Sono passati anni e stagioni, sono cambiati gli uffici, sono aumentati gli staff ma, per Massimo Giorgetti, Milano è bella oggi come lo era allora. «Sulla disillusione che si ha verso Milano non sono d’accordo», ci spiega nel cortile del suo spazio espositivo in Porta Romana, Ordet, «è vero che stiamo vivendo un momento di crollo del mito del centro – ma credo che Milano, nel suo allargarsi verso zone periferiche come Brenta o Nolo, stia restando autentica e sia una delle poche città europee che, per assurdo, nonostante inflazione, costi, affitti e prezzi folli sia ancora comunque vivibile - è una città piccola, molto a misura d'uomo». Come in effetti il direttore creativo di MSGM fa notare, quando l’odierno Ordet divenne il primo quartier generale del brand, nel 2013, «questa parte di Porta Romana non era considerata centro». E per Giorgetti il bello è che la situazione non è cambiata troppo: oggi Porta Romana è uno dei migliori quartieri di Milano ma nella posizione relativamente esterna in cui Ordet si trova «sento ancora la periferia che batte». Ciò di cui il designer parla è lo status tutto sommato autonomo che i diversi quartieri della città si sono guadagnati nel tempo, estendendo il senso di “centro città” a zone sempre più esterne al centro storico inteso come porzione della città che si trova nel primo cerchio delle antiche mura – quello che si ferma all’altezza di Porta Ticinese e Porta Lodovica. «Città come Londra o Parigi ormai sono delle bolle per rich people», prosegue Giorgetti, «mentre Milano io la trovo ancora democratica, la trovo aperta, trovo che possa dare ancora tanto sul piano delle connessioni. Questo movimento di allarmismo che si è creato ultimamente», continua il designer riferendosi tanto alla nuova schiera di haters che Milano si è guadagnata quanto ai discorsi sulla sua progressiva decadenza sociale, «non dico che sia ingiustificato, anzi, ma difendiamo questa città, facciamo qualcosa. Io nel mio piccolo credo di farlo». E la maniera di farlo è stata trasformare i propri ex-uffici in uno spazio culturale aperto al pubblico come Ordet – uno spazio in grado di diventare «un punto di riferimento» per quel tipo di cafè society milanese che orbita intorno al mondo della moda, del lusso, della cultura e della finanza.
Ordet è stato fondato nel 2019 insieme a Stefano Cernuschi ed Edoardo Bonaspetti, che è «il gerente» dello spazio laddove Giorgetti ne è, per assenza di un termine migliore, l’anfitrione che si mantiene «dietro le scene» affidando ai due l’incarico della curatela. «Partecipo un po’ incuriosito, mi sento ancora un outsider nel mondo dell’arte», spiega il designer per cui lo spazio, nel tempo, è diventato «un sistema di comunicazione, di presentazione diverso, più democratico» dove si trova «più empatia e umanità» che nella moda, una galassia dove questi due valori non mancano, tiene a precisare, ma che è necessariamente «più elitaria» e «dominata da regole un po’ diverse». In questo luogo puramente culturale in cui «non dobbiamo per forza vendere» e in cui ogni mostra ed evento viene organizzato «per il piacere dell'artista di esserci, del gallerista di farlo e di noi di ospitarlo» non solo Giorgetti può «tenere i radar accesi e le antenne alzate, capire cosa succede nel mondo» ma anche trovare «nuovi input e avere nuovi stimoli» confrontandosi con un mondo, quello dell’arte e del design, che ha imparato ad amare negli ultimi anni. «Ordet mi ha dato la possibilità di conoscere persone molto interessanti - perché poi nella moda le persone sono sempre le stesse», ha spiegato il designer. «Poi dopo qualche anno ti rendi conto che anche nell'arte è un po' così però anche se il sistema è molto simile alla moda e dunque si parla di budget, marketing, fiere, comunicazione, eccetera¸ la cosa bella è che al 90% gli artisti sono rimasti creativi veri. Fai fatica a dargli dei timing, dei budget». Uno spazio, dunque, dove si possano trovare delle connessioni umane più vere di quelle che si trovano nella moda; uno spazio che «è necessario anche perché io lo trovo necessario proprio per me», sottolinea ancora il designer, dato che «non si può neanche continuare a parlare di bar e di ristoranti».
Fare qualcosa per contribuire al tessuto culturale della città (quello costituito dai suoi “terzi posti” storici, come bar, negozi, musei e via dicendo) è diventata una missione e una passione per Giorgetti che della città e della sua mitologia post-Expo è uno dei più appassionati cantori. «Sia il mio personale storytelling che quello di MSGM su Milano è iniziato nel 2014», ovvero l’anno di preparazione all’Expo in cui gli animi in città si animavano davanti alla nuova Darsena e al sorgere di nuovi edifici e nuove aree, «e io Milano non l'ho comunicata fino a che non me ne sono innamorato». Le molte collaborazioni locali fatte tramite MSGM e soprattutto il fatto di essere stato «forse uno dei primi a parlarne, a farla diventare una narrazione e farla diventare anche moda» è un grande «punto d’oroglio» per il designer – che però potrebbe anche non fermarsi qui. «Una cosa che mi piacerebbe molto fare ancora, ma lì però è quasi una cosa personale, aprire un locale, aprire un cocktail bar, un wine bar. Sono in un momento in cui mi piace solo la natura, vini organici, biodinamici – posti come Bar Paradiso, Silvano a Nolo…», spiega Giorgetti. La sua passione per i vini naturali è diventata, inaspettatamente, anche una chiave di lettura della sua audience dato che il trend dei wine bar che ha preso la città d’assalto è per Giorgetti un indice di «come le nuove generazioni non si facciano più fregare, siano degli attenti consumatori. Io sono ossessionato dai consumatori e trovo che i nuovi consumatori siano molto più intelligenti di quelli vecchi. Le nuove generazioni fondamentalmente cercano più autenticità». Il che ha ricadute anche sul mestiere di Giorgetti dato che «la moda sta affrontando un problema strutturale e sistemico. Il sistema delle consegne anticipate, la proliferazione eccessiva di collezioni in ogni stagione, l'aumento continuo dei prezzi e l'eccessiva offerta di prodotti hanno contribuito a un progressivo disinteresse delle nuove generazioni nei confronti della moda. Queste generazioni preferiscono investire il loro tempo e denaro nel benessere, nell'alimentazione, nello sport, nei viaggi, in palestra e persino nella chirurgia estetica, anziché nell'acquisto di abbigliamento».
Tutte esperienze, quelle che Giorgetti elenca, che in effetti rappresentano sia le occasioni di indossare le creazioni della moda sia la parte più bella della vita in città. «Infatti se ci pensi ho legato molto MSGM al momento del stare bene», spiega infine il designer «a me interessa il godersi la vita perché comunque la cultura e l'arte sono bellissime però alla fine la vita è una e ce la dobbiamo godere. E poi secondo me non c'è niente di più milanese di uscire dall'ufficio e fare aperitivo o cenare in un bel posto dove stai bene. Milano è ancora una città bellissima in cui vivere». L’ultima domanda che gli rivolgiamo, a lui che è un fuorisede che parla ai fuorisede che popolano la città, è su chi siano i nuovi milanesi per lui. «I nuovi milanesi?», domanda a se stesso immaginando una risposta. «Beh, i nuovi milanesi siamo noi»
CREDITS:
Interview: Lorenzo Salamone
Photographer Piotr Niepsuj
MUAH Silvia Mancuso