La Francia sta diventando la nuova Hollywood?
Tante le produzioni che investono sul territorio, arrivando ai più prestigiosi premi
23 Dicembre 2024
La Francia e il suo cinema sono un grande investimento. Non solo per il territorio, anche per un’industria che continua a dare testimonianza della sua rilevanza internazionale, sia dal punto di vista critico, che produttivo in senso stretto. I film francesi proseguono nel conquistare posizioni di rilievo nei maggiori festival mondiali (da Titane a Anatomia di una caduta, entrambi Palme d’oro a Cannes nel 2021 e 2023) fino a posizionarsi nei primi posti delle classifiche dei maggiori spiragli culturali, con L’uomo nel bosco di Alain Guiraudie in cima alla lista dei migliori film del 2024 per i Cahiers du cinéma e The Beast di Bertrand Bonello che ha arricchito il discorso attorno alle moderne analisi sul cinema nel loro aspetto più teorico. Che siano opere che mettono in discussione le posizioni sociali come La Passagère di Héloïse Pelloquet con Cécile De France e Ancora un’estate di Catherine Breillat, con donne adulte impegnate in rapporti con uomini (troppo) più giovani, o riflettano sulla mascolinità problematica come in due titoli dell’81esima Mostra del Cinema di Venezia, Jouer avec le feu di Delphine e Muriel Coulin e Leurs enfants après eux di Ludovic e Zoran Boukherma, la Francia è una terra feconda per il cinema di ogni tipo. E anche Hollywood sembra essersene accorta.
In realtà, se dobbiamo parlare di riflesso “hollywoodiano”, sarebbe da intendere più nei termini della notorietà e ricezione che alcuni dei titoli di punta stanno e hanno ricevuto, con The Substance e Emilia Pérez tra le pellicole in vista per la stagione dei premi 2024, entrambe dirette da registi francesi e girate in Europa. Coralie Fargeat, al debutto nel lungometraggio con Revenge e sulla cresta dell’onda col body horror con protagoniste Demi Moore e Margaret Qualley, ha ambientato in una Los Angeles atipica la storia della ex conduttrice di un programma di fitness che sceglie di “trasformarsi” in una versione migliore di se stessa. Il desiderio dell’autrice era di restituire una visione alternativa alla solita città patinata e arrivista, affidando la ricostruzione degli ambienti ai Epinay Studio di TSF, collocati fuori Parigi, e scegliendo la Costa Azzurra come location per i suoi esterni. Jacques Audiard, invece, per il gangster-musical con Zoe Saldaña, Karla Sofía Gascón e Selena Gomez ha voluto circondarsi della sua solita troupe. Perciò, anche se il racconto del film si consuma tra le vie del Messico, il regista e sceneggiatore ha deciso di girare interamente negli studi francesi di Bry-Sur-Marne.
Due esempi che dimostrano la forza attrattiva che la Francia esercita sulle produzioni locali e internazionali, merito in primis delle location e delle figure professionali visto che, se si trattasse di valutare l’offerta dal punto di vista degli incentivi fiscali, non sarebbe poi tanto competitiva in confronto a capitali come Londra e Praga. La Francia offre il 30% di percentuale sulle spese sostenute sul territorio e può arrivare fino al 40% se gli effetti visivi vengono realizzati in loco e superano i 2 milioni di euro - un equivalente di 2,18 milioni di dollari. Laurent Kleindienst, vicepresidente per le strategie e lo sviluppo degli studi TSF di Parigi, ha parlato dei vantaggi economici e creativi delle riprese in Francia durante un panel all’American French Film Festival tenutosi a Los Angeles nel novembre 2024, in cui ha spiegato che sono circa 50 i teatri di posa che attualmente si stanno costruendo nel paese, di cui dodici nella loro struttura che si estende per 120 acri.
Recentemente è stato inaugurato anche un backlot della grandezza di cinque acri, luogo ideale per ospitare diverse ambientazioni e scenografie, che riproduce le strade di Parigi. Un impiego di 15 milioni di dollari sui 110, secondo Variety, adibiti al piano di investimenti del governo francese dal nome France 2030, creato per potenziare le infrastrutture di produzione. «Proprio come a Los Angeles, è diventato sempre più difficile girare all'interno delle grandi capitali», ha spiegato Kleindienst. «Quindi i backlot sono diventati sempre più importanti in termini di controllo di un ambiente, pur mantenendo molta libertà nelle riprese». Una produzione, inoltre, sostenibile. Kleindienst ha infatti dichiarato che nei loro studi ricicleranno il 98% delle circa 10/15 tonnellate di rifiuti prodotti.
Un’offerta che fa bene alle tasche e al pianeta, e che a volte può incontrare le necessità non solo economiche, ma anche narrative e immersive di un prodotto. È il caso della serie in uscita nel 2025 Il Conte di Montecristo, adattamento dell’opera letteraria di Alexandre Dumas, prodotto con un budget sui 50 milioni di dollari, circa un terzo di quanto costerebbe un blockbuster statunitense di dimensioni simili. Sempre durante il medesimo panel il produttore Dimitri Rassam, già dietro al kolossal francese in due parti I tre moschettieri, ha affermato: «Abbiamo realizzato un progetto venuto una frazione di quanto sarebbe costato altrove. Abbiamo preso questa decisione non perché fosse più conveniente (non è stato il costo a determinare il luogo delle riprese, ha detto Rassam, perché sarebbe stato più economico girare da qualche parte nell'Europa dell'Est, ndr.), ma perché era ciò che era necessario per il bene dell’opera. Avevamo bisogno che gli attori si sentissero il più possibile vicini alla storia». La serie de Il Conte di Montecristo è inoltre una co-produzione italiana - come il recente Le Déluge - Gli ultimi giorni di Maria Antonietta - in cui sono coinvolti anche Rai Fiction e Palomar, girata per settanta giorni in Francia e con le riprese completate a Malta e in Belgio presso i Lites Studios, considerato lo studio acquatico per interni più avanzato al mondo.