editoriali ma è soprattutto un fenomeno britannico. Per le squadre italiane, ormai, la digitalizzazione ha preso il sopravvento - e va detto che il Match Program non è mai stato proprio di grande interesse per le società. Certo, arrivare allo stadio con i mezzi e leggere il match program direttamente dallo smartphone è molto comodo. Ma quando poi torni a casa, in effetti, ti senti più vuoto di qualcosa.