A Guide to All Creative Directors

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È davvero necessario prendersela con "Il Gattopardo" di Netflix?

Non è il film di Luchino Visconti, ma non voleva (e non poteva) nemmeno esserlo

È davvero necessario prendersela con Il Gattopardo di Netflix? Non è il film di Luchino Visconti, ma non voleva (e non poteva) nemmeno esserlo

Dopo più di cinquant’anni una nuova versione de Il Gattopardo si appresta a sbarcare sullo schermo. Per la resa cinematografica di Luchino Visconti ne erano passati solo cinque dall’anno di pubblicazione del libro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, diventando ben presto uno dei capisaldi della filmografia mondiale, stagliandosi nell’immaginario lì dove i capolavori sono lontani e inavvicinabili. Ed effettivamente l’opera del regista italiano lo è: sontuosa e elegante, ribollente di un fuoco che brucia in sottofondo e che muove i destini incerti dell’Italia che si appresta all’abbandono della monarchia e all’unità di un paese. La pellicola di Visconti ha sempre rappresentato un confronto con cui era folle anche solo approcciarsi, fin quando non è giunta Netflix, convinta di potercela fare. Non magari di eguagliare l’operazione irraggiungibile del film del ’63, ma non avendo nemmeno il timore o la riverenza che impediscono di provare a riadattare un testo famoso come quello pubblicato nel 1958.

Un pizzico di incoscienza e un minimo di coraggio, oltre all’evidente prevedibilità che fa parte dei nostri giorni e che ci fa trovare costantemente davanti a riproposte di grandi classici di cui si pensa e spera di ampliare il mondo attraverso racconti a puntate. Con una possibilità distributiva streaming che potrebbe essere l’unico effettivo timore da avere, con qualche alta carica che non troverebbe nessun problema a proseguire tra sequel e spin-off la storia de Il Gattopardo, pratiche in fondo non consone negli anni Sessanta, a dispetto di ciò che invece ci insegna l’oggi. E così, dal 5 marzo, viene rilasciato un prodotto che è, a tutti gli effetti, tale. Non opera d’arte, non titolo imprescindibile della serialità, solo prodotto. Era intuibile che prima o poi sarebbe arrivato, come lo era altrettanto il fatto che non potesse equiparare le aspettative di lusso e decadenza che avevano contraddistinto la pellicola di Luchino Visconti. E questo perché, vista la confezione e il pubblico di riferimento, nemmeno lo desidera.

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Il Gattopardo di Netflix adatta un’opera che, predisposta per il servizio online, non poteva che essere semplice, dritta e lineare. Con volti famosi a prendere il posto di Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale, senza doversi preoccupare effettivamente dell’attinenza ai personaggi o a un eventuale talento - che avessero potuto prenderli almeno siciliani? Sì, questo si può dire. Un lavoro dal retrogusto di soap opera, senza la vanagloria di essere nient’altro che la variante semplificata del testo di Tomasi di Lampedusa, con la sua parte politica sacrificata a favore delle scaramucce d’amore - che in realtà scaramucce non sono - che condizionano i protagonisti. Non ci si poteva aspettare molto altro dalla produzione Netflix, neppure dopo che lo streamer aveva mostrato l’ambizione di volerlo rendere il prossimo titolo di punta a livello non solo nazionale, ma globale - e, c’è da ammetterlo, l’attenzione mondiale l’ha catturata, figurando anche nella presentazione dello scorso evento del palinsesto Next on Netflix 2025. Che alcuni titoli poi riescano meglio al posto di altri capita ad ogni produzione, con un ACAB che ha una ricerca anche formale mirabile o uno Storia della mia famiglia che sa dove toccare senza abbandonare però il sentore da serie generalista che ormai accompagna buona parte degli show del servizio. 

  

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Avendo oramai sancito un suo esplicito codice, anche Il Gattopardo ha dovuto sottostare alle esigenze della piattaforma. Piattezza visiva, affettazione nella messinscena e delle interpretazioni, chiarezza eccessiva e talmente esplicita da non lasciare spazio alle sfumature - né nella fotografia, nella regia o nella caratterizzazione dei personaggi. E quindi da parte del pubblico non resta che l’accettazione. Non serve ribadire quanto l’opera di Visconti sia superiore e quanta poca necessità ci fosse che uscisse la versione seriale del racconto del Principe di Salina. Era inevitabile che prima o poi accadesse, avrebbe potuto provarci chiunque. E, preso in mano da Netflix Italia, era pronosticabile anche un risultato simile. Che poi avessimo tutti sperato che la serie fosse più soddisfacente è un altro conto.