La verità su Martin Margiela
L'anonimato, la decostruzione e non solo
18 Dicembre 2024
Da qualche giorno i riflettori della moda sono più che mai puntati su Maison Margiela e sul suo fondatore, l’ineffabile, invisibile Martin Margiela. Non solo perché come un fulmine a ciel sereno John Galliano, che per dieci anni ha disegnato la couture del brand, e Renzo Rosso, presidente e proprietario di OTB, hanno svelato la loro «separazione consensuale» lasciando nello sgomento i fan del brand e dello stilista. Ma anche perché qualche ora fa è stata annunciato un evento storico che sta già mandando in tilt la macchina dei social: il 27 gennaio a Parigi, in concomitanza con la Fashion Week maschile, andrà in scena grazie a Kerry Taylor Auction l’asta di circa 300 creazioni firmate proprio da Martin Margiela, l’osannato e controverso padre della decostruzione il cui brand qualche giorno prima sarà l’attrazione speciale dell’edizione 107 Di Pitti Uomo a Firenze con un grande evento. Altro ritorno di fiamma per il brand e il suo designer anche questo, si direbbe, perché era dal 2006 che il visionario fashion designer belga, mentore di figure del calibro di Demna e Matthieu Blazy (il nuovo direttore artistico di Chanel), non proponeva le sue abbaglianti e distopiche creazioni bianco gesso in Italia, e in particolare sul blasonato palcoscenico della storica kermesse fiorentina dedicata al menswear. Un motivo in più quindi, per i devoti e irriducibili amanti del brand, per cercare di aggiudicarsi a ogni costo qualche singolo pezzo, più unico che raro e mai visto prima, del suo incredibile archivio custodito con cura negli anni dalle sorelle Angela ed Elena Picozzi.
Oltre ad aver dato vita alla Castor Fashion, gioiello del sistema produttivo Made in Italy situato alle porte di Mantova, Angela ed Elena Picozzi sono anche le figlie di Gabriella Picozzi, che nel percorso creativo di Martin Margiela ha rivestito un ruolo determinante. Questa formidabile talent scout fu infatti la prima a investire sul genio dirompente di Martin: dopo che, nel 1987 era appena reduce dalla sua triennale collaborazione nello studio parigino di Jean Paul Gaultier, Picozzi gli affidò una consulenza per la sua linea di abbigliamento Deni Cler. Stupita dal talento del designer, spronò Margiela a lanciare un suo marchio, contribuendo poi, con il suo prezioso supporto di lungimirante artigiana, al successo delle sue prime collezioni fra il 1989 e il 1994. «L’incontro tra nostra madre e Martin Margiela è stato un momento fondamentale per entrambi - afferma la figlia di Gabriella, Angela Picozzi - Abbiamo sempre considerato questi capi una parte importante della storia della moda che dovrebbe essere preservata. Crediamo che il mondo debba conoscere le prime creazioni di Margiela». Il top in vinile, la borsa panier, i quei gilet oversize ma anche i modelli di stoffa o solo di carta sviluppati ma mai indossati o entrati nei negozi saranno tutti nell’asta di gennaio, progettati da Margiela sia per la linea personale che per quella senza logo, comparsa prima che la popolarità del designer esplodesse in tutto il mondo.
@maxkilworth Maison Martin Margiela FW91. Starring Margiela's muse Kristina De Coninck. The film was shot mostly by Margiela himself on 8mm #maisonmargiela #martinmargiela #maisonmartinmargiela Liebesträume No. 3 - Franz Liszt
Insomma non solo trita archeologia, come spesso abbiamo visto in passerella negli ultimi anni, ma una ricerca appassionata mirante a un recupero attento di qualcosa di raro e prezioso che sollecita una riflessione sull’attualità dell’universo creativo di Martin Margiela. «Adoro gli abiti che non ho inventato io», amava dire il designer. E non a caso proprio il termine recupero si addice più che mai a questo visionario che del riciclo e del riuso, come pure della tanto dibattuta e presunta circolarità, si può considerare legittimamente il vero profeta. Quando i suoi capi inside-out, rovesciati senza pietà per esibire, profanandole, le cuciture, le fodere e tutto il complesso e intimo lavorio sartoriale solitamente occultato, iniziarono a sfilare nei parcheggi abbandonati, nelle stazioni della metropolitana e nei fumosi bistrot parigini, il profumato e ciarliero popolo della moda perse la sua bussola. «Mi attengo a due principi: non nascondere e non puntare sulla ricchezza», sosteneva Margiela agli inizi di carriera. E anche se di primo acchito sembrava che quelle creazioni fossero state partorite nel caos e nel delirio, dietro le surreali visioni di questo designer, allergico alle interviste e ossessionato da Comme des Garçons, c’era in realtà un metodo preciso impostato da chi per la prima volta nello scenario della moda occidentale, a parte dunque i giapponesi e i postatomici, osava anteporre il concetto al prodotto.
Oltre a essere uno degli apripista della moda concettuale, e per questa ragione assimilabile per certi versi alla ricerca di artisti come Maurizio Cattelan e Piero Manzoni, Martin Margiela è anche uno dei creatori di moda più duchampiani di sempre - senza contare che oltretutto, nel suo atelier parigino teneva proprio un’opera di Marcel Duchamp. La sua destrutturazione totale mira in realtà a decontestualizzare un oggetto dal suo alveo convenzionale e quotidiano per conferirgli una nuova, imprevedibile funzione. Ne è un esempio il ferro da stiro di Duchamp provvisto di chiodi acuminati, mentre chez Margiela fanno scuola la tenda, la parrucca e il divano capitonné, tutti convertiti in differenti e molto alternativi capi di vestiario. L’operazione performativa del ready made di Margiela oggi viene praticata in passerella da couturier come Daniel Roseberry, che trasforma in abito di alta moda i microchip dei computer e le teste di leone imbalsamate, o anche da Demna che, sulla scia del suo maestro, ha elevato la generosità dei volumi a cifra distintiva del vestire contemporaneo.
@wesleybreed Anyone have any cool pieces from Martin-era collections? #fashion #mensfashion #womensfashion #archivefashion #margiela #maisonmargiela #fashionhistory #needforbreed QKThr - Aphex Twin
Ancor prima di assumere nel 1997 le redini della direzione creativa di Hermès, Margiela si sbizzarriva imprimendo sulle candide garze delle tuniche bidimensionali le pedate delle modelle o le foto in trompe l’oeil di abiti anni’40, o si cimentava in uno sperimentalismo sbrigliato virato in abiti a quattro maniche, gilet di calzini o di guanti o in quei capi assemblati unendo frantumi di piatti in porcellana, e perfino in quelle Tabi con cui lo stilista nobilitava le calzature degli operai giapponesi. Attraverso l’azzeramento delle forme e un uso massiccio del bianco, Margiela cancellava l'abito riducendolo a uno scheletro, rivendicando l'anonimato e l'invisibilità che lui stesso pratica. Martin Margiela è stato l’antesignano, volente e nolente, della negazione della corporeità fisica legata alla digitalizzazione. Una inesorabile rivoluzione che, dopo il ciclone pandemico, attraverso il metaverso prima e l’intelligenza artificiale poi, sta immergendo l’umanità in un mondo parallelo forse più allucinato e inquietante per i comuni mortali rispetto all’estetica integralista, e fondamentalmente onesta, di Margiela.