Poteri e limiti di un corpo sexy nel primo libro di Emily Ratajkowski
In My Body la modella racconta il rapporto con il suo corpo
18 Novembre 2021
Nel 2013 tre ragazze ballavano e leccavano coni gelato con fare ammiccante quasi completamente nude, con mani di gommapiuma e cuccioli di agnelli in braccio, nella clip musicale di Blurred Lines, mentre si strusciavano contro tre uomini, Robin Thicke, Pharrell e TI, vestiti invece di tutto punto. Nel guardarlo a 8 anni di distanza sembra assurdo che un video così insensato possa aver avuto un tale successo, ma soprattutto osservare come la definizione di cosa è sexy sia cambiata così radicalmente dall’immagine di tre corpi che ondeggiano in modo assente accanto a maschi dominanti. Tra quei tre corpi in particolare ce n’è uno che nella sua fisicità ha definito l’estetica globale degli ultimi anni, diventando per alcuni un benchmark o meglio un’utopia di bellezza. “Nel corso degli anni quando i giornalisti mi chiedevano di quel video, rimanevo sulla difensiva e poi mi vergognavo, perché mio malgrado era stato divertente ballare nuda. Mi aveva fatto sentire potente”, racconta Emrata - al secolo Emily Ratajkowski, e già il fatto che venga chiamata con il suo handle di Instagram è un fatto rilevante - nel suo primo libro, oggi modella, attrice, influencer da 28 milioni di follower, imprenditrice e attivista che a quella clip deve l’ascesa nell'olimpo del jet set e tutto il successo che ne è derivato. Quello di Blurred Lines è solo uno dei retroscena narrati in My Body, una raccolta di 12 saggi uscita lo scorso 9 novembre, edita da Piemme in Italia, che ripercorre la storia del rapporto complesso che la protagonista ha avuto e che ha tuttora con il suo aspetto, in un’alternanza tra esaltazione narcisistica e disforia - “Il mio riflesso non era mio”, scrive nel libro.
Se da un lato la prosa lascia ampiamente a desiderare e il tono lamentoso e pedante dei pensieri della protagonista - e forse anche la prosa della traduzione in italiano - suscita una leggera emicrania, c’è anche da dire che i saggi proposti sono ricchi di riflessioni inaspettatamente sincere, profonde e attuali. Partendo dagli anni dell’adolescenza, quando Emily pregava Dio (“Voglio essere la più bella”) al capezzale del suo lettino di ragazza per poi emulare le pose sensuali di Britney Spears in Toxic, fino all’età adulta e alla maternità, e “attraverso gli uomini che l’hanno delusa, offesa, umiliata, amata, oggettificata, Emrata ci offre una riflessione su cosa sia la bellezza femminile e quali siano i feticci che crea, sulle ossessioni del corpo, sulle dinamiche pericolose e manipolatrici del mondo della moda e del cinema tra consenso e abuso”. La narrazione parte dalle due principali ossessioni della protagonista: i soldi, insieme ai poteri che ne derivano, e il feticcio del corpo, che nel caso di Emily è diventato emblematico della sexyness degli anni ‘10 e di un certo tipo di estetica difficilmente replicabile che unisce un fisico minuto e canonico alla ‘prosperosità’ delle modelle di bikini degli anni ‘80, il vero (se non l’unico) motivo della sua fama.
Il suo tentativo di discolparsi dalla sua stessa bellezza si scontra con la consapevolezza che tutto il suo potere deriva interamente da essa. Il titolo del Nyt pone l’attenzione su questo conflitto inconciliabile: “In un mondo che sfrutta le donne, Emily Ratajkowski sfrutta se stessa. È questo il progresso?”, ma la Ratajkowski non si nasconde e non si sottrae alle critiche, anzi apre il dibattito in prima persona sulla sessualità e sul potere che essa determina: “Da molti punti di vista è innegabile che capitalizzare la mia sessualità mi abbia dato tanto, ho guadagnato grazie al mio corpo entro i confini di un mondo cisessuale, capitalista e patriarcale, in cui la bellezza e il sex appeal hanno valore solo perché soddisfano lo sguardo maschile.” Riducendo in parte la realtà a una narrazione manichea in cui o "fai soldi in un modo specifico e ti senti in conflitto" o "non fai soldi e ti senti virtuoso”. Sembra quasi che alla fine non ci sia una scelta ‘giusta’ o che non ce ne siano affatto, un aut aut, eppure Emily stessa nell’introduzione scrive: “Al cuore del femminismo c'è la libertà di scelta, avevo rammentato al mondo, perciò dovevano finirla di tentare di controllarmi”. È più femminista chi si chiude nel proprio integralismo rifiutando la società in cui vive o chi, pur criticandone il sistema, trae potere dalla propria immagine risultando a tratti ipocrita? E ha davvero senso chiederselo?
Insomma, il libro ci pone di fronte a una serie di interrogativi di difficile risoluzione ma che riflettono il dialogo interiore di molte donne e a cui, forse, dovremmo aspettarci che risponda un sociologo piuttosto che Emrata. Quello del ‘corpo’, inteso nel senso più empirico e carnale del termine sta diventando effettivamente un argomento al centro del dibattito sia per il neo- femminismo che per la società in generale, inserendosi spesso in un discorso più ampio sulla fluidità di genere e sulla sessualità. Affrontato in prima persona da nss magazine in occasione della digital cover numero n05 in un film scritto e diretto da Tommaso Ottomano, in cui attraverso la visione di 5 personaggi, ripresi prima vestiti e poi nudi, la carne viene interpretata come il primo strumento che usiamo per costruire la relazione con l’Altro, diventando sia uno strumento che un fine, allo stesso tempo un tempio e una prigione, fonte di piacere e di sofferenza.
Superati gli stereotipi di una società eteronormativa e patriarcale, cosa può definirsi davvero sexy oggi? Sicuramente il video di Blurred Lines non lo è più. Nel libro Emily Ratajkowski parla del suo corpo, ma apre un dibattito che accomuna i corpi di tutte le donne, ne maledice le fattezze e la bellezza, sentendola quasi una colpa per gli abusi subiti negli anni, e allo stesso tempo lo celebra quando riferendosi al figlio Sly scrive “carne della mia carne, pensai, avevo spostato lo specchio ma riuscivo ancora a vedere il posto da cui era emerso. Il mio corpo”.