Come Kevin Garnett è finito dentro "Uncut Gems"
La storia dietro il casting del capolavoro della A24: un ruolo che poteva essere di Kobe Bryant, Joel Embiid e Amar’e Stoudemire
10 Febbraio 2020
Doveva esserci Amar’e Stoudemire nel cast di Uncut Gems - l’ultimo film dei fratelli Safdie con un incredibile Adam Sandler nei panni di un incallito scommettitore di New York che, nel tempo libero, è anche un gioielliere. Doveva esserci Kobe Bryant, e ad un certo punto doveva esserci Joel Embiid. E invece c’è Kevin Garnett, uno dei giocatori più odiati da Josh Safdie: «perché sono un folle tifoso dei Knicks, e il mio istinto quando ho visto il nome di Kevin è stato “lo odio, non lo voglio neanche vicino al mio film”», ha detto in una intervista a The Ringer. Il nome di Kevin Garnett era venuto fuori soprattutto per soddisfare l’esigenza principale dei fratelli Safdie: legare quanto più possibile alla realtà le vicende del loro film. In “Uncut Gems” (che in Italia è disponibile su Netflix come “Diamanti grezzi”) infatti, la dipendenza di Howard Ratner al gioco d’azzardo incontra i playoff NBA e la loro imprevedibilità. I Safdie volevano utilizzare dei footage originali dei playoff NBA e, per farlo, dovevano trovare una serie che si adattasse alle loro esigenze: una sequenza di vittoria-sconfitta-vittoria era l’ideale per il loro copione. Il punto di svolta di “Uncut Gems” è infatti l’esistenza di una rara pietra dell’Etiopia, appartenete agli ebrei neri, che Ratner importa a New York e da in prestito a Garnett - che nel 2012, anno in cui è ambientato il film, era ai Boston Celtics - che sente una “connessione speciale con la pietra”.
La partita che Garnett gioca subito dopo - gara 3 della serie di playoff contro i 76ers - è una delle migliori della sua carriera e la sua prestazione scatena una serie di assurdi eventi che culminano nella gara 7 della stessa serie, vinta dai Celtics grazie a un’altra grande prova di Garnett. Le capacità attoriali di Kevin Garnett si sono dimostrate più che sufficienti per la prova. Come ha scritto Brady Langman su Esquire, questa non è una classica prova da attore mediocre dei giocatori NBA (con buona pace di Michael Jordan e Space Jam), ma la migliore mai messa in atto dai tempi di He Got Game o Bluechips: «Con un solo film TV alle spalle, Garnett è riuscito a canalizzare la maniacale intensità di qualcuno che sul campo può fare di tutto, in una versione fittizia di se stesso tale che riesci quasi a temere per Howard quando i due di incrociano». Addirittura, hanno raccontato i Safide, Garnett è stato in grado di fare quello che spesso fanno i grandi attori e improvvisare, come quando Howard Ratner gli domanda “chi vincerebbe in una lotta tra Tony Allen e Ben Wallace?” e lui risponde “T.A. tutta la vita”. Il modo di interpretare le partite NBA di Garnett, così come tutta la sua carriera, sono la cosa che più somiglia a una recita che si possa vedere su un parquet: nel 2008 si mise letteralmente in ginocchio e cominciò ad abbaiare a un avversario per chissà quale motivo. Garnett è stato uno dei migliori trash-talker della storia NBA, una pratica che ha molto a che fare con il teatro, a ben vedere, e ha molto a che fare anche con l’atmosfera che i fratelli Safdie hanno costruito per “Uncut Gems”, fatta di tensione lancinante e una passione irreale per l’autodistruzione.
“Uncut Gems” è un film newyorkese e nato per essere tale. E’ stato per questo motivo che la prima scelta per il ruolo poi di Garnett era stata Amar'e Stoudemire. Come i fratelli Safdie hanno raccontato a Indiewire, il contatto con Stoudemire risale addirittura al 2010: «Il percorso alla ricerca del giocatore parte nel 2010. Comincia con Amar’e Stoudemire, abbiamo scritto il film per Amar’e. Amar’e è ebreo, e quindi poteva avere questa connessione black jewish. In quella versione dello script questa parte era infatti predominante». Quando però nel 2015 i Safdie ritornano sul progetto, emerge la necessità di scritturare un nome più grosso per ottenere finanziamenti maggiori. Ed è qui che viene fuori il nome di Kobe Bryant.
I Safdie brother riscrivono completamente il copione, e l’opale nero diventa una sorta di elisir di giovinezza che dovrebbe permettere a Kobe Bryant di tornare ai fasti della gara dei 61 punti. Ma anche l’accordo con Kobe salta - pare a causa della volontà di Kobe di avere controllo sulla regia - e quando i Safdie ritornano da Stoudemire per scritturarlo, l’ex-centro dei Knicks si rifiuta di tagliare i suoi dreadlock per riassumere l’aspetto del 2012. Se “Uncut Gems” riesce a trasmettere così magistralmente una eterna sensazione di insicurezza è anche per via della sua strana, assurda, storia di casting. Ogni volta che il casting subiva delle variazioni, i Safdie riscrivevano completamente il copione: era fondamentale, nell’evoluzione della storia, che il giocatore che avesse ricoperto il ruolo potesse avere una relazione credibile con il resto dello script. Ci fosse stato Stoudemire, Howard Ratner non si sarebbe mai trovato a far il tifo per i Celtics, una auto-tortura non indifferente per un Knicks. Ad un certo punto pensarono di scritturare Joel Embiid che essendo africano avrebbe potuto aprire una nuova dimensione, di critica al colonialismo, nella trama. Ma Embiid era forse troppo giovane - oltre che in attività - e c’era da incastrare temporalmente la sua vicenda con quella di The Weeknd, che i Safdie avevano conosciuto durante la scrittura del film e che si erano convinti a far partecipare. L’estetica e la maniacale attenzione ai dettagli (oltre alla prova di Sandler e Julia Fox) sono le due cose che hanno reso “Uncut Gems” il capolavoro - snobbato dall'Academy - che è.
L’ambientazione della New York dei primi anni ‘10, l’utilizzo di alcuni archetipi dell’ebreo newyorkese e di costumi che fittano perfettamente con il loro tempo, la presenza di Lakeith Stanfeld (di gran lunga l’attore afroamericano più richiesto del momento) hanno reso “Uncut Gems” un instant cult. Un film di basket dove il basket fa da cornice alla miseria umana, e dove l’NBA invade in maniera pervasiva la vita delle persone. Una NBA che viene mostrata da lontano, dalla tv: per la realizzazione del film infatti, i Safdie non hanno ottenuto alcuna licenza dalla Lega. Si sono appellati al Fair Use, una legge che permette l’utilizzo di materiale sotto licenza copyright per una lunghezza minima. E’ per questo che tutte le immagini di giocato che vediamo in “Uncut gems” vengono inquadrate dai mille televisori di Howard Ratner e mai in maniera diretta. Inoltre: «il “Fair Use” è stato uno dei motivi per cui non potevamo cambiare nessun elemento delle partite, in nessun punto. La cronologia delle gare non poteva essere alternata». La capacità dei fratelli Safdie è stata quella di utilizzare a proprio , e del film, vantaggio tutte le costrizioni temporali e burocratiche che gli si sono parate davanti, e che gli hanno permesso di mettere in piedi uno dei migliori film sul basket NBA della storia recente.