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Perché tutti indossano un “dad hat”?

Più che l’accessorio di questa estate, l’accessorio di tutte le estati

Perché tutti indossano un “dad hat”? Più che l’accessorio di questa estate, l’accessorio di tutte le estati

Un "dad hat" è un berretto da baseball dai toni casual, spesso poco strutturato, quasi sempre realizzato in cotone o tela. Presenta una visiera leggermente curva e una chiusura regolabile sul retro e soprattutto una vestibilità confortevole – e non va confuso né con i cappelli con visiera nuovi di zecca, troppo poco rilassati per essere “da papà” né con i trucker hat, un po’ più trash e ironici, che presumono uno stile Y2K per l’intero look. Il dad hat è in effetti più versatile, di presenza più tenue e discreta, un po’ un simbolo del leisure americano anni ’50 di cui l’intero occidente è al momento nostalgico. Oggi, più che in testa a papà americani dietro bianche staccionate suburbane, lo vediamo frequentemente indossato da celebrità come Rihanna, Gigi Hadid, Kendall Jenner, Hailey Bieber e Cara Delevingne che ne hanno accentuato il vibe modaiolo, ma in verità il cappello, come simbolo della cultura USA, è indossato proprio da tutti: dalla folla dei comizi di Trump fino a quella dei concerti di Charli XCX. Più notevole è l’onnipresenza del cappello al di qua dell’Atlantico, dove la sua presenza non è nativa ma una sorta di innesto, e dove il cappello da papà è diventato predominante in outfit che pescano a piene mani tanto dall’estetica Midwest fatta di camicie a quadri e dettagli country, quanto da quella dei raver. Ma da dove viene il il “dad hat”?

Storia del “dad hat”

Come si diceva, il "dad hat" è essenzialmente un tipo di berretto da baseball indossato per anni, al punto da essere sbiadito e rovinato ma per questo più comodo e piacevolmente vissuto. I primi berretti da baseball di questo tipo apparvero già negli anni '40 del 1800, quando i Brooklyn Excelsiors adottarono dei cappelli arrotondati e con una lunga visiera piatta fatta di paglia per proteggersi dal sole. In breve divennero parte delle uniformi ufficiali e con il passaggio a materiali come lana e cotone alla fine del XIX secolo, i cappelli divennero più durevoli e più diffusi. I Cincinnati Reds adottarono ufficialmente il berretto da baseball come parte della loro uniforme nel 1905, una tendenza che presto fu seguita da altre squadre. Negli anni '20, la New Era Cap Company iniziò a produrre berretti da baseball con innovazioni come cinghie regolabili e loghi, rendendoli più confortevoli e permettendo ai fan di mostrare la loro fedeltà alla squadra scoprendo letteralmente una miniera d’oro. E dagli anni ’70 in avanti i cappelli divennero anche parte del merchandise di scuole, musei, negozi e business locali, aziende – insomma si rivelò la loro natura di perfetto veicolo di marketing. Negli anni '80, avevano già superato le loro origini atletiche per entrare nel reame dell’abbigliamento, indossati specialmente nel tempo libero tanto dai giovani quanto dai papà di provincia durante le attività all’aria aperta. Ma il "dad hat" come lo intendiamo, con la sua sua vestibilità destrutturata e la visiera curva, guadagnò popolarità negli anni '90 nella moda hip-hop

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L'adozione del "dad hat" da parte dell'alta moda ha ulteriormente consolidato il suo posto nello stile contemporaneo. Il berretto in cotone con visiera, in fondo, è uno dei veicoli più commerciali per un logo, e in certi casi, nella sua completa banalità, può arrivare a diventare uno dei prodotti best-seller di un certo brand. Brand come Miu Miu, Celine e Balenciaga, pur specializzandosi in design di fattura ben più complessa, hanno incorporato i "dad hat" nelle loro collezioni sia evocando vibe nostalgici che facendoli diventare un’estensione naturale del proprio stile: item accessibili che segnalano appartenenza – praticamente la quintessenza del lusso moderno meno i costi. Questa integrazione dei “dad hat” nella moda di lusso ne ha fatto articoli desiderabili, il cui prezzo vola spesso sopra i 300 euro. Dimostrazione della sua versatilità fu il caso di Loro Piana, il cui cappello a visiera privo di logo, apparso nella prima stagione di Succession fece del “dad hat” un classico non solo dello streetwear ma anche del quiet luxury – un tipo di fusione che, nel mondo fuori dallo schermo, dobbiamo attribuire anche a figure come Tyler, The Creator che lo hanno abbinato a look ben più tradizionali ma anche ad Alessandro Michele, che ne include sempre uno dei propri look personali che hanno in parte anticipato l’attuale tendenza del romanticismo vintage.  

L’attenzione che tributiamo al “dad hat”, oltre che riflettere il livello in cui il marketing (di lusso e non) si è infiltrato nella nostra cultura, dice anche qualcos’altro sulla nostra società e soprattutto sul culto delle celebrità. Al di là della sua popolarità nel costume americano e dunque la sua popolarità per le celebrità, il “dad hat” ha assunto anche una funzione di schermo e protezione per divi in incognito, diventando una specie di anti-significante della discrezione: nascondendo un viso, ne suggerisce la potenziale importanza. Banalmente,  tante celebrità lo indossano che ormai anche nei film Marvel i personaggi che non vogliono farsi riconoscere si camuffano con cappello da baseball e occhiali da sole – una convenzione che non ha mancato di diventare il soggetto di infiniti meme online. Infine, la sua natura di oggetto decorativo terra-terra, assai poco pretenzioso, ne ha sancito la popolarità su ogni livello sociale, in ogni latitudine del mondo. Un primato che la moda ha già provato a scardinare nelle ultime stagioni popolando le passerelle di qualunque cappello tranne quello. Se ci riuscirà effettivamente lo vedremo l’anno prossimo. Nel frattempo quest’anno, è l’anno del “dad hat”.