I magnati francesi stanno perdendo sempre di più
I patrimoni di Arnault e di Pinault subiscono gravi danni
29 Ottobre 2024
La crisi del lusso non sta interessando solo i grandi gruppi, ma anche i loro proprietari. Dopo i report del terzo trimestre del 2024, che hanno riportato le gravi perdite di LVMH e di Kering, gli ultimi aggiornamenti del Bloomberg Billionaire Index evidenziano i duri colpi subiti dai patrimoni personali dei magnati francesi del settore luxury. Ad aver inciso sui guadagni dei tre titani francesi del lusso - Bernard Arnault (LVMH), François Pinault (Kering) e Françoise Bettencourt-Meyers (L’Oréal) - ci sono una serie di fattori, tra cui la riduzione della domanda cinese che ha colpito l'andamento dei loro colossi e i nuovi sistemi di tassazione in Francia, diventati più pressanti per gli ultra-ricchi. I dati indicano che, nell’ultimo anno, i magnati francesi hanno perso complessivamente $58 miliardi. In particolare, il patrimonio di Arnault si è ridotto di circa $26 miliardi (-13%), arrivando a 181 miliardi, il calo più alto tra i 500 più ricchi del mondo nella classifica di Bloomberg. Arnault, che deteneva una volta il posto più alto del podio, è ora sceso al 5° posto, spodestato dal proprietario di Tesla, Elon Musk, e da altri big del tech americano: Jeff Bezos (Amazon), Mark Zuckerberg (Meta) e Larry Ellison (Oracle).
@shiftingshares LVMH profit warning
original sound - Michael | UK Stock Trader
François Pinault, fondatore del gruppo Kering e al 91° posto nell’indice Bloomberg, ha subito il colpo più duro, con un patrimonio sceso a $22 miliardi negli ultimi 12 mesi, con una riduzione pari a 13,4 miliardi (-37,9%). Se paragonato al picco massimo di agosto 2021, il patrimonio del proprietario di Gucci e Saint Laurent ha subito un crollo ancora maggiore, ammontando a -63%. Il gruppo Kering ha continuato il trend negativo con un fatturato diminuito del 12% a 12,8 miliardi di euro nei primi nove mesi dell'esercizio, con il lancio del terzo profit warning consecutivo. A pesare, in particolare, l’andamento di Gucci, che ha riportato entrate scese del 26% a 1,64 miliardi di euro, colpite particolarmente dalle condizioni di mercato in Asia-Pacifico. L’imperatrice del beauty Bettencourt-Meyers, nonostante le perdite di oltre $18 miliardi, rientra imperterrita nella top 20. Non mancano poi all'appello dei miliardari francesi in difficoltà neppure i fratelli Alain e Gerard Wertheimer di Chanel. Entrambi, rispettivamente al 30° e al 31° posto dell’indice, ad oggi risultano possessori di un patrimonio pari a $44,3 miliardi ciascuno, ridotto rispetto allo scorso anno di 2,8 miliardi. Chanel, che dopo l’ultima collezione ha sicuramente iniziato a dare segnali di cambiamento, è attualmente in attesa di un nuovo designer, dopo la separazione con la creative director Virginie Viard lo scorso giugno, che aveva comunque chiuso lo scorso esercizio in crescita a doppia cifra con un fatturato di $19,7 miliardi (+16%, 18,2 miliardi di euro).
A 25% fall in revenue in a quarter for a brand as big as Gucci is insane. That’s so much money. They’ve tried everything with this brand and it’s just not working. pic.twitter.com/VE4qBHa3o5
— Odunayo Ojo (@fashionroadman) October 24, 2024
Se da un lato il settore del lusso continua a registrare perdite, il fast fashion sembra invece attraversare una fase di crescita significativa, segnando un contrasto evidente con i marchi di alta moda. Questo fenomeno è particolarmente visibile nei dati finanziari di Inditex, il colosso spagnolo di Amancio Ortega che comprende marchi come Zara, Pull&Bear e Massimo Dutti. Ortega ha visto aumentare il proprio patrimonio di ben $28 miliardi negli ultimi 12 mesi, portandolo a quota $116 miliardi e posizionandosi al 12° posto nella classifica globale dei miliardari e riducendo sempre di più la distanza tra lui e Arnault. Annunciate negli ultimi mesi, le varie collab tra i grandi nomi della moda e Zara vanno sempre di più a sottolineare che (possibilmente) l’obiettivo ultimo di Inditex è quello di diventare un vero competitor per LVMH. Il monopoly dei direttori creativi, l’insicurezza dei clienti cinesi e la crisi dei brand indipendenti sono solo sintomi di un problema più grave alla base dell’industria. Forse bisognava arrivare a bucare le tasche dei proprietari per dargli una meritatissima “wake up call”.