
Tutto sul genio di Daniel Blumberg, il compositore di The Brutalist
L'artista candidato agli Oscar che ha fatto ballare l’architettura
28 Febbraio 2025
Daniel Blumberg è un musicista, compositore e artista visuale inglese finora poco noto al grande pubblico. Candidato favorito all'Oscar per la colonna sonora di The Brutalist, in realtà è attivo da più di vent’anni con vari progetti musicali: dall’indie pop del suo primo gruppo, fondato quando aveva solo 15 anni (i Cajun Dance Party, 2005), all’alternative rock degli Yuck (il suo secondo gruppo, creato nel 2011), fino alle sperimentazioni jazz più recenti, con i musicisti del Cafe Oto di Londra, passando per vari progetti estemporanei (Oupa, 2011 e Hebronix, 2013 ) e tre album solisti, pubblicati finalmente a suo nome: Minus (2018) On&On (2020) e GUT (2023). Parliamo di un musicista eclettico e prolifico, che potrà anche essere considerato un parvenu dall’Academy – del resto questa è solo la seconda volta che lavora a una colonna sonora, dopo Il Mondo Che Verrà (2020) di Mona Fastvold - ma per chi si occupa di certa critica musicale non è certo un volto nuovo. Mai nessuno si sarebbe aspettato di vederlo spiccare tra i nomi dei candidati agli Oscar, anche perché il suo ingresso nel mondo delle colonne sonore per il cinema è avvenuto in maniera casuale, grazie a un incontro fortuito.
L'incontro con Brady Corbet
Blumberg ha conosciuto il regista di The Brutalist, Brady Corbet (e sua moglie Mona Fastwold) tramite il produttore di Scott Walker, Peter Walsh, che aveva prodotto il suo primo album solista, Minus, nel 2018. Walker, venuto tristemente a mancare nel 2019, aveva musicato entrambi i film precedenti di Corbet, The Childhood of a Leader (2015) e Vox Lux (2018). Al netto del suo passato da icona pop con i Walker Brothers, Scott Walker è stato anche e soprattutto un grande musicista e compositore classico d'avanguardia: il lignaggio musicale da Walker a Blumberg è evidente nelle numerose somiglianze che il loro stile di scrittura condivide sia nell'approccio che nel tono. Dev’essere stata proprio questa somiglianza che ha spinto Corbet a scegliere di collaborare con Blumberg per la sonorizzazione di The Brutalist, dopo la dipartita di Walker. Blumberg e Corbet avevano avuto dei punti di contatto già prima di The Brutalist: nel 2017 Corbet aveva scritto un testo per le sperimentazioni sonore che Blumberg aveva registrato insieme al sassofonista Seymour Wrigh sotto il nome di Guo. Nel 2023, l’unione delle loro visioni aveva portato a una serie di ritratti cinematografici diretti da Corbet, creati in risposta alla musica registrata da Blumberg per il suo ultimo disco GUT. L’album sviscerava il dolore della malattia intestinale che colpì il musicista dopo il Covid (“gut” significa appunto “intestino”), un tema che Corbet ha tradotto in immagine sulla copertina dell'opera, attraverso il corpo nudo e vulnerabile di Blumberg che si contorce su pellicola in bianco e nero per mostrare le tensioni di una mente sconfitta dal fisico.
L'ossessione creativa in The Brutalist
Interrogato su quali siano state le ragioni più profonde che l’hanno convinto a comporre la colonna sonora di The Brutalist, Blumberg ha dichiarato di aver letto la sceneggiatura e di essersi sentito in sintonia con l’ossessione creativa del protagonista, interpretato da un monumentale Adrien Brody, anch’egli candidato all'Oscar. Da buon creativo iperattivo, Blumberg ha sentito subito un forte legame con la lotta personale mostrata nel film: in particolare, il rischio di «diventare ossessionati e monomaniaci riguardo ai propri progetti, di quanto questo possa costare in termini di sacrificio e di come questo sacrificio possa influenzare il rapporto tra il lavoro e le relazioni nella vita privata», ha spiegato in un'intervista. Senza scendere troppo nella descrizione della trama, il film racconta la storia di un architetto ebreo, László Tóth, che riesce a scappare dall’Ungheria alla fine della Seconda Guerra Mondiale e a emigrare negli Stati Uniti a bordo di una nave. Dopo varie vicissitudini di adattamento, tra pochi alti e molti bassi che lo vedono sprofondare nella dipendenza da eroina e nell’indigenza, arriva l’incontro con un ricco magnate che si appassiona al suo lavoro e gli commissiona la costruzione di un grande centro culturale in memoria della madre scomparsa. Da lì prende avvio la sua rinascita artistica, malgrado l’ossessione creativa del protagonista ostacolerà il lavoro in diversi modi e finirà per fondersi con esso in una maniera totalizzante, fino alla svolta finale - che naturalmente non vi sveliamo.
'The Brutalist' (Brady Corbet, 2024). pic.twitter.com/oYU2u3j9TL
— Eva Arriaga Durán (@EvaArriagaD) February 26, 2025
Secondo quanto rivelato in un comunicato stampa, Corbet e Blumberg «hanno capito subito che la musica avrebbe dovuto svolgere un ruolo cruciale nel trasmettere i temi centrali del film, anche a causa delle difficoltà nel rappresentare la forma inanimata dell'architettura sullo schermo». La musica è talmente importante in The Brutalist che inizia prima del film, arriva prima delle immagini. Blumberg ha composto una colonna sonora monumentale: un’ora e venti di musica originale, per un totale di 32 tracce, a supporto di un film che a sua volta ha una durata di tre ore e venti minuti, incluso il quarto d’ora di intervallo anch’esso appositamente musicato. L'apertura contiene probabilmente la parte musicale più maestosa e imponente di tutta la colonna sonora, poiché accompagna la proiezione iniziale per ben dieci minuti consecutivi. Per un film potrebbe sembrare una scelta apparentemente ingombrante, eppure si amalgama perfettamente allo sviluppo delle immagini, ai dialoghi e ai suoni ambientali che ne costituiscono parte integrante. La sua scorrevolezza probabilmente è dovuta anche al fatto che si tratta di un’apertura divisa in tre parti e non di un unico blocco monolitico.
L'apertura in tre parti di The Brutalist
La prima parte dell'apertura del film, dal titolo Overture (ship), è la più epica e solenne, perché serve ad accompagnare l’arrivo della nave dei migranti negli Stati Uniti, e riesce anche ad essere al tempo stesso sottilmente inquietante perché si conclude con la visione della Statua della Libertà mezza capovolta, a simboleggiare un sogno americano rovesciato e distorto. La seconda parte, costituita da un pianoforte piangente e malinconico, è il tema principale del protagonista - Overture (László) - cioè quello che accompagna László Tóth nei suoi momenti di solitudine e di squallore, come la scena del bordello iniziale. Infine, la terza parte - Overture (bus) - è guidata da un suono più urgente e propulsivo di ottoni bassi che danno un senso di propensione, come se stessimo letteralmente entrando nel film, mentre sullo schermo scorrono i titoli di testa. Come ha spiegato lo stesso Blumberg in varie interviste, l'Overture introduce i temi portanti della colonna sonora ma funge anche da introduzione ai musicisti principali dell'artista - tra cui Axel Dörner alla tromba, Evan Parker al sassofono e i tre pianisti John Tilbury, Sophie Agnel e Simon Sieger - il tutto mescolato al suono diegetico: rumori industriali, lamiere che si contorcono, legni striduli e voci di sottofondo.
L'uso del suono diegetico
L’uso del suono diegetico è presente in tutti i brani della colonna sonora. Attraverso questa confusione sensoriale Blumberg esprime il disorientamento di László, che diventa sempre più ossessionato dal suo progetto fino a perdere il senso della realtà. Persino il tecnico del suono in studio ad un certo punto «non riusciva più a distinguere l’audio diegetico dal suono di una tromba», ha raccontato Blumberg. In alcuni momenti di The Brutalist, l’audio diegetico contribuisce invece a evocare un effetto più angosciante, come nel caso del tema di Erzsébet, utilizzato quando László si ricongiunge con la moglie, anche lei sopravvissuta all’olocausto, ma costretta sulla sedia a rotelle. La traccia è un languido piano jazz che parte dal tema di László per sfumare in quello di Erzsébet, in modo da rappresentare metaforicamente l’incontro romantico delle loro anime. Se si presta bene attenzione, in soffondo si sentono i rumori dei treni della stazione, il metallo che stride, le urla dei bambini, il calpestio dei passi che corrono, tutti elementi che calati nel contesto storico creano un effetto inquietante. Un po’ come se le Scarpe sulla riva del Danubio del memoriale di Budapest avessero improvvisamente preso vita e iniziato a ballare per ricordarci da dove vengono i protagonisti.
Come Blumberg ha raccontato il brutalismo con la musica
The Brutalist has done irreparable damage to my brain because I literally cannot read the word ‘monumental’ in any context without hearing BA DA DA DUUUUUUUUMMMM in my head
— bailey (@baileylikemovie) February 25, 2025
La vera sfida di Blumberg è stata riuscire a creare un sound che in qualche modo riflettesse il brutalismo, una corrente architettonica caratterizzata da una parte dalla struttura minimalista del design e dei materiali grezzi, dall’altra dall'impatto massimalista che evocano gli edifici. Per questo nella colonna sonora momenti di sospensione più intimi e rilassati – come la cascata di note che ci avvolge nel cinema porno o l’Intermission al piano di John Tilbury, in cui sentiamo addirittura il suo respiro e la pioggia che cade sul tetto di vetro - si intrecciano a momenti più frenetici e chiassosi, come quello all’interno del jazz club, suonato dal vivo direttamente sul set da un enseble di batteria (Antonin Gerbal), sassofono (Pierre Borel), contrabbasso (Joel Grip) e pianoforte (Simon Sieger).
"Scrivere di musica è come ballare di architettura"
Sempre a detta di Blumberg, la traccia che più di tutte ha cercato di musicare concettualmente l’architettura è quella che porta il titolo più esplicativo: Construction. Si tratta del primo brano scritto appositamente per il film e registrato al Cafe Oto di Londra con il famoso pianoforte preparato, uno strumento modificato per avere un suono più industriale. Indeato da John Cage, Blumberg ne ha messo a punto una sua versione estesa e ampliata con l’aiuto degli amici musicisti Billy Steiger e Tom Wheatley: «Stavamo letteralmente incastrando viti, clip e oggetti nelle corde del pianoforte per creare suoni percussivi che richiamassero i rumori dei lavori di costruzione», ha detto Blumberg a Indiewire. Il risultato finale è piuttosto concettuale e funziona in maniera diametralmente opposta al suono “industrial” di band come i tedeschi Einstürzende Neubauten (letteralmente “Nuovi edifici che crollano”), famosi per aver incorporato il rumore dei martelli pneumatici nei loro brani per riprodurre il suono della demolizione. In The Brutalist non sentiamo il fracasso di un crollo che ci lascia in mezzo alle macerie, ma il lungo e paziente martellamento di una costruzione che si vuole ergere al di sopra del resto degli edifici. C’è una famosa massima che dice che «scrivere di musica è come ballare di architettura», un modo di dire per affermare che è qualcosa di assurdo o peggio ancora di inutile. Con la colonna sonora di The Brutalist, Daniel Blumberg ha dimostrato l'impossibile.