“Com’è stato crescere in Italia?” Per chi in Italia ci è nato e cresciuto, la questione assume dei connotati quasi ovvi, l’idea che quella attuale in cui si è immersi sia l’unica cultura di riferimento porta le persone immaginare delle risposte molto semplici, a volte standardizzate, a questa domanda.
Ci sono tuttavia dei casi in cui le risposte possono essere diverse da quelle che ci si aspetta, e questo perché per qualcuno crescere in Italia ha potuto significare dover abbattere delle barriere e farsi portatore di un cambiamento positivo che potesse trasformare la cultura dominante. Per gli afro-discendenti, per le persone di colore, la risposta a quella domanda non è sempre scontata, ma può essere sorprendente: l’intenzione del progetto Growing Up in Italy, prodotto in collaborazione con Woolrich, è esattamente questa, indagare le risposte a quella domanda, con l’obiettivo di far emergere delle storie positive di integrazione e di successo, storie che partono da esperienze personali ma che si incontrano in uno dei più caratteristici aspetti della cultura africana, il cibo. Gli ultimi anni hanno visto l’emersione di tanti ristoranti africani, una cultura culinaria per certi versi molto diversa da quella a cui l’Italia è abituata, ma che, nella sua essenza, ha la sua stessa funzione di aggregazione e di tramandare le tradizioni. Per questo motivo The Good Neighborhood Collective, il collettivo di creativi milanesi nato con l’obiettivo di raccontare le storie delle seconde generazioni di Italiani, ha scelto di ambientare le storie di quattro protagonisti in due location molto particolari.
La prima è Mama Africa: il ristorante viene aperto a Milano nell’aprile del 2017. L’idea del suo fondatore e proprietario, Ibrahim Jaiteh era quella di diventare uno dei punti di riferimento della ristorazione africana in città. Un obiettivo perfettamente centrato, dato che nelle ore in cui le prime protagoniste di Growing Up in Italy, Junia e Amira, raccontavano le loro storie, in un qualunque giovedì milanese, nel locale si è avvicendata una clientela varia ma molto affezionata. Il menù di Mama Africa infatti è un mix di influenze africane, che percorre un viaggio culinario attraverso diversi stati africani, diventando un luogo perfetto per un incontro di cibo e culture. «Cerco di portare ogni giorno la mia cultura nei miei progetti. Faccio la graphic designer e il mio obiettivo è mostrare ciò che sono e la mia identità. Ogni giorno cerco di dimostrare che c’è qualcosa che anche noi afrodiscendenti possiamo apportare qualcosa di positivo e che possa arricchire la cultura italiana e l’Occidente in generale. Anche noi abbiamo un bagaglio che può aiutare molto l’occidente a integrarsi», ha raccontato Amira, 26 anni.</p
Crescere in Italia, per lei, ha significato un'apertura progressiva: dalle scuole materne fino all’Università, si è trovata a far i conti ogni giorno con una società sempre più inclusiva e aperta, che le ha dato modo di scambiare le proprie idee e influenze culturali. Anche per Junia la maturità personale ha coinciso con un percorso di crescita e accettazione della propria identità. «Crescendo mi sono accorta che le mie peculiarità erano in realtà la mia forza, e che non dovevo cercare di uniformarmi agli altri. Ogni giorno cerco di fare un lavoro importante su me stessa, per fare tutto al meglio e provare ad essere un punto di riferimento per la mia generazione».
Amira e Junia ci hanno raccontato anche dei loro piatti preferiti, rispettivamente il cous cous & tajine (uno dei piatti tipici della cultura marocchina, uno stufato di carne e verdure accompagnato poi da salse e spezie come il Ras el Hanout), e il jollof rice (un piatto a base di riso e pomodoro, che esiste in tante varietà diverse). Ma la cucina africana è molto varia, composta da una serie infinita di combinazioni di ingredienti, così come da modalità di presentazioni, la cucina africana è molto varia: la seconda parte del nostro progetto si sposta perciò su Sambuus. Il ristorante nasce dall’idea e dalla volontà di portare un po’ di sapori della Somalia a Milano. La clientela, nel tempo, ha risposto benissimo: spazia da ragazzi giovani, aperti alla volontà di conoscere una nuova cultura, ai professionisti che si concedono una pausa pranzo diversa.
All’interno di Sambuus conosciamo anche Williams, graphic designer e illustratore, che ci dice che crescere in Italia a volte è stato come crescere in due paesi diversi: «A casa, soprattutto con i miei familiari, mi sentivo a volte troppo bianco, mentre con i miei amici avevo l’impressione di essere troppo nero. Pensavo di dover scegliere da che parte stare, ma in realtà essere afroitaliano era la mia forza e ciò che mi rendeva ciò che ero. Una cosa che cerco di ricordare sempre nei miei progetti artistici: disegnare personaggi neri aiuta a far sentire anche gli altri più rappresentati». Il suo piatto preferito è la attieke, un piatto simile al cous cous ma a base di manioca, condito con del platano fritto e pollo.
Anche Havana, appassionata di kelewele (uno snack a base di platano fritto e spezie) ha dovuto fare i conti con la sua dualità: «Spesso anche nel mio lavoro da modella mi capitava di essere o troppo bianca o troppo poco bianca», ha raccontato. Crescere in Italia significa anche dover rompere delle barriere, far sì che quelle barriere cadano perché - in tutti i gli aspetti della vita - si possa far sempre meglio. «Ogni giorno cerco di sensibilizzare gli altri e far capire che non esistono differenze e che in un paese così multiculturale come l’Italia, il futuro può solo essere positivo».