Gli alti e bassi del mercato dei vinili
L’industria fa fatica a tenere testa alla domanda
19 Dicembre 2024
Nel giugno 1948 la Columbia Records convocò una conferenza stampa a New York per presentare i primi “33 giri” mai stampati. Da allora le innovazioni tecnologiche sono state innumerevoli, ma questo formato è ancora qui, e a modo suo continua a influenzare l’industria musicale. Discutere del “ritorno del vinile” è diventato un rituale ricorrente che si ripropone ciclicamente da oltre un decennio. Già nel 2013 il direttore dell’ufficio vendite di una società che produce vinili disse al New York Times: «Si è chiuso un cerchio. Abbiamo ragazzi che ci contattano e che ascoltano musica su vinile, e quando gli chiediamo perché non comprano i CD ci rispondono: “Quella è roba che faceva mio padre – perché dovrei farlo io?”». Tuttavia oggi il trend sembra essersi definitivamente affermato, e il mercato dei vinili si è ritagliato una solida nicchia di mercato. La domanda era già in crescita da tempo, e ha continuato ad aumentare persino durante e dopo il lockdown. La richiesta sempre maggiore di vinili è stata soddisfatta anche da grandi rivenditori come Amazon, che – come per altri ambiti – hanno saputo cavalcare il fenomeno, includendo molti più titoli nei loro cataloghi. Questa crescita, naturalmente, non è sfuggita all’attenzione delle case discografiche. Seguendo l’esempio già tracciato dalle etichette indipendenti e dalle band del circuito underground, anche le major hanno iniziato a sfruttare il rinnovato interesse per il vinile, trasformandolo non solo in un formato di ascolto, ma in un vero e proprio oggetto da collezione. Edizioni limitate, copertine ricercate, dischi colorati o arricchiti con soluzioni esclusive: tutti dettagli, questi, che hanno contribuito a rendere il vinile un oggetto di culto, destinato ai fan più devoti.
Cosa funziona e cosa no nell’industria del vinile
listening to blonde on vinyl has to be top 3 best life experiences pic.twitter.com/RlPrRZqKkN
— ً (@nostaIgiahours) October 29, 2024
Come riporta un report di South by Southwest (SXSW), nel 2023 negli Stati Uniti c'è stato un aumento significativo delle vendite di vinili e CD attraverso i canali D2C, ossia diretti al consumatore finale, senza intermediari come store fisici o piattaforme di distribuzione (per esempio Amazon). L’incremento, calcolato rispetto all’anno precedente, è stato di oltre 27 punti percentuali. Le vendite D2C di vinili e CD sono cresciute più rapidamente rispetto alla media generale del mercato musicale, segnalando un interesse specifico per il formato fisico acquistato direttamente dagli artisti o dalle singole label: un segnale molto positivo per il settore. Inoltre, il 60% delle vendite D2C riguarda produzioni musicali recenti, e non cataloghi storici o ristampe: vale a dire che i fan acquistano anche e soprattutto nuove uscite, dunque non solo in ottica nostalgica. Nel 2024, in particolare, hanno mostrato una predilezione più marcata per il formato vinile gli appassionati di rock (+8%), rispetto ai fan di altri generi. In aggiunta, secondo un’altra indagine di SXSW, il 31% degli ascoltatori appartenenti alla Gen Z desidererebbe avere maggiori opzioni di merchandising da parte dei propri artisti preferiti. In questo senso, i cosiddetti "super fan" – ovvero i più appassionati – sono maggiormente inclini ad acquistare vinili rispetto ai consumatori in generale. Questa tendenza è ulteriormente confermata da un dato interessante: solo il 50% di chi compra vinili possiede un giradischi. In effetti, questi prodotti sono ormai considerati oggetti di culto, apprezzati anche e soprattutto per la loro bellezza estetica.
Eppure molti addetti ai lavori si stanno chiedendo quanto sia economicamente sostenibile sul lungo periodo il ritorno del vinile. Alle sempre maggiori attenzioni da parte del pubblico e delle major nei confronti di questo formato, infatti, non è seguito uno sviluppo dell’industria dei vinili – che resta di fatto ancora artigianale. Per stamparli servono tempo, esperienza e macchinari adatti. Nello specifico, le presse per produrre dischi in serie non vengono più fabbricate: le aziende che si occupano di stampare vinili sono quindi costrette ad acquistare macchinari usati, assemblati per lo più intorno agli anni Settanta. L’ultima pressa è stata costruita nel 1982: oggi costano circa 25 mila dollari, mentre è stato stimato che per progettarne una nuova sarebbe necessario stanziare un budget venti volte più elevato. In sostanza, dunque, l’industria dei vinili non riesce del tutto a seguire la crescita della domanda. Inoltre, va considerato anche l’aumento dell’inflazione, che ha colpito quasi tutti i settori dell’economia, tra cui proprio il settore musicale. Tutto questo ha portato a un significativo aumento dei prezzi dei dischi in vinile. Gli stampatori, così, sono diventati più selettivi, i tempi di attesa si sono allungati, e molte piccole etichette hanno deciso di rinunciare a stampare vinili. Tale evidente squilibrio nell’industria ha fatto sì che, soprattutto negli Stati Uniti, diversi artisti indipendenti smettessero di puntare sui vinili, riscoprendo altri formati alternativi come le musicassette o i CD.