
"The Order" è una parentesi per spiegare il ritorno di Trump
Fatti reali che hanno sedimentato ciò che sarebbe successo con Capitol Hill
07 Febbraio 2025
The Order, nuovo film del regista Justin Kurzel, mostra come gli avvenimenti del 6 gennaio 2021 dell’assalto al Campidoglio di Washington D.C. abbiano radici ben lontane. L’opera è la parentesi di un racconto della storia recente, che può aiutare a spiegare come figure idolatrate quali Donald Trump, le cui conseguenze di una nuova presidenza nel 2025 sono state ipotizzate nella pellicola Civil War di Alex Garland, possano condurre fanatici e seguaci verso una deriva suprematista all’urlo insensato di “White power”. Il film con protagonisti Jude Law, Nicholas Hoult e Tye Sheridan - in anteprima all’81esima Mostra del Cinema di Venezia e destinato alla piattaforma di Prime Video - riprende i fatti reali della metà degli anni Ottanta in cui il carismatico leader di una sezione separata dell’Aryan Nations, Bob Mathews (Hoult), ha cominciato a mettere in atto i sei step del libro “per bambini” I diari di Turner. Una guida illustrata su come avviare una rivoluzione razziale, fatta di attacchi alle fondamenta economiche, sociali e civili delle democrazie, in nome della riconquista di una terra che, secondo i suprematisti, sembrerebbe essere stata loro sottratta. Le vittime a cui è riservato il proprio disprezzo sono ben immaginabili: neri, ebrei, messicani (che, nonostante tutto, vogliono comunque entrare nel gruppo), nemici di un pattern più grande in cui si cerca l’annientamento e la conquista, al cui odio si aggiungono rapine a mano armata e atti terroristici con bombe e esplosivi.
Per l’adattamento del romanzo non-fiction The Silent Brotherhood di Kevin Flynn e Gary Gerhardt, Kurzel si affida allo script di Zach Baylin, le cui ultime sceneggiature hanno in comune il non aver certo brillato nel panorama internazionale, nonostante la (discutibile) candidatura agli Oscar nel 2022 per Una famiglia vincente - King Richard. Con The Order, Baylin tenta il grande passo, lasciandosi indietro la commercialità dei vari Gran Turismo, Bob Marley - One Love e, probabilmente, il più bistrattato di tutti, il remake de Il corvo. Ma nello stendere la storia di Mathews e dell’agente del FBI Terry Husk (Law) la appiattisce con costrutti narrativi archetipici ridotti all’osso. Se Bob Mathews è il modello preso a campione per esaminare come i sacrifici di una causa abbiamo sempre come finalità l’esaltazione e l’adulazione degli altri verso se stessi, così il suo doppio Husk dovrebbe rappresentare l’impegno ossessivo di un agente talmente in balia del proprio lavoro da renderlo il suo unico scopo. L’uomo dovrebbe investire la sua intera esistenza in un mestiere i cui traumi continuano a perseguitarlo, anche dopo essersi spostato tra le cime e i fiumiciattoli dell’Idaho, aspettando che un giorno sua moglie e le due figlie possano raggiungerlo. La connessione però, nonché la necessaria dicotomia, sono deboli, praticamente nulle, con un legame tra agente e criminale che viene spiegato per l’ennesima volta attraverso la metafora della preda e del predatore racchiusa nell’immagine del cervo. Con la violenza inaudita del nazionalismo bianco - ideologia radicale etnocentrica, razzialista e identitaria – che non esplode mai, non venendo indagata e men che meno problematizzata adeguatamente, accennando solamente all’inadeguatezza dei suoi sostenitori, talmente inetti e incapaci nell’affrontare la vita da avere come unico sfogo il cercare di spegnere la gioia e la libertà altrui.
Jude Law talks moving from solely being a producer on Justin Kurtzel's THE ORDER to starring in it; writer Zach Braylin talks the balance between the factual elements of the film and narrative liberties; Jude talks playing an amalgam of real agents for his character.#TheOrder pic.twitter.com/V9lzRDBIyP
— Amanda Baller (@dawnyb) December 4, 2024
Dell’espediente che vuole - e dovrebbe - accendere la miccia del racconto rimane assai poco, un fuoco che si spegne prima ancora di accendersi. Un profilo monco e scarno di Bob Mathews per cui Nicholas Hoult fa, a ogni modo, un lavoro lodevole di trasformazione, incentrato sulla presenza e la voce, comunque evanescente quando si vuole descriverlo per ciò che è stato realmente: un uomo focalizzato sui propri interessi e che sfrutta un’intera missione per realizzarli. La regia di Justin Kurzel non riesce ad aggiustare il tiro di The Order, lineare come un’opera che fila liscia, troppo liscia, e che non fa che metterci ancora più in attesa della trasposizione cinematografica, sicuramente di prossima esecuzione, degli eventi recenti di Capitol Hill. E, stando alla nuova carica da Presidente di Trump e il suo comitato per salvare il cinema formato da Mel Gibson, Jon Voight e Sylvester Stallone, c’è il rischio che possano venir ritratti come degli eroi.