Perché Rick Owens è stato respinto all’ingresso della Città Proibita in Cina
E cosa significa l’incidente per i brand di moda in Cina
23 Ottobre 2024
Nel pieno dell’era digitale le notizie non viaggiano sempre velocissime. Ad esempio è stato reso noto solo ieri che lo scorso 15 ottobre, Rick Owens e Michèle Lamy e i co-fondatori di Fecal Matter, Hannah Rose Dalton e Steven Raj Bhaskaran, si sono trovati al centro di una controversia culturale in Cina. Il designer, che si trovava a Beijing per l’evento di Moncler, è stato respinto all’ingresso della Città Proibita, il palazzo imperiale storico di Pechino, a causa dell’outift suo, di sua moglie e dei due co-founder di Fecal Matter i quali tra l’altro indossavano make-up. Secondo una dichiarazione di Fecal Matter su Instagram, il personale di sicurezza ha chiesto loro di «togliersi il trucco e cambiarsi in abiti normali» prima di poter entrare nel sito storico. Dopo essersi rifiutati di struccarsi e cambiarsi, il gruppo è andato via e poco dopo il duo di Fecal Matter ha fatto le sue rimostranze sui social. «Quello che traiamo da questa esperienza è una maggiore determinazione a continuare a fare ciò che facciamo, lottando per una maggiore accettazione e tolleranza verso la diversità in tutto il mondo», ha dichiarato Fecal Matter, aggiungendo che la loro missione è quella di sfidare le norme sociali e promuovere la libertà di espressione.
— Otto Huang (@OttoHuang120) October 16, 2024
Foreigners were dispelled out of the Palace Museum in China due to so-called “odd”costumes. pic.twitter.com/oBQD2KTQ9M
L'incidente ha rapidamente guadagnato visibilità sui social media cinesi, scatenando dibattiti accesi su sensibilità culturale, espressione personale e rispetto per le tradizioni locali. I media cinesi, inclusi il quotidiano The Beijing Daily, hanno sostenuto la decisione del personale di sicurezza, scrivendo: «Non è che non sia rispettata la libertà di vestirsi di queste persone, ma piuttosto che loro non rispettano la storia e la cultura cinesi». Anche gli utenti social delle piattaforme cinesi Weibo e Xiaohongshu si sono pronunciati sulla questione. Come riporta Jing Daily, un utente di Xiaohongshu, @sonsoflibertygram, ha scritto: «Quando visiti un paese, sei tenuto a seguire le usanze locali, specialmente quando visiti luoghi di significato storico, culturale o religioso. Se non puoi rispettarlo, resta semplicemente nel tuo paese». Secondo la pubblicazione l’incidente ha avuto una certa risonanza e creato un cattivo precedente per la reputazione di Owens in Cina, dove comunque il designer è molto apprezzato: come spiega Jing Daily infatti con l’hashtag #RickOwens che ha raccolto oltre 130 milioni di visualizzazioni su Xiaohongshu e 75 milioni su Weibo.
Questa controversia emerge a un anno dal momento in cui il governo cinese ha proposto una legge che regola «l’abbigliamento offensivo», definito in modo forse vago come abbigliamento che «danneggia lo spirito della nazione cinese o ferisce i sentimenti della nazione cinese». Una proposta che ha scontentato numerosi cittadini e che lo scorso giugno è stata ridimensionata all’abbigliamento che «glorifica l’aggressività», altra definizione poco netta. L'emendamento proposto, noto come Articolo 34, prevede che chiunque indossi tali abiti possa essere multato fino a 5.000 RMB (681 dollari) o detenuto fino a 15 giorni ma non è molto chiaro quali tipi di abbigliamento sarebbero considerati offensivi, generando preoccupazione tra i cittadini cinesi e gli esperti legali, dato che in assenza di una chiara e precisa prassi il giudizio risiederebbe nell’arbitrio dei singoli agenti delle forze dell’ordine. Negli ultimi anni, Jing Daily racconta, ci sono stati diversi episodi che hanno alimentato il dibattito: nel 2022, una fan di anime cinese è stata arrestata per aver indossato un kimono, e il marchio di abbigliamento sportivo Li-Ning è stato criticato per aver presentato in passerella abiti che ricordavano le uniformi militari giapponesi della Seconda Guerra Mondiale; lo scorso marzo, addirittura un brand di acqua minerale è finito sotto i riflettori per etichette con grafiche troppo reminiscenti del Giappone. In generale l’argomento è parecchio delicato e divisivo – e se l’Articolo 34 dovesse davvero diventare legge, i brand di moda occidentali dovranno fare parecchia attenzione.
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Dal punto di vista commerciale, se la legge passasse, i brand di moda in Cina dovranno dosare attentamente le proprie proposte nel caso in cui un certo articolo o prodotto risulti avere un «impatto sociale negativo» come è scritto nell’articolo. Sebbene la legge non sia ancora stata implementata, episodi come quello di Rick Owens segnalano la crescente tensione tra espressione personale e valori culturali nel paese – l’ingresso alla Città Proibita di oggi potrebbe diventare domani un’interdizione dai mercati. Ma forse è proprio questo delicato equilibrio che i designer e influencer stranieri devono mantenere verso i consumatori cinesi che ha spinto questi ultimi (al di là delle questioni economiche) a favorire nazionalisticamente i brand del paese e, di fatto, a organizzare negli ultimi anni una propria fashion week che rivendica l’autonomia della nazione anche nel campo della moda.