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Io voglio solo rompere il ghiaccio Intervista a Jezabelle Cormio

Come glielo spieghi, a chi la moda non la mastica, perché agli scrittori e ai giornalisti del settore piace così tanto la parola “visionario”? Il termine inciampa sulle pagine delle riviste e dei siti online ogni volta che si descrive un designer o un creativo, senza rigor di logica - o almeno così pare. Tralasciando le definizioni da vocabolario che annoierebbero chiunque, per spiegare perché la moda ammira così tanto quest’accezione bisogna trovare ispirazione tra le collezioni e le parole di Jezabelle Cormio, fondatrice e direttrice creativa del brand che porta il suo nome. Cormio è nato nel 2019, insinuandosi da subito tra i nomi dei brand emergenti più seguiti ed attesi alla Milan Fashion Week. Oltre ad un’estetica tremendamente accattivante, legata alle passioni del mondo giovanile tra tinte che ricordano le ceramiche dipinte a mano in rosa, giallo e verde menta e silhouette che incorporano volant su look street style, ciò che ha reso Cormio un brand di punta della Settimana della Moda è stata l’attenzione ai particolari. Non si tratta di ricamare i bordi delle sedute degli ospiti o di invitare celebrity e giornalisti affermati (anche se alle ultime sfilate abbiamo intravisto Vanessa Friedman del New York Times in prima fila e Madame in passerella), ma di rendere lo show, come ci racconta la designer, «un momento dove finalmente tutto ha un senso» dove attraverso un look o una colonna sonora puoi dimostrare un concetto ben più profondo delle apparenze. L’ultima sfilata di Cormio, la SS24, ha raccontato la paura delle donne.

Seduta su un divanetto, pochi attimi dopo la fine dello shooting, Jezabelle Cormio racconta l’importanza della sfilata in relazione agli ultimi accadimenti nella cronaca nera italiana. Solo qualche ora prima è stato ritrovato il corpo della 105esima vittima di femminicidio di questo 2023. «Quest'estate è stata un'estate pesantissima» ricorda Cormio, «la sua morte è diventata una specie di catalyst. Ha accelerato la nostra coscienza e la nostra presa di posizione.» Il femminismo è un tema di grande interesse per la designer, che anche dopo aver presentato la sua ultima collezione sul tema della paura è tornata sull’argomento per un approfondimento. Guardando il documentario Il popolo delle donne di Yuri Ancarani, ci racconta, ha trovato sotto forma di film ciò che avrebbe voluto esprimere tramite i suoi design. «La psicoanalista Marina Valcarenghi sostiene che la violenza sia una confessione di paura e di debolezza» spiega Cormio, «è proprio la prova di come non si sentono all'altezza del momento, si sentono inadeguati e hanno paura di perdere il controllo.» Cormio pesa le parole che utilizza per raccontare i collegamenti tra la violenza di genere e la sua collezione con una sensibilità rara, ritornando indietro nel discorso e correggendosi ogni volta che sente di aver usato un termine sbagliato. «Nella collezione avevo pensato alla tensione che c’è sempre tra gli uomini e le donne» aggiunge, descrivendo la grande differenza che affligge l’approccio dei “due generi” al problema: mentre le donne sono sempre più aggiornate, hanno cominciato ad accendere dibattiti sul tema della violenza e a confrontarsi tra loro, gli uomini «si sentono un po’ tagliati fuori, in un certo senso cominciano anche ad accusare la paura di essere abbandonati o anche di rimanere indietro e di non poter più partecipare. Io volevo soltanto smuovere la situazione e rompere il ghiaccio. Cioè, perché tu hai paura di me? Io ho paura di te, non ci capiamo.»

Certamente, scegliere di raccontare il femminismo attraverso la moda non è un’innovazione, ma il modo con cui Cormio affronta i problemi che caratterizzano la vita di ogni donna sa di aria fresca, forse perché più istintivo ed onesto. Portare avanti una conversazione del genere, specialmente in questo periodo, è una scommessa per un brand emergente, ma per Cormio avere uno scopo concettuale è l’unico vero motivo dietro la sfilata. «Io non avevo voglia di fare un discorso troppo sterile» commenta la designer. Mentre i grandi del lusso hanno portato in passerella la causa a modo loro, tra slogan femministi e storie secolari a distanza di sicurezza da quelle che purtroppo si ripropongono quotidianamente, i brand indipendenti come Cormio si mettono in gioco. La sfilata, del resto, «è obsoleta solo per chi non la fa con le idee chiare» afferma la direttrice creativa, «molto spesso non c’è molto da dire.» I designer emergenti sono quelli che hanno più da dire, quindi? «Sì, perché abbiamo meno da perdere.»

Dopo aver studiato alla prestigiosa Royal Academy of Fine Arts di Anversa, sotto la guida di uno dei celebri designer degli Antwerp Six, Walter Van Beirendonck, la giovane stilista ha portato un po’ della scuola ludica e anticonvenzionale dell’insegnante belga nel Bel Paese. «Forse ce l'avevo io dentro, è quello che mi ha attratta a quel giro» ricorda Cormio. «Sicuramente non ci è mai stato imposto un certo livello di eleganza o di sensualità, non è mai stato un parametro.» Come i design di Van Beirendonck, le creazioni di Cormio prendono temi attuali e li re-impacchettano attraverso l’ironia e il colore. «In quell'università il valore principale era creare un DNA proprio» spiega, perché, nonostante ammirasse il lavoro del suo professore, voleva a tutti i costi allontanarsi dalla sua estetica. «Chi copiava un po’ troppo lo stile di Walter era anche un po' sfigato a priori» commenta. «Ogni volta che cominciavo una collezione mi sembrava di entrare in una giungla e non sapere come uscirne, magari non mi facevo vedere per un mese, poi tornavo con tante cose da far vedere, mi dicevano che pensavano stesse andando malissimo, e invece no, ci stava.»

Nonostante le controversie e gli ostacoli che ha dovuto affrontare per farsi strada in Italia, Cormio è contenta di essere tornata a casa per lanciare il suo brand. Malgrado le paure e lo stress che predispone la direzione di un’azienda indipendente, la manifattura italiana «non c’è altrove», spiega la designer. Allo stesso tempo, riconosce che il sistema moda italiano abbia ancora molta strada da fare, in particolare nel supporto dei giovani creativi. Esistono premi e borse di studio, internship e stage, ma a livello governativo, ammette, «ti apprezzano solo quando hai già fatto quello che dovevi fare. I supporti sono troppo piccoli per fare la differenza, non è mai grazie a quelli che si arriva da qualche parte. È veramente un caso italiano, non l’ho mai visto fuori.» Sono stati gli studi ad Anversa, così ancorati nella percezione del fashion brand come DNA a sé, come prodotto della mente del fondatore e non del sistema, a contribuire concretamente allo sviluppo e alla conseguente affermazione dell’estetica di Cormio, legata ad un immaginario tirolese e tradizionale rivisitato in chiave urban. Il folklore italiano, secondo la designer «è una grandissima contraddizione.» Anni fa, nel vedere accessori, abbigliamento e utensili per la cucina in fantasia tirolese in centro a Roma o a Milano, Cormio si era accorta di come gli italiani affermassero il proprio status sociale attraverso gli oggetti di montagna. «Era un po’ come se volessero farci sapere che loro avevano trovato un'estetica alternativa a quella che è solitamente italiana, in contrasto al mondo dell’italiano col piumino griffato, sempre abbronzato» aggiunge. Visitando le Dolomiti, Cormio ha scoperto che la cultura tirolese è molto più “rude” di quello che volevano far credere le persone che la riportavano in città: «in realtà è fatta di birra, di salsicce, di battute sconce, di grembiuli con maiali che si ingroppano.» Da lì nasce l’idea di «rubare un’estetica ai ricchi per poi continuare a fare cultura generale.»

La narrativa che incastra la tradizione all’inaspettato e il mainstream ai colpi di scena si rispecchia anche nella collaborazione del brand con Madame, che veste Cormio sul palco del suo tour e in passerella, recentemente in occasione della sfilata SS24. Lavorare assieme alla cantante, autrice de ‘L’Amore’, il suo ultimo album, ha permesso ad un’azienda in crescita come Cormio di viaggiare a ritmi inauditi. «Ci sono alcuni che proprio cambiano le cose» racconta la designer in merito alle celebrity e agli stylist che scelgono i suoi capi. «Per me Madame è proprio la cristallizzazione di quello che voglio dire. C'è una grandissima sintonia tra i nostri lavori, sono diversi ma ci incastriamo perfettamente.» Per Cormio, Madame incarna appieno la filosofia del suo brand. «La libertà e l’intelletto dove non te lo aspettavi; il fatto che non abbia mai veramente bisogno di dimostrare di essere una donna o di essere femminile. La sua unicità è quello che piace alle persone che la amano, è quello che vorrei anch’io: che non ci sia questo binario di femminilità. Tanto, alla fine, è tutto molto più interessante quando è più fluido

Alla fine della nostra intervista, dopo i saluti e le cortesie, una parola risuona nella nostra mente e si blocca, incerta. Per essere visionari occorre viaggiare con la fantasia, ma nel 2023 la moda non si può più permettere di accontentarsi di un sogno. Cormio si è affermato in un sistema enigmatico ed esclusivo - per di più in Italia - portando sotto i riflettori gli stessi temi sociali che altri brand menzionano solo per scrupolo. Invece di ricorrere a codici stilistici scontati, ha cercato nella sua esperienza personale un soggetto da esplorare e l’ha riscritto secondo nuove regole, sposando il femminismo al dilettevole, l’estetica tirolese allo spirito grintoso e urban dei giovani e delle artiste della scena musicale italiana. Si lascia tentare dalla fantasia, ma riesce ad ancorare la gioia e il divertimento che dà la moda ai problemi della nostra società senza farcelo pesare, e soprattutto senza piegarsi all’eleganza che in Italia sembra sempre dovuta. La vera sfida di Cormio è stata farsi sentire, non sfondare, perché il successo del brand era già scritto sui monti del Sud Tirolo, tra i palazzi di Anversa, ricamato sulle presine della Roma bene e in ogni sogno dell'adolescenza femminile.

Photographer: Pietro Cocco
Light Assistant: Luca Baldini, Carlo Gerli
Set Designer: Asia Calzà
Make Up: Anna Maria Negri
Hair: Gabriele Marozzi
Interview: Adelaide Guerisoli