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E se il nuovo "Nosferatu" fosse un’analisi sulla sessualità femminile?

L’horror di Robert Eggers mette al centro della storia i desideri di Ellen, interpretata da Lily Rose-Depp

E se il nuovo Nosferatu fosse un’analisi sulla sessualità femminile?  L’horror di Robert Eggers mette al centro della storia i desideri di Ellen, interpretata da Lily Rose-Depp

«Come to me». Vieni da me. Bastano le prime tre parole del Nosferatu di Robert Eggers per capire la chiave con cui l’autore ha voluto riportare in vita la leggenda del conte Orlok. La sessualità è centrale nell’opera del regista e sceneggiatore statunitense, che torna due anni dopo il discutibile The Northman e ritrova la sua potenza immaginativa, non piegandola a favore dei grandi studios hollywoodiani nonostante sia rimasto in casa Universal. In Nosferatu, Eggers si concentra sulla dimensione femminile - come aveva fatto con il suo film d'esordio del 2015, The Witch, con Anya Taylor-Joy - e rende protagonista Ellen, interpretata da Lily-Rose Depp.  Il regista riesce così a riscrivere la visione del mostro succhiasangue portando sotto i riflettori concetti come il desiderio e la vergogna, sentimenti contrastanti e di una carnalità spesso recriminata all’universo femmineo, il quale in epoca Vittoriana più che mai viene obbligato a soccombere e ad ammalarsi dei pregiudizi e delle restrizioni imposte dalla società. L'ambientazione del Nosferatu di Eggers rimane classica, con la storia incentrata nel cuore dell’Ottocento, ma stavolta la vicinanza del personaggio femminile è declinata non più solo a una superficiale attrazione verso il male, ma la introietta completamente all’interno della spaesata e remissiva Ellen, presa da crisi e attacchi epilettici che tanto ricordano una tradizione tutta italiana studiata da Ernesto De Martino e caratterizzata dai moti del tarantismo. Sebbene in ogni versione portata finora al cinema del principe delle tenebre fosse evidente un collegamento mistico e ambiguo tra la fanciulla e il vampiro, Eggers accentua il totale coinvolgimento dell’una nei confronti dell’altro (e viceversa), facendo del mostro letteralmente la parte più scabrosa, languida e peccaminosa del personaggio femminile. 

La malinconia di Ellen, appellata continuamente nel film, è la stessa di tanti studi antropologici che vedevano nelle limitazioni e nelle costrizioni di facciata i disagi vissuti da tantissime ragazze, soprattutto in contesti di povertà e di osservanze religiose più stringenti. Giovani che, per dare sfogo alla sessualità repressa e liberarsi dalle catene imposte dalla società, cadevano in stati di trance dove il ballo e il movimento dinoccolato del corpo rappresentavano lo spezzarsi delle catene di una convenzione che le voleva solo figlie, madri e mogli sempre riservate e composte. Non a caso, la Ellen di Robert Eggers considera Nosferatu la sua vergogna, e mostra una sessualità più cruda e pronunciata rispetto all’erotismo comunque predominante e avvolgente del Dracula di Bram Stoker, diretto da Francis Ford Coppola. «Sono immonda», si definisce la ragazza, solo perché da piccola, nella solitudine della sua esistenza, ha cercato conforto nel piacere della carne. Questo bisogno represso, reso un segreto sporco e indicibile, si riaccende in Ellen nel momento in cui il suo novello sposo viene mandato su per i monti Carpazi a vendere una vecchia tenuta per un eccentrico e anziano conte (o, come la chiameranno in molti, per «una grande avventura»). Invece di trascorrere insieme una più lunga e dolce luna di miele, i due vengono strappati precocemente e la lontananza riaccende nella sposina demoni del passato.

La maledizione è lanciata, il corpo ha bisogni che non possono essere soddisfatti, ed ecco dunque che sopraggiunge Nosferatu, il cui attaccamento da parte di Ellen è altrettanto potente e afrodisiaco rispetto a quanto non voglia ammettere la ragazza. Incasellando il racconto in dinamiche di repressione riconducibili al senso di colpa e alla verecondia del Cristianesimo - per un film a tutti gli effetti cristologico, dal continuo ripetere parole come “redenzione” o “provvidenza”, fino alle tre notti in cui Ellen rinnega Nosferatu prima di cedere, come faceva l’apostolo Pietro al canto del gallo - Eggers infonde di una vigoria immaginifica la sua storia di vampiri, dove il mostro che non ci dà pace è riconducibile solo a noi stessi. In Nosferatu, Eggers si appella agli stilemi del cinema espressionista e lo omaggia nella prima parte, tornando poi a  un horror suggestivo ed evocativo. Non è al pari dell’esoterismo mitologico di The Lighthouse, ma le immagini sono libere di scorrere in modo innaturale e magico sullo schermo - con grande plauso da riservare alla montatrice Louise Ford. Il prologo contiene tutto l’orrore che verrà nel corso dell’opera, il conte Orlok di Bill Skarsgård è tanto fuori scena quanto presente, con uno dei corpi attoriali più trasformisti della sua generazione e con un impiego di voce che fa la maggior parte del lavoro nel descrivere allo spettatore il suo morto vivente. Un parassita che, come tale, fa marcire ogni singolo briciolo di vita che trova mentre i personaggi di Nosferatu tentano di arrestare lo spargimento del suo sortilegio. Nel cast non ci sono più solo Thomas Hutter - stavolta impersonato da Nicholas Hoult - o il vampiro, ma un intero team di talenti. I personaggi secondari hanno un palco su cui brillare, da Friedrich e Anna Harding (rispettivamente Aaron Taylor-Johnson e Emma Corrin) al servile e macabro signor Herr Knock (Simon McBurney). In definitiva, Nosferatu è un’opera sulle indoli primordiali e su come frenarle rischi di tramutarle in incubi, gli stessi che si possono sfogare in una sala cinematografica.