Che cos'è il "Fast Vintage"?
Il fenomeno che sta compromettendo il mercato del second-hand
05 Dicembre 2024
Immagina di passeggiare in un mercatino vintage nel 2035. Tra giacche sartoriali anni '80 e borse griffate anni 2000 (che saranno sempre più rare), spuntano decine di capi etichettati Zara del 2023 o un paio di jeans Shein scoloriti. Questa scena, un tempo improbabile, potrebbe a tutti gli effetti diventare realtà. Mentre il fast fashion continua a sfornare miliardi di capi a ritmo vertiginoso (secondo Statista, entro il 2027 il mercato aumenterà del +74,5%), il suo destino si intreccia con quello del second-hand. Non stiamo più parlando di tesori da collezionisti, ma di "reperti di massa": capi che, pur prodotti per essere usa-e-getta, si stanno reincarnando come simboli del consumismo presente. E se è vero che la moda è figlia del proprio tempo, in queste circostanze non potrebbe andare più veloce. Dati alla mano, come evidenziato dalle analisi di McKinsey, non solo la produzione globale di vestiti ha superato i 100 miliardi di unità all’anno, ma sempre più consumatori riducono la vita di un capo a soli sette utilizzi. Nonostante il fatto che sempre più articoli stiano trovando seconda vita nei mercatini vintage e sulle app di resale potrebbe indicare un risvolto positivo per l'ambiente, molte piattaforme di resale vanno riempiendosi di marchi di fast fashion, con Zara e Shein tra i principali brand presenti. Al netto di chi acquista per far fronte a necessità economiche, vi è un’intera fetta di mercato che alimenta il desiderio di acquistare di più con una giustificazione post hoc. Nutrito costantemente dai social, l’hashtag #vintage conta oggi oltre 6 milioni di menzioni su TikTok. Cosa ci dice questo trend? Il fast fashion non è solo un fenomeno del presente: sta plasmando il nostro immaginario collettivo sul passato, ridefinendo ciò che considereremo “vintage” e alterando per sempre il nostro rapporto con il tempo, la moda e il suo valore. In altre parole, siamo di fronte a un ossimoro culturale che prende il nome di Fast Vintage.
@nolandanielwhite Replying to @ybok3 Why is vintage quality so much higher? #vintage #vintageclothing #2ndhand #secondhand #fastfashion #quality #clothing #vintagefashion #vintagestyle New York Herald Tribune (A bout de souffle) - Martial Solal
Occorre quindi chiedersi cosa vuol dire oggi “vintage”. Tradizionalmente, un capo per essere considerato vintage deve avere almeno vent'anni, un'età che gli conferisce un certo senso di unicità, di qualità nonché una narrativa storica che lo contestualizza in un'epoca passata. Dal momento in cui questo concetto sta scivolando verso un’estetica di massa, la storia dei capi rischia di ridursi a un mero passaggio di proprietà, mentre l'idea di unicità viene superata dalla facilità con cui un oggetto può essere rivenduto. Adesso che il fast fashion è entrato a gamba tesa sui siti di second-hand e tra i mercatini, anche lo shopping sostenibile sta venendo spinto in un ciclo continuo e sempre più rapido di produzione e consumo, vanificando tutti gli sforzi di chi preferisce investire in capi usati ma duraturi e prodotti eticamente. Se nei nostri armadi e mercati abbondano vestiti di fast fashion, quale memoria di valore stiamo realmente conservando? La logica del second-hand, pur mascherata da etica e sostenibilità, spesso finisce per alimentare un consumismo differito. Non si tratta più di comprare meno e meglio, ma di comprare di più, a prezzi più bassi, mantenendo intatta la struttura del desiderio effimero che è intrinseca al fast fashion. Nel contesto del lusso, il panorama non appare più stabile: anche questo segmento rinuncia in modo sottile alla qualità di un tempo lontano, concentrandosi sul presente - con il quale fatica a dialogare contribuendo all’impennata vertiginosa dei prezzi. È come se si fosse persa la capacità di pensare a lungo termine, tanto che alcuni marchi sembrano ormai consapevoli che i loro capi, per quanto esclusivi, verranno utilizzati solo per brevi momenti prima di essere dimenticati.
This is REAL vintage people. Not clothes from five years ago. Respect. https://t.co/67YdOr71fu
— Vanessa Friedman (@VVFriedman) February 28, 2022
Se gli abiti prodotti ieri sono già pronti per essere gettati domani, abbiamo un problema. Con il boom del resale e l'incessante ciclo di produzione, la moda del passato sta diventando effimera come i capi di fast fashion che la pullulano. Si tratta di un'estetica che tenta di resistere al deterioramento culturale. Se il "passato" diventa una sovrastruttura di ciò che un tempo era "usa e getta", che impatto avrà tutto questo sul nostro modo di comprare e vestire? Forse la vera rivoluzione non è scegliere tra fast fashion, resale o lusso, ma smettere di comprare compulsivamente. Effettuare solo acquisti ponderati, comprendere il valore reale degli indumenti, recuperare un senso del tempo che vada oltre l’algoritmo del consumo rapido. Se continuiamo a scorrere infiniti cataloghi di capi a basso costo, siamo prigionieri di un ciclo che perpetua lo stesso capitalismo da cui vorremmo evadere. L'era mistica in cui la moda era un sogno lontano, sebbene aspirazionale, è finita: siamo catapultati in un presente pragmatico, dove la società non ha più bisogno di favole su mondi incantati, ma di capi funzionali capaci di resistere nel tempo. Ora siamo di fronte a un bivio: continuare a costruire un presente effimero o rivalutare il vero significato di conservare e indossare. Forse, per cambiare, basterebbe fermarsi.