5 cose da sapere sulla Superlega
Come la nuova competizione può cambiare lo scenario calcistico europeo
19 Aprile 2021
"È morto il calcio. Viva il calcio!" avrebbero detto i francesi se la Superlega fosse nata nel 1400. Sì perché la nascita della Superlega ha suscitato la stessa reazione: c’è chi sancisce la morte del calcio come lo si conosce ora e c’è chi brinda ad una nuova era, ad un nuovo inizio. La notizia dell’unione di intenti dei 12 Club Fondatori rappresenta un momento di svolta nel mondo del calcio europeo, che per la prima volta deve fare i conti con una spinta separatista che delegittima il potere di UEFA e FIFA. Il fulmine non è arrivato a ciel sereno e le istituzioni del calcio mondiale ed europeo non sono esenti da colpe (dagli scandali per le tangenti fino alla creazioni di tornei più o meno necessari), eppure pochi si aspettavano una mossa così bold alla fine di una stagione complicatissima per il calcio. Oggi feed e homepage di giornali sono invasi da opinioni e statement definitivi sul futuro del calcio in Europa e sull’etica del The Beautiful Game. Qui abbiamo raccolto cinque punti di discussione sulla notizia del giorno.
Chi? Cosa? Come? Quando? Dove? Perché?
Domenica sera è stata annunciata la nascita della Superlega, una nuova competizione calcistica che sarà gestita dai Club Fondatori - Milan, Inter, Juventus, Barcelona, Real Madrid, Arsenal, Atlético Madrid, Chelsea, Manchester City e United, Liverpool e Tottenham - per creare un nuovo modello di business calcistico. Il format sarà a 20 squadre, con le 12 fondatrici (se ne aggiungeranno 3 a breve) che parteciperanno sempre e alle quali si aggiungeranno altre 5 squadre che verranno selezionate ogni anno in base ai risultati conseguiti nella stagione precedente. Ci saranno due gironi da 10 squadre e dopo partite di andata e ritorno, le prime 3 dei due gironi si qualificheranno ai quarti di finale, mentre quarte e quinte andranno ad uno spareggio (andata e ritorno) per completare il tabellone della fase finale. Si inizierà ad agosto e si terminerà con la finale a maggio su campo neutro.
Florentino Pérez e Andrea Agnelli, rispettivamente presidente e vicepresidente della Superlega, hanno spiegato che uno degli aspetti che ha spinto le squadre a creare questo nuovo sistema è quello economico. I ricavi della lega sono stimati su base annua attorno ai 10 miliardi di euro, non ci sarà tetto massimo di spesa per i club e i club partecipanti riceveranno 3.5 miliardi per aderire alla Superlega.
Reazioni a caldo
Come ogni grande cambiamento, c’è chi si indigna e c’è chi festeggia. La parte più reazionaria è contro un sistema che attraverso giochi di potere si è impossessata del calcio, guardando solo al business che è in grado di generare e non alla storia di uno sport che per tanti è simbolo di rivalsa sociale. Oltre alle naturali reazioni viscerali dei tifosi, sono arrivate anche le possibili sanzioni degli organi federali contro chi aderirà alla Superlega. In Italia, ad esempio, Cagliari, Verona e Atalanta hanno già proposto l’esclusione dal campionato per Inter, Milan e Juventus. Interventi disciplinari che potrebbero coinvolgere anche i singoli giocatori e non solo le squadre.
Chi oggi crede che “il calcio sia morto” vede infranti i valori cardine dello sport come la competitività, la meritocrazia e la bellezza intrinseca che solo il football porta con sé. Anche forze politiche come Boris Johnson ed Emmanuel Macron sono scese in campo per dimostrare il proprio disaccordo in merito, mettendo in prima fila i tifosi e non gli stakeholder come fatto dal comitato di fondazione della Superlega.
Dall’altra parte c’è chi guarda al futuro con soddisfazione, separandosi da istituzioni che negli anni hanno dimostrato problemi e imparzialità. Una spinta separatista che dovrebbe portare - condizionale d’obbligo vista la quantità di se e ma che ci sono - ad un sistema innovativo, nuovo e richiesto dal mercato. La verità più scomoda, come si legge su tabloid inglesi come il Guardian, è che questo format distante dal calcio tradizionale è quello che fa più comodo a tutti in termini di uso e consumo.
Problemi e criticità
I problemi che al momento la Superlega non ha ancora risolto sono diversi e a più livelli. Una lega chiusa o semi-chiusa ed esclusiva non abbassa la competitività in valore assoluto, ma le modalità di accesso al nuovo format sono ancora tutte da stabilire: limitarsi a dire che “verranno selezionate ogni anno in base ai risultati conseguiti nella stagione precedente” contribuisce a creare solo confusione laddove serve chiarezza. La mancanza di meritocrazia sembra essere ad oggi il nodo da sciogliere dal punto di vista quasi etico. Le modalità di accesso così come le modalità di uscita dalla Superlega non sono state ancora svelate nel dettaglio e questo può fare la differenza. Ne sono la prova l’Arsenal e il Tottenham (attualmente nona e settima forza in Premier, con un percorso verso l’Europa quasi compromesso) e così come la Juventus, non certa di un posto tra le prime quattro in Serie A. In altre parole, un discorso più di potere economico che di merito sportivo.
Anche se nel comunicato unificato diramato dai Club Fondatori si legge della necessità di iniziare quanto prima questo percorso, un problema potrebbe essere rappresentato dagli sponsor delle società che aderiscono al nuovo progetto. L’aspetto morale che molti partner stanno dimostrando di avere negli ultimi due anni rappresenterebbe una discriminante per chi fa dei ricavi derivanti dalle sponsorizzazioni il proprio motore principale.
Visual identity
La Superlega dovrà reinventare anche e soprattutto la parte visual del nuovo calcio che ha intenzione di promuovere e sviluppare. L’inizio non è dei più promettenti. Nel suo primo documento ufficiale, la brand identity della Superlega appare molto simile a quella della Champions League, a tutti gli effetti la principale rivale sul mercato calcistico. Una lega di rottura, che vuole tagliare i ponti con un calcio in cui i club d’elite non si identificano più, poteva osare di più e scegliere almeno una palette di colori diversa da quella che usa da anni il competitor numero 1. È un po’ come se il rebranding del Milan partisse dal nero e dal blu dell’Inter.
NBA? Eurolega?
In queste ore, molti stanno paragonando il modello Superlega e quello della NBA. Se da un lato ci sono evidenti similitudini (inclusività della lega, partecipazione fissa delle squadre, format con due gironi), dall’altro ci sono differenze abissali tra i due sistemi. Una delle tante è rappresentata dal fatto che la NBA è gestita da un commisioner super partes che salvaguarda il bene di tutte le 30 franchigie e non da proprietari di due squadre, evitando un conflitto d’interesse che sarebbe deleterio per l’integrità della lega stessa. L’NBA è un modello sostenibile, che ha un salary cap e che ha garanzie economiche molto diverse da quelle che posso offrire i club della Superlega: basti pensare al fatto che l’Inter è alla ricerca di nuovi investitori, che il Barça ha un 1 miliardo di debito e che la Juve deve trovare 100 milioni di euro entro giugno. Questi presupposti sono l’abisso che c’è tra due modelli simili solo all’apparenza.
Un caso molto più vicino alla Superlega può essere rappresentato dall’Eurolega e dalla scissione Euroleague-FIBA, qualcosa di molto simile alla lotta che stanno preparando Peréz-Agnelli e i legali di UEFA e FIFA. Anche in quel caso, in archivio ormai da due anni, le competizioni gestite da due diversi poli del potere hanno portato alla coesistenza di due competizioni: l’Eurolega e la Champions League (organizzata dalla FIBA, la FIFA cestistica). Il tira-e-molla non ha portato a nulla di fruttuoso, ma solo alla creazione della quarta competizione europea. L’Eurolega, al momento, sembra il caso di successo più vicino alla Superlega per dinamiche e obiettivi.