La finta trovata femminista di Pantone con 'Period Red'
La sfumatura che dovrebbe abbattere lo stigma attorno al ciclo mestruale
03 Ottobre 2020
Un paio di giorni fa Pantone, azienda leader nella catalogazione dei colori, ha rilasciato una nuova sfumatura dal nome inequivocabile: Period Red. Si tratta appunto della sfumatura rossa che dovrebbe simboleggiare il ciclo mestruale, una creazione realizzata in partnership con Intimina, brand svedese di prodotti per l’igiene intima, come parte della campagna Seen+Heard. Pantone ha subito sottolineato le sue buone intenzioni, defininendo l'operazione come un modo per sensibilizzare il pubblico - senza distinzione di genere - su un argomento considerato ancora tabù in moltissimi paesi. Laurie Pressman, vice presidente di Pantone Color Institute, ha dichiarato che la collaborazione è nata con l’obiettivo di spingere tutti, uomini e donne, a sentirsi a proprio agio nel parlare liberamente e apertamente di questa funzione del corpo, così pura e naturale.
C’è sicuramente della legittimità in questo progetto, se non altro perché il ciclo interessa una donna in media per 2,535 giorni della sua vita, e resta tuttora un argomento raramente discusso nel dibattito pubblico. Da discutere, a voler essere onesti, non ci sarebbe poi così tanto, basterebbe riconoscerne l’esistenza, i fastidi, i sintomi - senza che diventino delle scuse dietro cui nascondersi, o peggio, dei modi di dire misogini per apostrofare il fenomeno - e soprattutto l’enorme tassazione che, ad esempio in Italia, è applicata su prodotti come assorbenti e tampax, veri beni di lusso.
Resta ancora altissimo il numero di paesi in cui non solo le ragazze devono subire discriminazioni nei giorni del ciclo, o vengono costrette a saltare la scuola, allontanate dalla casa di famiglia perché considerate impure, o che ancora non hanno i mezzi economici per potersi permettere assorbenti e annessi. Nonostante tutto dei passi nella giusta direzione sono stati fatti. La Scozia, ad esempio, nel 2018 è stato il primo paese a fornire assorbenti gratis nelle scuole e nelle università, seguito un paio di anni dopo dal Regno Unito.
Come sempre quando si tratta di argomenti di questo tipo le reazioni sono state miste, tra chi grida alla rivoluzione e chi accusa Pantone di non aver avuto il coraggio di rivolgersi apertamente alle donne, in tempi in cui la gender fluidity è una manna per gli affari. La trovata di Pantone, però, di rivoluzionario non ha proprio nulla. Intanto perché quella sfumatura è l’ennesima rappresentazione edulcorata e stilizzata del ciclo - più che un passo avanti è l'ennesima mistificazione del fenomeno, raramente inquadrato nelle sue fattezze reali. E inoltre, in che modo questa immagine dovrebbe favorire il dibattito sul tema, aiutare a polverizzare lo stigma che lo circonda? Il progetto, nato con l'unico obiettivo di diventare virale, si inserisce piuttosto in una forma di femminismo, se ancora così lo si può chiamare, che vive tanto (e solo) sui social, al ritmo di slogan preconfezionati e battaglie dalla rilevanza discutibile. Un femminismo che vive di indignazioni momentanee e rivendicazioni volatili, che ha riconosciuto il nuovo colore di Pantone come un grande traguardo, e non come invece la riprova finale che di passi avanti non è stato fatto nessuno, proprio il contrario. Uno specchietto per le allodole che Pantone, genio del marketing, ha realizzato appositamente per quel popolo social. Ma di chi è esattamente questa battaglia, a chi parla, chi dovrebbe combatterla? Questo non è chiaro.