Il cinema racconta la morte di George Floyd da più di 30 anni
Da Spike Lee a ‘Queen & Slim’, molti film hanno denunciato la police brutality
05 Giugno 2020
Negli ultimi giorni, mentre i social si sono tinti di nero, le televisioni di tutto il mondo hanno mostrato i video delle manifestazioni e delle rivolte scoppiate negli Stati Uniti dopo la morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso per strada da un agente di polizia di Minneapolis. Le immagini dell’episodio, un video ripreso con lo smartphone, hanno suscitato lo sdegno di tutti, tanto da convincere anche la fashion industry a esporsi per sostenere il movimento Black Lives Matter. Ma non è la prima volta che si vedono.
Il cinema non è nuovo a questo racconto: la morte di un cittadino afroamericano per mano delle forze dell’ordine e lo scoppio di una rivolta violenta e distruttiva, in fondo, non sono altro che la trama di Fa’ la cosa giusta, il film cult che ha lanciato Spike Lee. Il film è uscito nel 1989 negli Stati Uniti e nel 1991 in Italia, ricevendo anche due nomination agli Oscar®. Nonostante siano passati più di trent’anni, la storia di Radio Raheem e della sua morte senza senso è identica a quella di George Floyd; lo ha dimostrato lo stesso regista, pubblicando su Twitter un cortometraggio in cui ha affiancato il video della morte di Floyd e di Eric Garner a New York nel 2014 alla sequenza di sommossa del suo film.
Quante volte sul grande schermo si è visto un agente di polizia bianco fermare un nero alla guida? Abbastanza da sapere che, a dispetto degli slogan nati durante la pandemia, non andrà tutto bene. Non serve scavare a fondo per trovare il primo esempio: pochi giorni prima del lockdown nelle sale italiane è uscito Queen & Slim, l’opera prima di Melina Matsoukas scritta da Lena Waithe. La premessa è emblematica: quando la coppia formata da Daniel Kaluuya (Get Out, Black Panther) e Jodie Turner-Smith viene fermata da una pattuglia lungo una strada deserta di Cleveland, è chiaro che la situazione finirà in tragedia. Come da manuale il poliziotto abusa della sua autorità, tanto che alla fine ci scappa il morto, solo che questa volta è il ragazzo nero che ammazza il poliziotto bianco. Un incidente? Sì. Ma in un’America che non fa sconti agli afroamericani, l’unico orizzonte possibile è fuggire.
La critica è stata impietosa e ha accusato il film di affrontare con superficialità un tema troppo sensibile (la regista aveva ricevuto le stesse accuse dopo aver diretto il videoclip di Formation di Beyoncé). Ma Queen & Slim è soltanto l’ultima interpretazione di un tema molto caro al cinema, soprattutto ai registi afroamericani: soltanto dal 2013 a oggi sono usciti Il coraggio della verità - The Hate U Give, Fruitvale Station, Blindspotting, Monsters and Men, American Son e presto uscirà anche American Skin, il secondo film di Nate Parker (prodotto da Spike Lee). Persino la serialità ha dato diversi esempi sul tema: nel 2019 su Netflix è uscita When They See Us, la serie-evento ideata da Ava DuVernay (la regista di Selma - La strada per la libertà).
Nel 2018, Spike Lee ha vinto anche un Oscar® alla miglior sceneggiatura con BlacKkKlansman: la storia di Ron Stallworth, il primo poliziotto afroamericano a Colorado Springs, infiltrato in un gruppo locale del Ku Klux Klan e vittima di pregiudizi da parte dei suoi stessi colleghi. Il film, ambientato all’inizio degli anni Settanta, si chiude con le immagini delle manifestazioni a Charlottesville, Virginia nel 2017 e le dichiarazioni di alcuni fanatici che ancora oggi inneggiano alla “supremazia bianca”. Il messaggio è chiaro: il razzismo esiste ed è pericoloso. Soltanto due anni più tardi, nel 2019, Les Misérables (più che un titolo, una provocazione che rimanda al romanzo di Victor Hugo) lo ha sottolineato per l’ennesima volta: raccontando il mondo delle banlieu parigine, il regista Ladj Ly ha messo in chiaro che il razzismo non è un problema soltanto americano.
Il cinema racconta la morte di George Floyd e quella di tantissimi altri afroamericani (e non solo) da più di trent’anni. Il problema, forse, sta in una fetta ancora troppo grande di pubblico ancora convinta che si tratti solo di un film: è il pubblico che ha premiato Green Book, che vuole vedere la favola degli afroamericani chiudersi con un enorme abbraccio. Mentre qualcuno, con una punta di cinismo, suggerisce l’inizio di una nuova era post-Black Lives Matter, le immagini di questi giorni confermano che il cinema può essere uno strumento chiave per raccontare e cambiare la realtà: ora più che mai è importante imparare ad ascoltarlo.