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Grand Hotel Campo dei Fiori

Il gioiello Art Nouveau abbandonato, set del Suspiria di Luca Guadagnino

Grand Hotel Campo dei Fiori  Il gioiello Art Nouveau abbandonato, set del Suspiria di Luca Guadagnino

È da poco uscita nelle sale cinematografiche Suspiria, la rivisitazione diretta da Luca Guadagnino del classico horror del 1977 di Dario Argento. Tra i tanti segreti nascosti nella storia di Suzie Bennett (interpretata da Dakota Johnson), ballerina americana trasferitasi in Europa per seguire i corsi di danza di una prestigiosa accademia che si rivelerà un covo di streghe e scienze occulte, c’è ne è uno molto interessante, legato proprio a questo luogo misterioso. Sebbene la pellicola sia formalmente ambientata nella Berlino degli anni ’70, la location scelta per girare le scene svolte all’interno della Helena Markos Dance Company sono in realtà state girate in Italia, al Grand Hotel Campo dei Fiori. Arroccata sul monte Tre Croci, a poca distanza dal centro della città di Varese, la struttura, ormai in stato di abbandono, sembra un gigante addormentato, il riflesso decadente di quello che, nel suo periodo d’oro, è stato uno dei più belli esempi di liberty italiano.

Torniamo indietro nel tempo, al primo decennio del XX secolo. All'epoca il Varesotto era una popolare meta di villeggiatura estiva, scelta per la tranquillità delle sue montagne e per i suoi panorami incantevoli non troppo distanti dai centri urbani. Complice il concomitante sviluppo della rete dei trasporti, nel 1907 alcuni imprenditori decidono di unire i loro interessi formando la Società Anonima dei Grandi Alberghi Varesini e ingaggiando Giuseppe Sommaruga, uno dei maggiori esponenti dell’Art Noveau nel nostro paese, per erigere tre progetti: la stazione della funicolare e due alberghi, uno da 30 camere (che diventerà il ristorante Belvedere) e uno da 200 camere. Proprio quest’ultimo, il Grand Hotel, con la sua planimetria divisa in tre settori viene descritto come

“un corpo centrale proteso verso la valle di Varese con due ali laterali asimmetriche e sfalsate, che formano una V aperta verso nord”.

L'edificio costruito tra il 1910 e il 1912 risulta un vero gioiello, con il suo maestoso portico in pietra sul lato posteriore e, presenti sia sulla facciata esterna sia all'interno, con il gioco di equilibri tra motivi a cerchio e quadrati, le decorazioni scolpite nella pietra e nel cemento, i bassorilievi del bancone della sala bar o della boiserie del salone, le specchiere e i decori floreali, ma anche con le antiche lampade, le elaborate ringhiere e i doccioni a forma di drago, tutti opera del maestro del ferro battuto Alessandro Mazzucotelli.

Non stupisce, quindi, che qui si riunisse abitualmente un turismo d'élite, interrotto per poco solo dalle due guerre mondiali. Per circa mezzo secolo il meraviglioso complesso è meta di un grande flusso di visitatori, ma, un po’ alla volta, il turismo, grazie al boom economico degli anni ’50 che facilita la possibilità per un’ampia parte di persone di allontanarsi anche molto dalla città, inizia a spostarsi dalla montagna verso il mare. Il numero di coloro che frequentano il Sacro Monte diventa sempre più esiguo e porta, nel 1958, alla chiusura del ramo della funicolare di Campo dei Fiori. L’hotel sopravvive ancora per un decennio e conclude il suo capitolo felice nel 1968, quando l’ultimo ospite varca la sua soglia. L’edificio cade in letargo, vittima del naturale declino e, soprattutto, di incuria e diversi furti (i dettagli più fastosi e di valore sono spariti). Negli anni ottanta, i Castiglioni, una famiglia di imprenditori locali, acquista lo stabile dando adito ad ipotesi sulla sua riapertura. Idea che sfuma ben presto dopo che il tetto dell’albergo viene sfruttato come "basamento" per antenne radio. Di nuovo il Grand Hotel Campo dei Fiori cade nell’oblio, almeno fino a quando Guadagnino lo sceglie come location per il suo nuovo film. Così le pareti ormai sbiadite, i soffitti semi-crollati e i mobili impolverati tornano, anche se per poco tempo, a vivere grazie al cinema.

La maestria di Inbal Weinberg, production designer del film e del suo team trasforma il fasto ormai perduto di un tempo passato nel monolitico edificio Bauhaus che ospita l’accademia di danza di una Berlino vintage. Come? La donna lo spiega dettagliatamente in un’interessante intervista apparsa su The New York Times. Rielabora gli interni decorati dell'hotel, incollando rivestimenti a mosaico e motivi floreali, per renderlo più minimale, lasciando contagiare dal senso di semplicità di Le Corbusier, mixando qualità decorative dell'architettura del XIX secolo con il modernismo del XX secolo di tutta Europa in un modo che ricorda Adolf Loos. Ad esempio, la cucina dell'Accademia è stata progettata per avere un'estetica utilitaria, simile alla cucina creata da Margarete Schütte-Lihotzky nel 1926, una delle prime cucine componibili prodotte in serie. Per osservare come le stanze dell’hotel siano tornati a nuova vita, rielaborate in lobby, studi di danza, uffici, cucina, dormitori dei ballerini e nella segreta Mutterhaus, dovrete andare al cinema. Quello che possiamo svelarvi è solo il nostro auspicio che l’hype attorno ad una meraviglia architettonica del nostro paese dimenticata continui a crescere, fino a produrre una reale opera di restauro.