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L’uniforme elettorale di Kamala Harris

Dai completi di Chloè alle scarpe di Manolo Blanhik

L’uniforme elettorale di Kamala Harris Dai completi di Chloè alle scarpe di Manolo Blanhik

Negli Stati Uniti le elezioni presidenziali sono seguite con un’attenzione a cui in Italia non siamo semplicemente abituati. Il ché include anche il guardaroba di rappresentanza dei candidati, solitamente regolato da precise regole: la prima sarebbe quella di indossare designer americani; la seconda quella di aderire a una palette di colori che riprenda le stelle-e-strisce e dunque dominata da blu, bianchi e rossi; infine, e questa più una tradizione per le politiche donne, c’è l’abito o completo bianco che omaggia le suffragette. A queste generali linee guida si accompagnano poi altri elementi relativi al merch dei politici, spesso cappelli a visiera e t-shirt con slogan che giocano il loro ruolo nel far discutere e attrarre visibilità. Ma queste regole sono state quietamente sovvertite dalla candidata dem e vice-presidente Kamala Harris che nel momento-cardine della sua campagna, ovvero l’accettazione della propria candidatura  alla convention democratica di Chicago, ha optato per un’uniforme diversa. In primo luogo perché il brand che ha indossato è Chloè, marchio francesissimo e guidato tradizionalmente da donne (l’attuale direttrice creativa è Chemena Kamali) e in secondo luogo perché ha evitato la convenzione dell’abito bianco preferendo due tailleur dai colori più che eloquenti: uno in “coconut brown” e un altro nel classico blue navy. 

@mara_webster Kamala Harris in this suit has more meaning than we even initially realizrd when she walked out at the DNC! #kamalaharris #kamalaforpresident #kamala2024 #harrisswalz #barackobama #tansuit #coconuttree #dnc #democraticnationalconvention #madampresident original sound - Mara Webster

Secondo Vanessa Friedman, che ne parla  sul The New York Times, il guardaroba scelto da Harris per l’occasione «non era centrato sulla sua sua femminilità - o sul suo femminismo (questo è un dato di fatto) - ma piuttosto la sua capacità di svolgere il lavoro». Anche per Rachel Tashjian del Washington Post la scelta riguardava «l’indossare qualcosa che la mettesse a suo agio per farla concentrare sul lavoro da intraprendere». Senza dubbio comunque i due completi di Chloè hanno lanciato un duplice messaggio in linea con il tono della campagna di Harris: il primo riguarda la natura stessa dell’uniforme presidenziale, e dunque un abito che comunichi competenza e autorità concedendo relativamente poco alla frivolezza; il secondo è quello di un’ironia ammiccante, mirata certamente alla viralità su Internet. Il completo in “coconut brown” indossato per il primo giorno della convention infatti non poteva che ricordare la polemica della tan suit istigata dai conservatori nei confronti di Obama nel 2014, forse dimentichi di quando sia Ronald Raegan che Bill Clinton ne avevano indossata una. Una polemica che oggi ha la sua pagina di Wikipedia e che la mente europea non sa veramente spiegarsi (in Italia i politici adoperano simbologie vestimentarie molto meno sottili che negli USA) ma che dimostrava la volontà di Harris di ironizzare con garbo sullo scrutinio a cui i propri abiti verranno inevitabilmente sottoposti – proseguendo sul quel filone di umorismo fresco che ha animato la sua campagna fin dall’inizio: l’associazione con il successo di Brat, ad esempio; il gesto ironico di Barack Obama sull’ossessione di Trump per le “misure” del suo pubblico; e anche il merch simile a quello di Chapell Roan o che cita espressioni dei rivali come il «childless cat ladies» di JD Vance.

Per ciò che riguarda il merch, l’elemento che sembra distinguere Kamala Harris dalla concorrenza è la sua volontà di strizzare l’occhio alla cultura di Internet, con una consapevolezza abbastanza profonda del fatto che una battuta ben piazzata e uno slogan ironico possano andare molto lontano. Dopo tutto, con il ritiro di Biden dalla corsa, i temi della giovinezza e della freschezza, dello stacco tra un tradizionalismo vecchia scuola e un progressismo tutto moderno si sono riproposti in termini forse un po’ sconcertanti. La novità della strategia di Harris è il suo rivolgersi alla Gen Z e al creare affinità con essa attraverso i suoi più recenti idoli come Charli XCX o Chappell Roan, mettendo insieme merch, gusto per il meme e ovviamente supporto politico – tutti linguaggi propri di un pubblico progressista “cronicamente online” e opposto al linguaggio molto più antiquato sia nelle forme che nei contenuti che i repubblicani adottano. Basti pensare allo stile di comunicazione di Trump sul social Truth, tutto caps lock e ortografia da boomer, ma anche al merch fatto di sneaker dorate, cappelli rossi, maglie iper-patriottiche, stampe del minaccioso mugshot di Trump, riferimenti alla bandiera Gasden, simbolo del liberismo di destra e persino inviti alla lotta. 

Quanto al proprio guardaroba personale, Harris risulta più fedele all’immagine che ha già stabilito negli ultimi anni: tailleur-pantalone presenti sia in colori istituzionali che pastello; una stretta aderenza a una sartoria molto sobria tipica di diverse leader politiche donne occidentali (che negli anni va accogliendo anche linee più morbide, colori più tradizionalmente femminili ma in effetti molte poche gonne) e, a seconda dei casi, anche associazioni a precisi designer su cui si ritorna spesso. Chloè, ad esempio, nel caso di Harris, come pure Carolina Herrera, spesso abbinato a scarpe di Manolo Blanhik e a collane di perle; ma anche a  semplici Converse basse che comunicano senza dubbio una certa assenza di pretensione, una semplicità d’animo. Un tipo di power suiting diverso da quello “imponente” impiegato da Trump, con la sua mega-cravatta rossa, le spalline imbottite e i pantaloni ampi. Ma considerato quanto questa campagna diventerà infiammata nelle prossime settimane, ci si può aspettare che Harris rafforzerà e amplierà il proprio uso della classica power suit – e considerata l’ascesa del trend officecore, non è escluso che i suoi prossimi outfit possano lasciare un’impronta ben più ampia di quella politica nel guardaroba e nei trend delle prossime stagioni.