Quali sono le responsabilità di Telegram sul revenge porn?
Quali colpe sono da attribuire alla piattaforma e quali ai suoi utenti
07 Aprile 2020
L’anonimato è un’arma a doppio taglio. In paesi dai regimi oppressivi, segnati dalla violazione della privacy, la presenza di chat criptate e forme di espressione anonime può diventare la voce della libertà d’espressione. Nel resto dei casi, invece, può diventare una sorta di “mantello dell’invisibilità” sotto al quale sparisce ogni freno e qualunque forma di decenza umana viene abbandonata. Questo è il caso del più recente scandalo che qui in Italia ha coinvolto un certo gruppo su Telegram, di cui è meglio non fare il nome per non ampliarne la diffusione, che, in base a un’inchiesta di Wired, è risultato essere il più grande network di revenge porn che il nostro paese abbia mai conosciuto: foto intime di donne e ragazze che vengono spartite e commentate, richieste di ricattare e perseguitare l’ex-fidanzata di questo o quell’utente e persino domande francamente rivoltanti che riguardano l’abuso su minori e la violenza sessuale. Si è cercato di attribuire parte se non tutta la responsabilità di questo fenomeno a Telegram stesso, in quanto chat totalmente protetta dai controlli di autorità esterne - ma è proprio questa sua natura che lo rende uno spazio prezioso per la libertà di parola nel mondo, né all'app mancano policy relative alla condivisione di pornografia. Tutta la colpa deve invece ricadere sugli utenti che di questa libertà approfittano e sulla cultura umana che rende accettabili questo tipo di contenuti per una così larga porzione di individui.
Stiamo contattando la polizia postale, grazie della segnalazione ragazzi
— Fedez (@Fedez) April 3, 2020
L’esistenza di questi gruppi non è certo una novità: la stessa inchiesta pubblicata recentemente da Wired non è che il follow-up di un analogo reportage risalente all’anno scorso. Nel frattempo gli amministratori di Telegram hanno cancellato più e più volte il famoso gruppo, che nel periodo di massima espansione contava 21 canali, con oltre 43mila iscritti e circa 30mila messaggi al giorno. Purtroppo questo chat group è insidioso, appena lo si cancella ecco nascerne un altro, e il network di persone che lo sfrutta è così ampio che si può essere certi che continuerà ad apparire e riapparire. Come fa notare Wired, gli utenti più esperti in questo tipo di traffici di pornografia sanno come mantenere l’anonimato mentre esistono fasce di utenti meno tech-wise, tendenzialmente uomini di mezza età, professionisti e padri di famiglia, a cui invece mancano le nozioni tecnologiche base per mascherarsi a dovere. In queste ore, molte voci si stanno levando contro il fenomeno – la più notevole delle quali è quella di Fedez che tre giorni fa ha denunciato il gruppo alla Polizia Postale dopo una serie di segnalazioni su Twitter. L’esplosione su Telegram di questo vergognoso fenomeno ha sollevato però delle questioni su cui è meglio fare chiarezza.
Sarebbe facile in questo frangente demonizzare, invece che gli utenti, la piattaforma stessa. Dopo tutto è proprio Telegram che grazie al suo sistema di crittografia end-to-end fornisce a questo largo gruppo di persone uno spazio in cui dare sfogo alle proprie pulsioni più infami. Ma incolpare Telegram per la diffusione di questi contenuti equivale a incolpare gli alberi se scoppia un incendio nella foresta. C’è sempre qualcuno che appicca il fuoco. Crittografia e anonimato potrebbero essere e sono grandi strumenti per promuovere la libertà di parola, è la cultura degli utenti il vero terreno fertile per l’apparizione di tali vergognosi fenomeni. In ambito giornalistico si utilizza spesso una parola trita ma espressiva per riferirsi agli episodi di abuso sessuale, “branco”, che pone giustamente enfasi sulla bestialità delle dinamiche sviluppatesi entro certi contesti. È il branco di questi uomini da incolpare se evenienze come quella attuale si verificano, e non certo un medium come Telegram che anzi nel suo essere nettamente più hardcore nella difesa della privacy dei propri utenti, essendo privo di pubblicità e presentandosi come zona franca per lo scambio di qualunque contenuto dovrebbe addirittura essere lodato per integrità.
Confrontando infatti i sistemi di crittografia di Telegram e di WhatsApp non si può fare a meno di notare come WhatsApp, pur proteggendo i dati dei propri utenti dagli hacker online, li mette a disposizione del suo proprietario, ossia Facebook, che ha fra l’altro unificato gli account dei propri utenti per incrociare i dati raccolti su di loro. Facebook, Instagram e tutti gli altri social, in fin dei conti, nonostante il loro aspetto sicuramente più politically-correct raccolgono continuamente dati e localizzazioni, conservandoli nei server aziendali e pilotando il tipo di contenuti a cui il loro utente accede, manipolando gusti e pubblicità. Telegram, invece, sfrutta una rete delocalizzata di server cloud che tritura letteralmente i dati nel cloud di diversi paesi rendendo difficilissimo il loro recupero. Proprio davanti a situazioni estreme come l’attuale vicenda del revenge porn, bisogna mantenere più salda la propria razionalità, non cadere subito nella facile indignazione da social media e soprattutto non gridare allo scandalo con superficialità. Se si vorrà un giorno riuscire ad approcciarsi alla tecnologia in maniera corretta servirà avene nozioni ben fondate e sicure e non additarla come la facile colpevole di tutti i mali del mondo.