L'Italia che non cambia mai
Riflessione intorno al razzismo e alla violenza del primo "Boxing Day" della Serie A
28 Dicembre 2018
Mercoledì sera stavo guardando Inter-Napoli, match che chiudeva la giornata calcistica di Santo Stefano, e ad un certo punto Riccardo Trevisani, impegnato nella telecronaca assieme a Daniele Adani per Sky, sottolinea giustamente quanto il primo "Boxing Day" del calcio italiano sia stato un successo. Media spettatori aumentata in tutti gli stadi di Serie A con la ciliegina sulla torta dei 64000 presenti al Meazza, utilizzando queste precise parole: "...a dimostrazione che possiamo farlo anche noi e farlo bene".
Queste stesse parole mi rimbombano nel cervello da quando c'è stato il triplice fischio di Mazzoleni (arbitro della partita), non riesco in nessun modo a togliermele dalla testa e il motivo è semplice: il calcio italiano e il nostro paese hanno fatto l'ennesima assurda brutta figura.
Durante tutta la sua permanenza in campo, il difensore senegalese del Napoli Kalidou Koulibaly, fino al momento dell'espulsione migliore in campo per distacco, è stato bersaglio di cori e ululati razzisti senza che nessuno muovesse un dito.
Ma non è tutto.
Poco prima della partita un pulmino con a bordo gli ultras del Napoli è stato attaccato da un centinaio di supporter dell'Inter, del Varese e del Nizza. I tifosi nerazzurri hanno colpito con spranghe e bastoni il mezzo dei napoletani, la colonna si è bloccata e immediatamente c'è stato un fuggi fuggi di persone. Negli stessi istanti nella corsia opposta un suv ha investito e ucciso Daniele Belardinelli, 35 anni, capo ultrà del Varese. La persona alla guida del suv non è ancora stata rintracciata e potrebbe non essersi accorta dell'incidente. I primi ad attirare l'attenzione su Belardinelli sono stati i tifosi del Napoli, poi quelli dell'Inter lo hanno portato in macchina in ospedale dove è morto.
Questa la ricostruzione del questore di Milano, Marcello Cardona nella conferenza stampa dopo gli scontri nel pre partita di Inter-Napoli. Un vero e proprio agguato da parte dei "tifosi" dell'Inter, del Varese e del Nizza, era tutto organizzato. Le armi utilizzate per l'assalto sono state poi ritrovate dalla polizia abbandonate in un giardino di Via Novara.
Mercoledì abbiamo assistito all'ignoranza e alla violenza, che sono generalmente accettate non solo nel calcio italiano ma in tutta la nostra società, nella quale fare un ululato a un giocatore di colore, chiamare "cinese" un presidente asiatico o stare a guardare mentre succedono queste cose è diventata la normalità.
Mercoledì è successo in maniera più chiara e lampante, su un palcoscenico di rilievo e con protagonisti eccellenti, ma sono fatti che si replicano ogni domenica in ogni parte d'Italia, che si tratti della Serie A o del campionato provinciale. Il problema è culturale, e anche se è scatenato da pochi riguarda tutti.
Perché la retorica dei buoni propositi ha fallito, serve uno sforzo radicale che nel mondo del calcio deve coinvolgere tutti, dai calciatori ai tifosi, passando per società e forze dell'ordine.
A cosa servono i proclami, le magliette, i gagliardetti contro il razzismo? A cosa serve il "pugno duro" del giudice sportivo, le parole di Gabriele Gravina, il comunicato ufficiale dell'Inter, il tweet del Ministro dell'Interno Matteo Salvini, le belle parole del sindaco di Milano Beppe Sala che chiede scusa a Koulibaly da parte della città e propone Asamoah capitano nella prossima partita dell'Inter?
Ci siamo indignati per quello che è successo a Buenos Aires in Argentina durante la finale di Copa Libertadores quando i problemi della nostra res calcistica sono ancora enormi. A Santo Stefano, l'abominio ha preso il sopravvento e ha mostrato a tutti di cosa l'Italia, pallonara e non, è in grado di fare. Ci siamo trovati di fronte all'ennesima prova dell'arretratezza della cultura sportiva e non. Mercoledì è morto un uomo e ne è stato umiliato un altro da migliaia di persone perché di colore.
Tutto questo è successo a margine di una partita di calcio.
Mi dispiace la sconfitta e sopratutto avere lasciato i miei fratelli!
Però sono orgoglioso del colore della mia pelle. Di essere francese, senegalese, napoletano: uomo.
#InterNapoli 1-0
#KK26 #famiglia
#ForzaNapoliSempre
#DifendoLaCittà pic.twitter.com/f9q0KYggcw
Quando mi si chiede in cosa credo, rispondo subito e senza aver bisogno di riflettere: negli uomini.
Si può ripartire dai singoli e dai buoni esempi per dare segnali forti per provare a cambiare le cose.
Io sogno una realtà parallela dove, mercoledì sera Icardi, capitano dell'Inter (prendo ad esempio lui per comodità di narrazione), all'ennesimo coro razzista nei confronti di Koulibaly, va da Mazzoleni e dice: "se non sospendi la partita ce ne andiamo. Non mi interessa di perderla a tavolino, ma io e la squadra che rappresento non vogliamo continuare a giocare".
Sogno che le squadre, insieme, alla faccia dell'arbitro, delle televisioni, dei risultati, della classifica, lascino il campo per protesta.
Buon campionato a tutti.