Il fantastico mondo del merch dei musei italiani
Da semplici souvenir a segni distintivi di una community
06 Luglio 2021
Ogni percorso museale al mondo si conclude nell'immancabile gift shop. Un luogo dove si trovano libri, magliette e cappelli commemorativi, tote bag e ogni sorta di ammenicolo su cui è possibile stampare sopra un quadro famoso: portachiavi, posaceneri, puzzle, tazze, ombrelli, quadernetti, sciarpe e via dicendo. Tutti oggetti che ricadono spesso nella categoria del kitsch, sia per la loro scarsa qualità, sia per la dubbia art direction con la quale sono state prodotte, sia per il loro status di souvenir un po' infantile. Ma negli anni le cose sono cambiate.
Ad esempio il principale museo del mondo, il Louvre, ha collaborato di recente sia con Netflix in occasione dell'uscita di Lupin, sia con Uniqlo e, prima del lockdown, con Virgil Abloh e con A.Cloud, il brand di Adrienne Yang. Lo scorso aprile Pangaia e Takashi Murakami hanno creato una capsule per il MoMa - reduce da una collaborazione con Vans. Sempre nel 2019, il Museum of Contemporary Art di Chicago ha collaborato a una capsule disegnata da Abloh in occasione della sua mostra. Nel 2020 invece Daily Paper ha collaborato con il museo di Van Gogh che ora sta per lanciare la sua linea di profumi e che aveva già collaborato con Vans nel 2018 e Sotheby's ha creato una collezione di merch con stampe artistiche insieme ad Highsnobiety.
Se la categoria del merch in generale gode di una vita tanto prospera sul piano commerciale è perché il senso di appartenenza culturale che il merch esprime rappresenta un forte stimolo psicologico per il pubblico. Daniel Rodgers di Highsnobiety scrive in un articolo sul cultural merch che, durante la pandemia, "acquistare la t-shirt dei posti preferiti di ciascuno è diventata la maniera di supportarli attraverso la crisi", un segno dell’importanza delle community ma anche, sempre nelle parole di Rodgers "una stretta di mano segreta" che, secondo The Cut, a New York si è tradotto nello Zizmcore, ossia il trend di indossare il merch ultra-locale di bar e locali newyorchesi come segno di appartenenza a una certa comunità. A Milano qualcosa di simile è accaduto con Giannasi, la leggendaria rosticceria aperta nel '67, le cui magliette sono pure spuntate fra i reportage dell'ultima fashion week e che effettivamente rappresentano una sorta di segno d'intesa fra gli abitanti della città.
Quelli che un tempo era considerati capi creati senza sforzo da comprare senza pensare troppo, come le magliette dalle grafiche ingenue e un po' grezze, i cappelli con lo stemma dei Musei Vaticani o le t-shirt glietterate dei mosaici romani che si vendono a Pompei oggi sono diventati uno statement che va al di là dello stile. Il ritorno del normcore e la tendenza sotterranea del touristcore hanno promosso questo slittamento nella percezione: ciò che era imbarazzante un tempo oggi ricorda il vecchio mondo delle gite scolastiche, dei viaggi coi genitori e delle attrazioni turistiche volgari ma così nostalgiche degli anni '90 e dei primi 2000. Si tratta, in definitiva, di una sorta di ritorno della logomania ma in chiave culturale.
In giro per i gift-shop d'Italia
Facendo un rapido giro per gli e-shop online dei principali musei italiani si nota immediatamente una profonda differenza con quelli dei loro "colleghi" internazionali. Qualche esempio: nel portale digitale che include tutti gli e-shop dei musei cittadini di Firenze, accanto a una maglietta e un berretto bianchi col logo degli Uffizi, si trova anche un curioso paio di sneaker con sopra l’Annunciazione di Leonardo, apparentemente in vendita anche se l'azienda che le produce, Springa, non dà segni di vita dal 2016; più divertenti sono le t-shirt di Pompei, con il famoso mosaico del Cave Canem in versione paillettes, l'immagine di Flora e gli schizzi di Luciano De Crescenzo. Ai Musei Vaticani, invece, si punta sull'ingenuità: una t-shirt con la Scuola di Atene di Raffaello che reca il nome del pittore e un cappellino bianco con lo stemma papale; mentre a Torino, oltre alla classica t-shirt del Museo Egizio, ci sono anche i gioielli di Petra Waszak.
A Milano invece il Museo della Scienza offre una serie di magliette decorate con gli schizzi di Da Vinci, alla Pinacoteca di Brera si vende, fra le varie tote e gioielli, una maglietta azzurra con il logo di Brera Ad Occhi Aperti mentre si può anche acquistare un foulard creato in collaborazione con Trussardi. A Palazzo Reale invece i prodotti variano col variare delle mostre e includono, come negli altri casi, t-shirt e tote bag come item principali. In generale, però, va sottolineato come l'arretratezza tecnologica ha rallentato anche il progresso estetico del merch dei musei italiani che, paradossalmente, è rimasto talmente indietro da colorarsi di un'aura nostalgica, per non dire del tutto camp, e proprio questa sua natura del tutto ingenua lo rende oggi interessante, espressivo, dotato di quel fascino che hanno tutte le cose demodé ed esagerate.
Perché il merch dei musei tornerà ad essere rilevante
Una visione che Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, ha provato a cambiare in Italia fra molte fatiche e che lo ha portato, ad esempio, a promuovere i musei tramite Chiara Ferragni e mettendo in vendita opere digitalizzate sotto forma di NFT. Ma se anche queste iniziative sono del tutto lodevoli e moderne, partire dal merch dei musei per promuovere la rilevanza sociale è una strada che non sembra essere stata ancora percorsa. Eppure ignorare questo aspetto significa ignorare enormi opportunità tanto commerciali che di marketing, senza menzionare come una collaborazione fra un museo prestigioso e un brand di moda di rilievo, seguendo l'esempio del Louvre, aiuterebbe a svecchiare la percezione che il pubblico ha del museo stesso.
In linea con i nuovi obiettivi da raggiungere per superare la crisi della pandemia, dunque, il mondo della cultura istituzionale italiana dovrebbe cominciare a rivalutare le potenzialità del proprio merch: il 2021 è l'era delle community e delle identità collettive, parlare questo tipo di linguaggio potrebbe consentire ai molti musei italiani di trovare quel pubblico giovane e quella nuova rilevanza che da anni stanno disperatamente cercando.