A Guide to All Creative Directors

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Perché l'Unione Europea sta diminuendo le leggi per la sostenibilità nella moda?

La nuova proposta di legge non prende neanche in considerazione le catene di approvvigionamento

Perché l'Unione Europea sta diminuendo le leggi per la sostenibilità nella moda?  La nuova proposta di legge non prende neanche in considerazione le catene di approvvigionamento

Lo scorso mercoledì l'Unione Europea ha esposto una nuova proposta di legge per la sostenibilità. Le regole, a cui si dovranno attenere aziende e brand di moda, sono in verità molto più "diluite" rispetto a quanto anticipato: in un periodo in cui la fashion industry si ritrova coinvolta in diversi scandali etici e ambientali legati al sistema di produzione, il retrofront dell'UE rappresenta un rischio enorme per l'ambiente così come per il settore. La nuova proposta semplifica alcuni dei più importanti regolamenti che controllano l'impatto ecologico del sistema moda, come la Corporate Sustainability Reporting Directive e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive. La prima, che obbliga le aziende a riportare informazioni sul proprio impatto ambientale e a presentare un piano per contrastarlo, è entrata in vigore solo quest'anno; la seconda tutela i diritti umani e sensibilizza le aziende ai danni ambientali con gravi sanzioni. Il problema è che, con le elezioni americane ed europee che tendono l'ago politico verso destra, la dirigenza sta preferendo ridurre le leggi green in favore del guadagno, come dimostrato dalle affermazioni dal CEO di LVMH Bernard Arnault che dopo aver presenziato alla cerimonia di insediamento di Trump, ha detto che la Francia dovrebbe «fare come gli Stati Uniti e nominare qualcuno che riduca la burocrazia». 

Adesso la Comunione Europea vuole tagliare del 70% la quantità di informazioni che devono pubblicare le aziende relative al loro impatto ambientale e limitare dell'80% il numero società coinvolte nella Corporate Sustainability Reporting Directive. Riferendosi solamente ad aziende con più di mille dipendenti e un fatturato superiore a 50 milioni di euro, con questa modifica l'UE starebbe cercando di dare più tempo alle aziende minori per adattarsi alle nuove leggi. Contemporaneamente, mentre le sanzioni per chi infrange la Corporate Sustainability Due Diligence Directive all'inizio corrispondevano al 5% del fatturato globale dell'impresa, adesso saranno molto più basse e l'attuazione è stata posticipata di un anno al 2028. In più, le norme a tutela dei diritti umani e dell'ambiente non riguarderanno più la supply chain ma solo gli appaltatori diretti. 

Mentre fino a prima l'UE stava compiendo grandi passi avanti verso una moda più etica, le nuove normative rappresentano un retrofront improvviso per tutta la industry. Riaprono le voragini ambientali che sono state create negli ultimi anni dalle aziende di moda disattente, permettendo loro di ricominciare ad agire come in precedenza non solo a danno del Pianeta e dei lavoratori ma anche della reputazione dell'artigianato europeo (tra cui il Made in Italy). Per favorire la crescita economica delle imprese l'Europa sta allentando le strette legislative, portano a una riduzione della burocrazia che, se ridotte ulteriormente, potrebbero divorare per sempre il progresso climatico dell'UE. Oltretutto, non è detto che una minore trasparenza porti necessariamente a un migliore rendimento economico: come ci aveva spiegato Nicole Rycroft, Founder ed Executive Director di Canopy, alle aziende di moda in verità non conviene risparmiare sulla sostenibilità.  Oltre al fatto che «i consumatori si aspettano sempre più trasparenza e azioni significative -  afferma Rycroft -, le catene di approvvigionamento convenzionali sono sempre più volatili a causa della crisi climatica», perciò adattare un approccio sostenibile è garanzia di stabilità. «La sostenibilità non è un centro di costo a breve termine, ma un creatore di valore a lungo termine».