Quando Stefano Pilati era direttore creativo di Saint Laurent
Un esploratore lati più oscuri del glamour
30 Maggio 2024
Il 2009 è l’anno in cui è stato presentato The September Issue, docu film incentrato sulla creazione del Vogue US di settembre, il numero più importante per l’ecosistema editoriale di Condé Nast. In uno dei tanti frame dove Anna Wintour è intenta a disapprovare il lavoro di dipendenti e collaboratori, compare Stefano Pilati mentre racconta timidamente una delle sue ultime collezioni per Saint Laurent. Pilati, che da adolescente sognava di poter indossare gli abiti di Fiorucci, ha preso le redini della maison francese nel 2004, subito dopo la tenure Tom Ford e l’acquisizione da parte di Gucci Group. Dopo che Ford annunciò le dimissioni, tutti davano per scontato che Pilati sarebbe stato l’erede di YSL. “Io ero il candidato numero 1”, ricorda il designer sul New York Times, “ma cercavano ancora qualcun altro. Ogni giorno c’era un nuovo candidato, Hedi Slimane o Alexander McQueen ma non ho aspettato che mi dicessero di sì: ho iniziato a disegnare due collezioni. E, alla fine, mi hanno dato il posto”.
@bundchenaesthetic #AnnaWintour durante o #preview da coleção de outono/inverno 2007 da #YvesSaintLaurent a comando de #StefanoPilati, bem #TheDevilWearsPrada som original - bündchen aesthetic
Il lavoro di Pilati di Saint Laurent parte da un assunto di base molto preciso: “Saint Laurent ha fatto tutto. Entri negli archivi YSL e hai la sensazione che ha pensato a qualsiasi idea potessi mai immaginare. È intimidatorio”. Intimidazione che, a detta del designer italiano, non sembra aver contraddistinto allo stesso modo l’operato del suo predecessore, Tom Ford, reo di aver tralasciato, in un certo qual modo, il grande monito cucito sugli smoking e le sahariane di Monsieur Yves: mettere le donne alla prova. Quando Stefano Pilati arriva da Saint Laurent si trova di fronte ad uno scenario segnato da una crisi finanziaria iniziata nel 1993 e da tre operazioni di vendita: la prima al conglomerato farmaceutico francese Elf Sanofi; la seconda nel 1999 a François Pinault per 1 miliardo di dollari e la terza al Gucci Group.
Nella lunga intervista rilasciata al New York Times Pilati ricorda le parole pronunciate da Tom Ford sul finire del 2001 : “L’11 settembre sono finiti gli anni ’90”. È stato un momento difficile per rilanciare un marchio”. Eppure, Yves Saint Laurent iniziò a riprendersi quando sono stati introdotti una borsa (la Mombasa) e un profumo (Nu). “È stato piuttosto affascinante per me osservare tutto questo” raccontava Pilati tra una sigaretta e l’altra. "E utile. Cercavano tutti la borsa per salvarci. Ho detto: Non sono un designer di borse, ma farò la mia parte. Abbiamo ideato la Mombasa”.
Il percorso di direttore creativo da Saint Laurent, ad ogni modo, inizia con la collezione SS05 che, distaccandosi dal sensualismo rincorso ininterrottamente da Tom Ford, divise la critica diffidente verso le gonne a tulipano e le stampe a pois riconducibili ad un intervallo di tempo non precisato tra gli anni ’50 e ‘80: Vanessa Friedman definì gli abiti da cocktail disastrosi, mentre Suzy Menkes scrisse che le gonne "sembravano da ragazze in una sfilata di Pasqua". Soltanto Carine Roitfeld, alla guida di Vogue Paris, intravide del potenziale nella direzione creativa di Pilati portando una delle sue giacche a pois sulla cover di febbraio. Se già con la collezione FW05 Pilati aveva riletto i codici estetici dell’uniforme delle suore gianseniste nei dipinti fiamminghi, con i loro tessuti "puliti, perfetti e stirati ma ricchi di dettagli", con la collezione FW06 era riuscito a rendere sexy delle tuniche portate su pantaloni skinny lasciando in panchina quelli da smoking - “Guardando le mie sorelle, mi sono reso conto di quanto possa essere sexy sbottonare qualcosa da dietro. Hai bisogno di un uomo che ti aiuti nel farlo.”
“Finalmente qualcosa da indossare!” scriveva invece Cathy Horyn a proposito della collezione FW07 quella che, invece, Anna Wintour guardava con diffidenza in The September Issue a causa della palette cromatica spoglia a suo avviso - il glamour di Pilati, per quanto sofisticato, si contraddistingue per una resa fredda. “Lo sai, non è il mio mood d’inverno. I colori per me sono più una cosa estiva” spiegava a suo modo Pilati. Giacche dal taglio maschile, cappotti arrotondati con maniche raglan, giacche da smoking, una palette grigio cemento che abbracciava persino una pelliccia con chiffon annodato in vita: Pilati ha saputo rileggere l’archivio di Yves Saint Laurent sia nei suoi aspetti più romantici, sia apportare la sua visione retta da una costante intelligenza spaziale rintracciabile nei volumi e nelle silhouette riuscendo persino a restituire uno spaccato del percorso creativo del suo fondatore: i copricapi e i vestiti in nylon portati durante la collezione FW07 riproducevano la texture degli stivali di coccodrillo che sconvolsero la stampa nel 1960, quando Yves perse il ruolo di direttore creativo di Dior.
@the.vintism Is this @ysl F/W 2007 RTW runway coat by @stefanopilati one one of the chicest we have ever had? Yes, it might be. Crafted to perfection in soft grey wool & cashmere felt, the oversized balloon sleeves, the deep V neckline, the invisible button fastening make it a definition of YSL’s Parisian chic. As seen on the legend @gisele in the ad campaign. Psssst… We saw a twin of this coat sold online for over 2000$, while our reserve price may be somewhere around 300
Pilati in persona ha sperimentato lo stesso tipo di trattamento quando, nel 2004, era stato criticato dalla stampa per le stampe a fiori. “Quando avevo 17 anni, il direttore del design di Nino Cerruti, che è stato il mio primo mentore, mi ha insegnato che essere troppo avanti significa essere indietro. La cosa più importante è arrivare puntuali”. Sebbene il designer abbia più volte ironizzato sulla sua capacità di fare business, ha sempre lavorato insieme alla CEO Valérie Hermann per lanciare accessori e prodotti dal forte appeal sulle masse: nel 2005 è la volta della sua prima borsa Muse, il 2008 di Muse Two e dei padded boots poi proposti anche nella versione décolleté. “Viviamo in un mondo dove dovresti chiedere a te stesso: spenderei migliaia di dollari per questo vestito?” si domandava nel 2008, ad un passo dalla crisi finanziaria annunciata dai media. Parte della risposta al problema è stata affrontata con la collezione FW09 che ha trasformato gli smoking d’archivio di Saint Laurent in gessati o ensemble in pelle verniciata, raggiungendo uno stadio più maturo con la collezione FW10 dove collane con pendenti d’oro riprodotte da magazine degli anni ’70, cappelli e cappe parlavano di protezione.
Dopo essere stato escluso al gala di apertura per una mostra su Yves al Petit Palais da Pierre Bergé in persona, Pilati rielabora appieno gli aspetti più sleek e classici dell’archivio con la collezione FW11, flirtando con il blu navy e volant fucsia. Il suo continuo scavare all’interno dell’heritage e del vissuto personale dell’autore del brand francese conduce Pilati ad un editing più drammatico e oscuro con le ultime collezioni: con l’uomo cita la storia d’amore tra Yves e Jacques de Bascher e la sua vita notturna trasformando giacche sartoriali militari e caban in un set bondage à la Robert Mapplethorpe (un maglione riprendeva persino la sua iconografia delle lame), mentre con la donna gioca con vitini da vespa, pelle e abiti in cotta di maglia contornati da capelli lisci disciplinati da Guido Palau e labbra rosso vampiro disegnate da Pat McGrath. Pilati che per quest’ultima collezione aveva scelto la calla, il fiore adottato dai Romani come simbolo della lussuria e come decoro sulle tombe degli imperatori scomparsi prematuramente, varca per l’ultima volta la passerella di YSL. E lascia, come testamento creativo, una sovrascrittura molto puntuale di quell’universo che di dorato ha davvero poco.