Ai designer serve ancora saper disegnare?
L'abbiamo chiesto a due creativi degli uffici stile di Moncler e Coperni
16 Ottobre 2024
A parte rari casi in cui il direttore creativo invita l’intero ufficio stile in passerella, a fine sfilata l’unico a prendersi gli applausi del pubblico è lui, un creativo che ha il compito di riscrivere l’immaginario di un brand ma che non è obbligato a dover impugnare carta e penna. Nonostante il mondo della moda sia ormai uno degli argomenti preferiti dai media, sono ancora innumerevoli i mestieri che si annidano dietro il sipario della Fashion Week, tra cui i team di stilisti che contribuiscono alla creazione delle nuove collezioni di un brand - non si tratta di direttori creativi, bensì di veri e propri esperti in materia di design. Come è possibile dedurre dalle ultime sfilate, ormai la tecnologia ha surclassato le abilità manuali, un po’ perché strumenti come l’intelligenza artificiale rendono il lavoro più semplice (e intrigante), un po’ perché a volte sembra davvero che tutto, nella moda, sia già stato inventato. Come ci spiegano Francesco Saverio Matera, footwear designer per Moncler, e Paula Villena, head of design accessories per Coperni, lavorare per brand all’avanguardia richiedere una preparazione eccezionale, che include una costante attenzione per i nuovi aggiornamenti delle tecnologie utilizzate in atelier. Ma a cosa serve imparare a disegnare, se ormai c’è un computer che lo fa per te?
Francesco Saverio Matera ha cominciato a lavorare per Moncler l’anno scorso, a pochi mesi dalla laurea in Fashion Design allo IED di Milano. Avendo notato i progetti realizzati da Matera per Materia - brand di moda funzionale, inclusiva e sostenibile che il designer ha fondato all’università per persone con difficoltà motorie e disabilità - il direttore creativo della sezione Footwear di Moncler lo ha contattato su Instagram e su Linkedin prima di invitarlo a collaborare con il brand. «Ho sempre mantenuto il mio stile - dice Matera - quindi ricerca sul mercato e tendenze, primi sketch e render». Sono stati i cambiamenti alla direzione creativa della sezione Footwear di Moncler a portare il team a un uso più diretto dei programmi di intelligenza artificiale, racconta il designer, strumenti che, a causa dei loro limiti creativi, vengono tutt'ora impiegati con parsimonia. «Servono solamente per avere degli input in più, è un ottimo modo per velocizzare i tempi ma non puoi basarti solo su quello», dice, smentendo poi tutte le supposizioni che spesso vengono sollevate in materia di IA. «Devi comunque avere delle competenze base molto forti, devi saper disegnare, solo con l’intelligenza artificiale non riesci a fare nulla». Anche per Paula Villena, head of design accessories per Coperni, per fare il suo lavoro è indispensabile mantenere «l'attenzione per il dettaglio di un artigiano». Coperni è un’azienda che si focalizza ampiamente nella ricerca tecnologica, con progetti che spaziano dalla stampa 3D allo sviluppo di nuovi materiali come la Swipe Swipe della SS25, in silicone riciclabile polimerizzato al platino, eppure saper disegnare, così come conoscere a fondo la storia della moda, continua a rimanere un prerequisito fondamentale per l’ufficio stile della maison. «I rendering sono veloci e precisi, però le competenze della vecchia scuola devono essere conservate per la ricerca», dice Villena, sottolineando che strumenti come l’intelligenza artificiale spesso omologano, invece di creare qualcosa di nuovo. «Le collezioni ormai sono così simili l’una all’altra, se non ci si immerge nei libri si ottiene lo stesso algoritmo di tutti gli altri».
I due designer raccontano di essere atterrati in ufficio stile proprio grazie alla diversificazione dei loro portfolio, poiché in una industry sempre più legata al mondo dei social media e sempre meno creativa l’unico modo per farsi notare è rendere il proprio lavoro unico, capace di trascendere le tendenze. Agli aspiranti designer, Villena e Matera suggeriscono non solo di rimanere aggiornati secondo gli strumenti tecnici attuali, ma di sviluppare un portfolio solido, ricco di progetti e di lavori che esprimono al meglio le proprie qualità. «Lo IED mi ha aiutato molto, però non puoi solo basarti sugli studi universitari - dice Matera - Io ho imparato molto entrando in azienda già a 19 anni». Anche per Villena la diversificazione del portfolio è stato indispensabile per affermarsi nella industry ed eventualmente fare atterrare i propri design sulle scrivanie di Coperni - «Mi sono sempre tenuta impegnata», afferma la designer, ricordando di non essersi mai fermata da quando si è trasferita da Madrid a Londra per studiare moda, trovando tempo per lavorare a progetti personali anche tra un’internship e l’altra. «I corsi master sono sopravvalutati. Lavorate sulla vostra estetica, sulla tecnica e cercate di ottenere una visione a 360 gradi di ciò che oggi è un portfolio forte», consiglia la designer.
Con le scuole di moda che formano centinaia di studenti all’anno, diventa essenziale per i giovani creativi che vogliono lavorare come designer per un brand perfezionare il proprio portfolio e approfondire tecniche specifiche. I posti fissi in ufficio stile sono pochi, ricorda Matera, che negli atelier footwear di Moncler collabora solo con altri due colleghi. Oltre a «trovare la propria specialità», consiglia il designer, durante gli anni formativi è necessario poi «far vedere i propri progetti, non solo quelli universitari, su LinkedIn e sugli altri social media». Ma non montatevi la testa, mette in guardia Villena: «Gravitiamo in un settore completamente sovrasaturo. Occorre mantenere i piedi per terra e avere un occhio critico verso il proprio lavoro, essere gentili e avere ampie conoscenze degli aspetti sociali attuali del mondo in cui viviamo, dalle crisi ambientali ad altri argomenti che toccano il cuore del settore che abbiamo scelto». Insomma, rimboccatevi le maniche; la sicurezza che cercate non vi sarà data dall’intelligenza artificiale, ma dal duro lavoro.