Esiste ancora una scena trap italiana?
Dopo solo cinque anni, l'hype attorno alla trap in Italia si è rarefatto
18 Aprile 2021
"Signori, questo è l'inno della nuova scuola" scrive un utente nei commenti del testo di Revolver Freestyle su Genius, brano firmato da Tedua, Sfera Ebbasta, Rkomi, Izi e il francese Coyote Jo Bastard e rilasciato il 13 gennaio 2017. Un commento emblematico e significativo, che riassume in poche parole l'eccitazione che si respirava attorno alla nuova scena trap italiana tra il 2015 e il 2016. Oggi quella scena è rimpianta, mentre i social sono pieni di persone che ricordano quanto sia stata rilevante l'ondata di nuovi rapper esplosi nel 2016, un anno magico, che ha visto uscire diversi dischi ancora oggi molto apprezzati. Da Orange County Mixtape di Tedua, a Sfera Ebbasta dell'omonimo rapper di Cinisello Balsamo, fino a Dasein Sollen di Rkomi e la Trilogy della Dark Polo Gang, sembrava che tutti i nuovi talenti della scena trap avessero deciso di concentrare sul 2016 il loro impegno, contribuendo a rendere quell'anno musicalmente indimenticabile.
L'hype sulla nuova scuola era talmente ampio che forse, guardando un po' indietro, è difficile ritrovare tanta euforia per un movimento musicale in Italia. Stando al numero di dischi venduti, il rap nell'ultimo decennio è cresciuto esponenzialmente, una crescita possibile soprattutto grazie all’apporto della trap, vera svolta per la musica commerciale, capace di rendere il rap italiano estremamente più cool e interessante per i giovani e i giovanissimi, ma non solo. La trap è stata fondamentale anche per far rinascere rapper già in attività, che hanno virato su nuove sonorità portando una ventata d’aria fresca nella loro musica. A guidare tutto il movimento, un rapper su tutti: Sfera Ebbasta, capace di fare disco d'oro ventiquattro ore dopo l'uscita del suo ultimo album, Famoso, e abile a collegarsi con le altre scene internazionali, collezionando featuring incredibili con rapper e produttori di rilevanza mondiale come J Balvin, Quavo, Future, Diplo e Steve Aoki per citarne alcuni. Così si è creato per la prima volta un ponte solido tra la scena italiana e il mondo.
Oggi però qualcosa sembra essersi rotto. Le classifiche sono ancora dominate dalla trap, alcune canzoni riescono ancora a risultare orecchiabili, ma la magia di cinque anni fa è svanita. I rapper esplosi nel periodo d'oro della trap sono cresciuti, sono maturati, e hanno reso più appetibile a tutte le orecchie la loro musica. C'è chi come Rkomi, addirittura, ha praticamente smesso di fare rap, abbracciando di più una corrente urban, mentre altri, come la Dark Polo Gang, che faceva dell’eccesso il suo mantra, è finita per omologarsi all’estremo, perdendo la sua mitica caratterizzazione (musicale e non) tanto rimpianta dai primi fan. Chi è venuto dopo di loro però non ce l'ha fatta a lasciare il segno come i predecessori. È come se la bolla speculativa nata intorno alla trap fosse scoppiata, creando personaggi posticci e tutti uguali fra loro, attentando all'originalità e alla freschezza di cui tutti i maggiori poli hip hop italiani (Milano e Roma, ma anche Napoli e Genova, la città che più di tutte ha acquisito popolarità con l'esordio di Tedua e Izi, membri di spicco della Wild Bandana) erano pervasi qualche anno fa. Quello che è successo potrebbe essere una conseguenza naturale del grande interesse generato dalla trap in Italia, una novità assoluta per il pubblico nostrano. Come già detto, sono stati tantissimi i rapper (o presunti tali) che sono emersi nell'ultimo lustro. Molti di loro, vedendo come fosse semplice farsi notare con la trap, hanno cavalcato in pieno l'onda lunga del sottogenere. Per loro, del resto, fare trap è "facile": basta un type beat trovato su YouTube o realizzato dall'amico che si è improvvisato producer (una figura, quella del produttore musicale, addirittura sconosciuta ai più prima dell'avvento della trap nella penisola) e un testo scritto in mezz'ora in cui si cita qualche marchio di alta moda.
I social network, ovviamente, hanno facilitato il gioco. Senza i social e senza la trap, gran parte della scena nazionale non ci sarebbe. Basterebbe citare tha Supreme e Young Miles, giovanissimi producer sulla cresta dell'onda esplosi grazie a Internet, o ANNA, che ha conosciuto la fama grazie a TikTok. Una domanda allora sorge spontanea: fare musica trap è davvero così semplice? Ovviamente la risposta è no, ma è proprio a causa di questo "equivoco" che oggi abbiamo tutti questi rapper uguali fra loro, incapaci di dare qualcosa di nuovo al genere e in grado unicamente di sopravvivere "ispirandosi" ai colleghi delle altre scene europee per cercare di svecchiare delle sonorità trite e ritrite già dopo solamente cinque anni. Una sorte simile in Italia è quella a cui sta andando incontro la drill, altro sottogenere del rap reso celebre da Chief Keef e la Glo Gang, ma soprattutto da Pop Smoke, rapper scomparso ormai un anno fa e divenuto leggenda dopo la morte. La sensazione è anche qui quella di essere davanti a una nuova possibile bolla speculativa: nell'ultimo anno tanti nomi sono emersi grazie alla drill, tanti altri hanno deciso di provare a farla, molto spesso però il risultato è stato scoraggiante. Il problema, così come con la trap, rimane sempre lo stesso: se altrove qualcosa funziona, non significa necessariamente che possa succedere lo stesso anche nel nostro paese. Così la creatività e l'originalità si eclissano in un testo come un altro, in una storia Instagram in cui ci si vanta di aver portato per primi il genere in Italia, in uno slang parlato senza appartenere al giusto contesto.
Quando la trap arrivò in Italia nel 2015, la novità era reale e il sound che si iniziava a sentire era veramente innovativo per il panorama. Il sottogenere aveva molto meno seguito (rispetto a oggi) anche in America, e in più i rappresentanti della nuova scena avevano uno stile, un fascino, una personalità quasi rivoluzionaria, ma soprattutto avevano davvero qualcosa da dire, un riscatto da compiere, e la musica era la via giusta da percorrere per sfuggire a una vita fatta di stenti tra le case popolari e la delinquenza. Tutti i protagonisti della new wave trap avevano una storia da raccontare e un forte legame a unirli tutti, come se fossero i prescelti per portare la trap alla ribalta. Purtroppo adesso la realtà è diversa e la trap italiana ha finito le idee, è satura e piatta, e una via di fuga non può di certo essere copiare le movenze e il flow di qualcun'altro. Qualcuno riesce ad emergere - Rosa Chemical, personaggio pressoché unico sul suolo italiano, allo stesso tha Supreme, che ha un sound chiaramente riconoscibile, o a qualche emergente, come J Lord, napoletano di cui presto sentiremo parlare -, ma per le nostre ambizioni non è abbastanza. Nel 2021, la trap in Italia continua a far vendere tanto e a intrigare il pubblico, ma per quanto ancora tutto questo durerà?