Erdoğan sta trattando i calciatori della Turchia come influencer
Tra i sostenitori della politica del presidente turco ci sono anche le giovani stelle della Nazionale
14 Ottobre 2019
Il saluto militare collettivo con cui lo scorso venerdì i calciatori della Turchia hanno festeggiato la vittoria contro l'Albania, tutti schierati davanti alle telecamere, è stato sicuramente uno degli scatti più chiacchierati di tutto il weekend calcistico dedicato alle gare delle Nazionali in vista di Euro 2020. Un'immagine forte ed inequivocabile di supporto alla campagna di aggressione armata voluta dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, proprio nelle stesse ore in cui il leader turco aveva ottenuto da Donald Trump il disimpegno necessario per poter avanzare con le proprie truppe e combattere le milizie curde assiepate nei pressi dei confini con la Siria, uccidendo circa 500 'terroristi' durante il primo blitz. Per quanto si tratti solamente dell'ultimo capitolo di un conflitto che dura da anni, per la prima volta il mondo del calcio turco si trova coinvolto così a fondo nelle dinamiche di guerra, sebbene si tratti di accadimenti che assomigliano tantissimo ad alcune scene vissute durante il conflitto in Jugoslavia nei primi anni '90 o, scorrendo ancora di più con la memoria, durante il periodo nazo-fascista. Il gesto di cui si sono resi protagonisti, tra i tanti (tutti molto giovani), il centrocampista del Milan Hakan Çalhanoğlu, il difensore della Juventus Merih Demiral, Zeki Çelik, Yusuf Yazıcı, Umut Meraş e il match-winner dell'incontro Cenk Tosun, ma che poi hanno replicato tutti i compagni insieme negli spogliatoi, non è altro che un deja-vù, l'ultimo episodio che testimonia un netto schieramento dei calciatori più rappresentativi del Paese al fianco di Erdoğan dopo i tweet di appoggio e le dichiarazioni molto esplicite pervenute nei giorni scorsi da membri della Nazionale maggiore nei confronti dell'Operazione Fonte Di Pace.
Ay-Yıldızlılar, galibiyeti kahraman Mehmetçiklerimizle şehit olan askerlerimiz ve vatandaşlarımıza armağan etti. pic.twitter.com/NNZKlnnWga
— Milli Takımlar (@MilliTakimlar) October 11, 2019
Il presidente turco, d'altronde, che a 15 anni stava per diventare un giocatore professionista prima di essere frenato dal padre, negli ultimi anni si è avvicinato ancora di più al mondo del calcio, coltivando tante amicizie importanti con il chiaro intento di ottenere il passe-partout necessario per fare breccia nella società turca, sfruttando l'immagine dei turchi di successo in Europa come efficace strumento di propaganda. Il nome di Erdoğan è già da tempo legato al Kasımpaşa, il cui stadio porta il suo nome, ma anche all'Istanbul Başakşehir, una delle tante squadre di Istanbul creata quasi dal nulla che negli anni scorsi è riuscita anche a sfiorare la vittoria del campionato locale e una storica qualificazione in Champions League. Proprio dal Başakşehir due anni fa è sbarcato in Italia Cengiz Ünder, l'attaccante della Roma che ha più volte festeggiato i suoi gol italiani con il saluto militare. E proprio in quella squadra dichiaratamente governativa hanno militato Emmanuel Adebayor e Arda Turan, abituati entrambi ad adoperare già nel 2017 quell'esultanza talmente provocatoria che sembrerebbe sia stata studiata proprio a tavolino, quasi sempre giustificata con l'intenzione di volere omaggiare i soldati, coloro che combattono rischiando la vita per mantenerli al sicuro.
Il rapporto di Erdoğan con calciatori famosi non si esaurisce alla sfera del calcio turco: il capo di stato è stato testimone di nozze di Mesut Özil e vanta buoni rapporti anche con Ilkay Gündoğan ed Emre Can, tutti e tre membri della Nazionale tedesca pur avendo chiare origini turche. E' naturale domandarsi la vera natura di questa sorta di campagna di affiliazione, e se i calciatori in questione siano realmente consapevoli del significato del saluto militare e di tanti altri atteggiamenti pro Erdoğan oppure se si tratta semplici testimonial involontari, che ignorano la situazione o che sono obbligati a comportarsi in questo modo per altre ragioni. C'è invece qualcuno che ha maturato negli anni una consapevolezza piena e completamente diversa rispetto all'Operation Peace Spring: Hakan Şükür, l'ex parlamentare e uno degli eroi della grande generazione del calcio turco a cavallo tra gli anni '90 e i 2000, ha più volte dichiarato la sua opposizione alla politica di Erdoğan (appoggiando invece Fethullah Gülen) e per questo da qualche anno è costretto a vivere in California, anche se sta continuando a farsi sentire via Twitter. Ma nonostante gli oppositori sportivi siano davvero pochi, l'ex Torino e Inter non è il solo che ha osato esprimersi contro il regime di Erdoğan: molto meno famoso ma altrettanto coraggioso si è rivelato, negli anni, il calciatore di origini curde Deniz Naki, prima vittima di un agguato a colpi di arma da fuoco qualche anno fa quando giocava ancora in Germania e poi squalificato dalla Federcalcio turca per propaganda ideologica.
— Cengiz Ünder (@cengizunder) October 11, 2019
Quello successo a fine partita contro l'Albania, una match per altro decisivo per continuare il cammino verso Euro 2020, adesso davvero ad un passo, nonostante la dichiarazione poi smentita proveniente dal media head Philip Townsend, rischia di finire però seriamente sotto l'occhio della UEFA, che da regolamento prevede che chiari riferimenti alla politica e alla religione debbano rimanere al di fuori dal rettangolo di gioco, e pertanto molto probabilmente esaminerà presto il caso con maggiore attenzione. Se qualcuno ha già saputo come gestire queste chiare provocazioni, come la squadra tedesca del St. Pauli nei confronti del proprio tesserato Cenk Şahin, dal quale il club ha preso immediatamente le distanze da un post pro offensiva turca, per realtà più grosse sarà molto complicato scegliere come comportarsi in questo momento così delicato, soprattutto per evitare conseguenze spiacevoli: garantire sempre e comunque la libertà di pensiero ai propri tesserati oppure stroncare il loro modo di comunicare le proprie idee quando queste sono oggettivamente da condannare?
La mia é una lotta per la giustizia, per la democrazia, per la libertà e per la dignità umana.
— Hakan Şükür (@hakansukur) October 13, 2019
Non mi importa di quello che posso perdere se a vincere é l'umanità.
La Turchia sarà impegnata stasera in Francia contro i Campioni del Mondo, e molti esponenti politici si sono opposti al normale svolgimento della partita. Come twittato da Jean-Christophe Lagarde, presidente dell'UDI (Union of Democrats and Independents):
"Con questo saluto militare, la squadra di calcio turca ha purtroppo rotto il confine che deve separare lo sport dalla politica. Non possiamo accogliere decentemente domani allo Stade de France coloro che salutano il massacro dei nostri alleati curdi!"
Ma non è solamente la gara con la Francia a far discutere, visto che nel frattempo qualcun'altro ha già provveduto a lanciare l'hashtag #NoFinaleChampionsIstanbul, in vista della prossima finale di Champions League che si giocherà proprio all'Atatürk ma che, a causa del clima così teso, non può affatto disputarsi regolarmente.