“Un elemento che è presente nella danza e non è presente in un museo o in una galleria è il controllo sul tempo”
Che si osservi un Pikachu realizzato in pietra vulcanica o una Porsche a dimensione naturale, in tutta la produzione di Daniel Arsham il tempo - nelle sue svariate forme e declinazioni - è il protagonista. Non è un caso che Arsham abbia realizzato un moving clock - un orologio che si trascina dietro una parete, per la collaborazione insieme per l’Art Event 2021 di IKEA al quale ha partecipato insieme ad altri 4 artisti e designer. Quello che rende speciale Arsham è proprio questo: la capacità esplorare concetti complessi attraverso la cultura mainstream, spaziando da una collaborazione con Dior fino ad IKEA, passando per Pokémon e KITH.
Nato a Cleveland nel 1980 e residente a New York, fa parte di una nuova élite di artisti - come KAWS, Futura o Takashi Murakami - che è riuscita a svincolarsi dall’arte concettuale da galleria e calarsi a pieno nel magma multiforme e cross settoriale della cultura contemporanea. L’appeal sul grande pubblico delle opere di Arsham ha a che fare con molte aspetti dell’hype culture e dello streetwear: come Virgil Abloh, Kim Jones e Supreme, Arsham riesce a giocare con le icone della cultura contemporanea post capitalista riuscendo allo stesso tempo a offrire una critica e sfruttare i meccanismi di marketing. Il suo interesse per il concetto della percezione del tempo e del suo passaggio, stridono clamorosamente con la velocità e l’immediatezza della cultura contemporanea, allo stesso tempo la patina antica nelle suo opere è in conflitto con l'estetica patinata e scintillante a cui fanno riferimento.
nss magazine ha avuto il piacere di parlare con Arsham della sua produzione in occasione della presentazione dell'IKEA Art Event 2021.
La tua collabo con IKEA mi ricorda il primo lockdown, quando lo spazio era limitato e il tempo era un po' distorto. Puoi spiegarmi il concetto di orologio e se ha qualcosa a che fare con la pandemia e il lockdown?
Nel corso del tempo ho realizzato diversi lavori che avevano come protagonisti degli orologi inseriti all'interno dell'architettura, oltre ad altri che giocavano con il senso di storia per le persone. Per questo la distorsione del tempo è qualcosa su cui ho lavorato molto. In realtà la collabo non ha nulla a che fare con la pandemia, è stata pensata prima che iniziasse e la sua correlazione con il concetto di tempo è una pura coincidenza. Durante la pandemia per qualcuno il tempo passava più rapidamente, mentre per altri era molto più lento del solito. Questa esperienza ci ha resi più sensibili ai movimenti del tempo e al modo in cui lo viviamo.
Come hai iniziato ad interessarti al rapporto tra tempo e spazio?
Una volta finita la scuola il mio primo lavoro è stato quello di stage designer per un coreografo di danza. Uno degli elementi presenti nella danza e nelle performance ma totalmente assente in un museo o in una galleria è proprio l'elemento del tempo, il modo in cui vivi questo tipo di arte in movimento in rapporto a diverse espressioni di tempo: in alcuni casi la performance ti sembrerà molto lunga, altre volte molto corta. Il tempo riesce a giocare con la nostra esperienza. L'ho trovato estremamente interessante e utile, in molte delle mie mostre ho lavorato sul modo in cui le persone si muovono fisicamente all'interno dello show per usare l'architettura per rallentarle. Usando muri e ostacoli, il tempo diventa parte della performance.
Trovo estremamente affascinante il tuo punto di vista sull'hype culture e sulla decontestualizzazione degli oggetti. In che modo l'arte contemporanea interagisce con la cultura mainstream, come le sneaker, Pokemon o IKEA?
In un certo senso sembra che cose come Nike e i Pokemon siano combinate con l'arte contemporanea già nella vita di tutti i giorni. In realtà non siamo la prima generazione a farlo, in passato artisti come Warhol lo avevano già fatto; ma se torniamo indietro fino all'epoca romana le sculture di divinità e generali erano le icone del loro periodo. Ora sono Topolino o Pikachu e per questo cerco di interpretarle allo stesso modo. La cosa migliore di questo progetto con IKEA, oltre agli oggetti realizzati da tuttii designer, è la portata che riuscirà ad ottenere. Non tutti hanno una galleria o un museo vicino casa o magari non hanno la possibilità di vedere oggetti come questi.
L'hype culture ha cambiato qualcosa nel processo creativo in molti settori: che cos'è? E perché questo tipo di processo culturale funziona così bene per le sneaker e la moda in generale?
In parte è legato ai creator e alle personalità della fashion industry come Virgil Abloh, Kim Jones e Matthew Williams. Siamo tutti cresciuti in ambienti specifici, per me ad esempio le Jordan erano un oggetto aspirazionale, qualcosa che a un certo punto volevo avere, soprattutto quando non hai le risorse per permettertelo. Per questo le Jordan hanno quel fattore distintivo, perché erano qualcosa a cui aspiravi ed erano piene di significato per una certa comunità.
Perché pensi che la parola lusso abbia cambiato significato?
È un processo culturale. Penso che sia davvero una questione di prospettiva dei creator: Virgil ha fatto molto in quell'ambito, ma ai tempi anche Galliano ha creato un universo narrativo che era interessante per un certo di consumatore.
Sei anche il direttore creativo di una squadra NBA. È una mossa importante che conferma come anche il settore sportivo stia portando avanti un approccio più intersettoriale. Puoi dirci qualcosa di più sul lavoro con i Cleveland Cavs?
Sono onorato di avere una posizione davvero unica, perché il titolo di direttore creativo non esisteva prima della mia nomina. Il mio desiderio era di fondere il basket, un aspetto importante della cultura americana, con l'arte, il design e la moda. Ma soprattutto quello che mi chiedevo per i Cavs era: come posso parlare a un pubblico che non segue necessariamente il basket, ma anche come posso trasformare la squadra, il logo e il prodotto che produciamo in oggetti culturali? Può capitarti di stare in Giappone e vedere un ragazzo che cammina con una maglia dei Lakers. Magari non ha idea di chi giochi attualmente nella squadra e di come stia andando in quella stagione, ma indossa quellla maglia per quello che rappresenta per lui. Questa è una prospettiva davvero interessante.
Sono sempre stato affascinato dall'idea di vivere in un mondo complesso, al punto che gli umani hanno rinunciato a cercare di dargli un senso. Arte e design dovrebbero giocare un ruolo in questo: qual è il ruolo dell'artista rispetto alla realtà e come cambierà?
Sono d'accordo con questo idea: la natura umana e il mondo in cui viviamo sono impossibili da capire con un approccio razionale. Una funzione dell'artista è certamente quella di interpretare la realtà, ma un'altro obiettivo raggiunto dagli artisti è quello di aver creato un sistema linguistico che funzioni al di fuori dei vincoli del linguaggio. Quindi un'opera d'arte potrebbe essere compresa in qualsiasi lingua senza la necessità di imparare quella lingua. Per me il lavoro dell'artista è quello di creare un linguaggio diverso in grado di farci percepire meglio ciò che sta accadendo nel mondo.