Le 8 vite di Rafael van der Vaart
Il centrocampista olandese è stato molte cose nel corso della sua carriera, ma soprattutto è stato un grande calciatore
08 Maggio 2019
Ci sono alcuni giocatori che restano impressi nell’immaginario comune per i trofei che hanno vinto, per le coppe e le medaglie al collo, per tutti i primi posti conquistati; ce ne sono altri, invece, che per entrare nella leggenda devono fare uno sforzo in più, non essendo la loro carriera costellata da titoli illustri. In quest’ultima categoria di calciatori rientra sicuramente Rafael van der Vaart, portabandiera di una generazione di incompiuti.
Nato a Heemskerk l’11 febbraio del 1983, nel corso della sua carriera ha vestito maglie importanti e giocato in alcuni dei maggiori campionati europei. Da giovane van der Vaart era considerato uno dei talenti più cristallini della sua generazione: nel 2003 ha vinto la prima edizione dell’European Golden Boy, superando Cristiano Ronaldo e Rooney. L’inizio folgorante di una carriera fatta di troppe ombre, intervallate però da luci fortissime.
Una storia lunga, quella di van der Vaart, che a conti fatti sembra aver vissuto più di una vita, come i gatti. In campo i suoi movimenti sinuosi e i suoi tocchi sfuggenti lo rendevano simile a un felino, e allora eccolo, il vecchio gatto olandese, che si guarda indietro sornione, ripensando ai diversi capitoli della sua lunga e strana carriera.
#1 La vita in caravan
Rafael van der Vaart trascorre la sua infanzia in un caravan park: la sua famiglia non ha una casa e si muove (e vive) su una roulotte, il giovane talento olandese fa pratica col pallone per strada, e questo gli ha insegnato a lottare per guadagnarsi il suo spazio nel mondo (e, più tardi, tra i titolari in campo). L’olandese, comunque, non rimpiange il suo passato. Anzi, dice di essersi divertito durante quel suo periodo gipsy. Una volta diventato calciatore professionista, van der Vaart ha acquistato una casa per i suoi genitori. Alcuni dei suoi parenti però vivono ancora nel caravan park, e lui di tanto in tanto va a trovarli.
#2 La vita da capitano
L’Ajax non impiega molto a notare quel giovane talento nomade: van der Vaart entra a far parte delle giovanili del club a soli 10 anni, mentre il suo esordio ufficiale arriverà all’età di 17 anni. L’olandese in patria vince praticamente tutto quello che si può vincere, e gioca in una squadra piena di talenti, come accade quasi sempre quando si parla di Ajax. Un nome su tutti: Zlatan Ibrahimovic.
Van der Vaart diventa il più giovane capitano della storia dei Lancieri, resta per 5 stagioni in prima squadra e alla fine si rende anche la maglia numero 10. Il mondo scopre così un centrocampista duttile, estroso, che negli ultimi trenta metri di campo si esalta e riesce ad essere decisivo grazie a un tiro col suo sinistro d’oro. Oppure a un colpo di scorpione.
#3 La vita all’Amburgo
Dopo 117 presenze, 57 gol e 23 assist, il 1° giugno del 2005 si chiude l’esperienza di van der Vaart in Eredivise, col centrocampista che si trasferisce all’Amburgo. Un passaggio piuttosto particolare, che lascia esterrefatto anche Johan Cruijff, che al De Telegraaf dichiara: «Non so cosa dire, non so perché sia andato all’Amburgo. Sarebbe stato impensabile fino a due anni fa, evidentemente le cose non sono andate bene per lui». In effetti, l’olandese veniva da una stagione non proprio entusiasmante, con tanto di infortuni (una costante, nella sua carriera).
L’impatto di van der Vaart con la Bundesliga, comunque, è devastante: in 19 presenze l’olandese segna 9 gol e serve 5 assist, mentre in Coppa Uefa in 8 partite va a segno 5 volte e colleziona un altro assist. Ottimi numeri per un talento cristallino, che per tre stagioni resta in Germania incantando e facendo sognare in grande i tifosi dell’Amburgo. Che poi lo vedono inevitabilmente partire nell’estate del 2008, destinazione Madrid.
#4 La vita a Madrid
Dopo un’annata da 21 gol e 16 assist, il Real Madrid sceglie di puntare su van der Vaart e di rinfoltire così quella colonia olandese (Drenthe, Sneijder, Robben, Huntelaar, van Nistelrooy) che andava tanto di moda nel periodo post-Galacticos e pre-Ronaldo. Nella sua prima annata in Blancos, l’ex Amburgo gioca 32 partite ma entra spesso dalla panchina, e dopo la tripletta rifilata allo Sporting Gijón (24 settembre del 2008) segna solamente un altro gol nel resto della stagione.
La concorrenza è tanta, e come se non bastasse nel mercato estivo del 2009 arrivano Kakà e Cristiano Ronaldo. Lo spazio per lui si riduce ulteriormente, van der Vaart prova a mettersi in mostra ma tra tutti quei campioni non è facile. Al termine della stagione arriva Mourinho sulla panchina delle Merengues, e il portoghese è subito chiaro con lui: non lo vede come titolare. È il 31 agosto del 2010, la carriera del talento olandese è in un momento di stallo, serve una scossa, serve una chiamata. Che puntualmente arriva, direttamente da Londra.
#5 La vita al Tottenham
«Il mio agente mi chiamò per dirmi che il Tottenham era interessato a prendermi, gli ho chiesto se poteva pensarci, lui ha risposto che dovevo decidere nel giro di due ore. Ho iniziato a valutare tutto, poi ho fatto un pisolino. Mi sono svegliato alle 17.45 e il mio legale mi ha chiamato al telefono per dirmi cosa avevo deciso e io senza pensarci troppo ho detto sì, facciamolo».
Il gatto van der Vaart si risveglia così dal torpore di una carriera mezza addormentata e si ritrova in campo, col pelo dritto e una grande voglia di dimostrare il suo valore in un contesto che può esaltarlo veramente. Peter Crouch come terminale offensivo, l’olandese insieme a Luka Modric e Gareth Bale a supportarlo: il Tottenham di Harry Redknapp è la macchina perfetta per esaltare le doti di van der Vaart, che infatti lascia un ricordo indelebile a White Hart Lane (28 gol e 12 assist in due anni).
«Date palla a Luka, poi Luka la passa a Rafa, poi vinciamo»: da un discorso di Harry Redknapp alla squadra
#6 La vita dopo il ritorno in Germania
Villas-Boas arriva al Tottenham, insieme a lui c’è anche Gylfi Sigurðsson, che si prende il posto di van der Vaart in campo. L’olandese decide così di lasciare gli Spurs e di fare ritorno nella sua seconda casa, l’Amburgo. La sua carriera, però, da quel momento in poi ha vissuto una parabola discendente (prima con la maglia del Betis, scelta non troppo assurda se consideriamo che a pochi chilometri da Siviglia vivono i nonni, poi con quella dei danesi del Midtjylland), conclusasi all’Esbjerg, sempre in Danimarca.
Col suo talento, probabilmente van der Vaart avrebbe potuto giocare con maglie importanti per diversi anni e vincere anche di più. Nelle sue diverse vite, come un gatto ostinato, ha sempre cercato di imporsi e di farsi largo come faceva da piccolo, per strada. E continua a farlo anche oggi, anche se in un altro sport.
#7 La vita che mette la freccia
Qualche tempo fa è uscita la notizia che ha fatto scalpore: van der Vaart ha deciso di intraprendere la carriera da giocatore di freccette, auto-nominandosi scherzosamente van der Dart. Qualche giorno fa è arrivato anche il suo esordio, con tanto di vittoria (e altri giochi di parole).
Non sappiamo come andrà questa sua nuova avventura, ma con tutta probabilità l’olandese verrà ricordato più per le sue vite sul rettangolo verde che per la sua nuova avventura nel mondo delle freccette. Nel frattempo, però, un sipario arancione si è chiuso sulla sua controversa carriera da calciatore.
Oh I should’ve never announced my retirement... pic.twitter.com/wKOs8fSKnQ
— Rafael van der Vaart (@rafvdvaart) 13 novembre 2018
#8 La vita arancione
Rimane un colore che non è giallo né rosso, un’eterna via di mezzo come una via di mezzo è stato van der Vaart, in campo e sui taccuini di allenatori che hanno faticato a capirne (e quindi a gestirne) il talento. Arancione è anche il colore della sua Olanda, con la quale è sceso in campo per 109 volte, segnando 25 gol. Non è riuscito mai a vincere niente con gli Orange, nonostante una squadra eccezionale che tra il 2008 e il 2010 avrebbe potuto davvero togliersi grandi soddisfazioni. Alla fine, però, a van der Vaart va bene così.
C’è un gatto arancione che ancora si aggira nel caravan park di Beverwijk. Il tempo lo ha un po’ ingrigito, ma se guardate bene nel suo sguardo si può cogliere la stessa scintilla di sempre. Quella non la perdi mai, dovunque tu vada.
«Ho giocato e vinto con i club e con la Nazionale. Ho potuto affrontare tanto grandi campioni, e scendere in campo negli stadi più belli. Non avrei mai sognato tanto»