
Perché agli Oscar alcuni film finiscono nella categoria sbagliata?
La storia degli award cinematografici è ricca di casi di category fraud, eccoli spiegati
27 Febbraio 2025
Kieran Culkin ha vinto il SAG Awards come miglior attore non protagonista per A Real Pain. Così come il Golden Globe, il BAFTA e il Critics' Choice Awards. L’attore di Succession, reduce dagli elogi e i premi per il ruolo di Roman Roy, è il favorito della sua categoria per la notte degli Oscar che si terrà il 2 marzo al Dolby Theatre di Los Angeles, ed è facile immaginarlo già proiettato sul palco con il premio in mano a ringraziare i votanti degli Academy. Alcuni suoi colleghi, però, potrebbero non essere tanto contenti, soprattutto gli altri candidati come migliori attori non protagonisti. Non si tratta di semplici gelosie, ma di vere e proprie ingiustizie. Più che negli scorsi anni, dove un meccanismo truffaldino era già abbastanza palese, l’idea di una category fraud è stata quanto mai evidente proprio con la scalata al successo di Culkin per un film in cui appare ben 58 minuti e sei secondi rispetto ai 62 minuti e 29 secondi del (solo?) protagonista Jesse Eisenberg, regista e sceneggiatore di A Real Pain. Un’opera che, nel suo insieme, dura poco meno di un’ora e mezza. Per quale motivo, dunque, candidare Kieran Culkin come migliore attore non protagonista? E, soprattutto, è una mossa corretta?
Poco importa agli Academy e, ancor più, alle produzioni che invitano i membri al voto condizionando la scelta con For Your Consideration. Sono infatti loro a dettare l’andamento delle nomination e, in particolare, a indirizzare i vari interpreti tra le candidature così da dare più chance di successo al loro film. La pratica, quella della frode, che ha visto nel corso degli anni casi lampanti e questo 2025 prosegue imperterrita sulla propria via. Sebbene sia ovvio che qualsiasi team farebbe il possibile per vedere il proprio lavoro trionfare in più ambiti possibili, si rimane comunque sorpresi del fatto che l'Academy non ha mai preso provvedimenti a riguardo. È del 2018 l’uscita al cinema di Green Book; l’anno successivo, Mahershala Ali si aggiudica la statuetta come migliore attore non protagonista diventando l’interprete col minutaggio più lungo della storia degli Academy a vincere il premio, con una presenza sullo schermo di un’ora, sei minuti e trentotto secondi. L’interprete era stato inserito nella categoria “sbagliata” per non doversi scontrare col collega Viggo Mortensen, battuto dal Rami Malek di Bohemian Rhapsody, salito comunque sul carro dei vincitori con l’Oscar per Green Book come miglior film.
Green Book (2018) pic.twitter.com/rdnG0oCrZS
— Cinefied (@cinefied_) January 1, 2025
Spesso le produzioni scelgono di dividere i propri attori per aumentare l’opportunità di vederli entrambi trionfare, riuscendo a volte nell’intento e commettendo in altre dei clamorosi errori. Fu il caso di Al Pacino che nel 1972 cominciava la sua scalata alla fama con Il padrino di Francis Ford Coppola. Mentre il giovane interprete si affacciava all’inizio della sua carriera pluridecennale, Marlon Brando stava riaffiorando trionfante sulle scene nel ruolo di Vito Corleone. Per gli Oscar, dunque, si scelse di candidare quest’ultimo come migliore attore protagonista, portandolo alla vittoria e lasciando invece Al Pacino a doversi dividere i voti con altri due membri del cast, James Caan e Robert Duvall, nella rosa dei supporter. Per la statuetta Pacino dovette aspettare venti anni precisi, conquistandola con Scent of a Woman - Profumo di donna nel 1993. Ma l’esempio de Il padrino mostra come si sia favoreggiato un interprete che si riteneva imbattibile, anche quando il lavoro non corrispondeva all’effettiva categoria, oltre ad aver mostrato che mettere insieme ben tre interpreti nella stessa rosa di non protagonisti abbia portato ad una dispersione di voti, favorendo nella vittoria il Joel Grey del meraviglioso Cabaret.
Marlon Brando al trucco, con un giovane Al Pacino, sul set de "Il padrino". pic.twitter.com/Qv8vhfbq7g
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È anche su questo che si basa una compagna Oscar: cercare di individuare il cavallo vincente e scegliere chi sacrificare in suo favore. Di fatto, quando nel 1991 Susan Sarandon e Geena Davis vennero entrambe candidate come migliori attrici per Thelma & Louise, a sfangarla fu Jodie Foster per la sua Clarice Starling ne Il silenzio degli innocenti. Una statuetta il cui merito è fuori da ogni discussione, come il fatto che sia Sarandon che Davis non possono che essere considerate co-protagoniste. Fu un insegnamento per gli studios, che avrebbero potuto vedere almeno una delle due star premiata come migliore attrice non protagonista - riconoscimento invece andato a Mercedes Ruehl per La leggenda del re pescatore, film a suo modo memorabile che però non ha nulla a che vedere con il road movie di Ridley Scott. Così le produzioni si sono ingegnate, manovrando le categorie dei premi e reputandole più un suggerimento che una legge imposta. Oltre al caso Green Book, c’è stata anche La favorita, dove Emma Stone e Rachel Weisz hanno lasciato la strada spianata a Olivia Colman con le prime due candidate come non-protagoniste e permettendo alla collega di conquistare la tanto ambita statuetta. Nonostante il premio a Colman sia stato più che meritato, c'è da sottolineare che nel film il maggiore arco di trasformazione lo affronta proprio la non-protagonista Abigail Masham, interpretata da Emma Stone, un discorso che vale anche per i personaggi di Alicia Vikander in The Danish Girl e di Kate Mara in Carol.
Sebbene alcuni di questi ruoli possono essere considerati “non” protagonisti in termini di percezione (anche se bisognerebbe tener conto del minutaggio e vedere quale attore risalta di più, nonostante il poco tempo riservato), ci sono esempi più manifesti che mostrano un autentico ingranaggio inceppato che non favorisce un gioco pulito. Basti pensare a Viola Davis che conquista il suo primo Oscar nel 2017 come miglior attrice non protagonista per il film Barriere di Denzel Washington. Come si spiega che l’interprete, per lo stesso ruolo a teatro, si è aggiudicata anche un Tony Award come migliore attrice protagonista nel 2010? Per non dimenticare Judas and the Black Messiah, in cui LaKeith Stanfield è stato presentato come protagonista e Daniel Kaluuya come “non” ma entrambi sono finiti nella categoria dei miglior attori non protagonisti poiché era difficile capire bene chi fosse di supporto a chi - in questo caso non c’è stato uno spargimento di voti, con Kaluuya che è riuscito a conquistare la statuetta reduce anche da una vittoria ai Golden Globe che ha sicuramente facilitato la direzione ai membri dell’Academy.
How can people say the bear isn't a comedy when this scene exists pic.twitter.com/dzAlTrEhgB
— ۟ (@carmygf) January 9, 2024
Non si pensi però che gli Oscar siano gli unici riconoscimenti in cui produzioni e studios fanno i loro comodi. Una serie come The Bear, che è uscita nel 2022, va avanti di strategia quando si tratta di candidature ai maggiori premi televisivi, tanto che la seconda stagione è riuscita a stabilire un record agli Emmy portando anche a casa gloriosi premi. Lo show culinario continua a essere spacciato come una “comedy” ed è dalla prima stagione che gli spettatori si domandano cosa ci sia da ridere delle tragedie di un giovane cuoco che soffre d’ansia e non riesce ad avere una relazione sana con nessuno della sua famiglia, figuratevi quando prova ad avere una ragazza. Ma essendo le categorie drama notoriamente molto forti e più combattive, la produzione ha deciso di prendere una scorciatoia per arrivare a ben ventitré nomination nel 2024 nella sezione comedy. C’è inoltre da considerare che non esiste nemmeno più il veto affinché le serie nella suddetta categoria abbiano puntate della durata di massimo trenta minuti, come era stato fino al 2021, rendendo per gli studios tutto ancora più facile. A rimetterci, però, sono quelle che comedy lo sono davvero. Come agli Oscar lo sono quegli attori che hanno ruoli da non protagonisti che non protagonisti lo sono davvero.
Tantissimi caratteristi rischiano di rimanere tagliati fuori dalla competizione, figurarsi anche solo vincerla. E coloro che hanno un minutaggio sostanzialmente inferiore rispetto a dei veri e propri co-protagonisti dovrebbero essere premiati proprio perché, al netto dello spazio limitato, riescono a rimanere stagliati nella mente del pubblico. Sembra del tutto impari la sfida che spetta a Isabella Rossellini, che ha avuto meno di otto minuti in Conclave, contro la favorita al premio Zoe Saldaña che in Emilia Pérez compare per 57 minuti e 50 secondi, ovvero il 43,69% del film, per un tempo addirittura superiore rispetto ai 52 minuti e 21 secondi della collega Karla Sofía Gascón, candidata come migliore attrice - e che se non verrà nemmeno considerata per la vittoria è per tutt’altro motivo, tra polemiche e tweet incriminanti. Ma non è l’unico caso nella stagione 2025. Se Idina Menzel e Kristin Chenoweth nel musical di Broadway di Wicked furono entrambe nominate ai Tony Awards come migliori attrici protagoniste (con l’interprete di Elphaba vincitrice), per l’adattamento cinematografico Cynthia Erivo è candidata come migliore attrice, mentre Ariana Grande come non protagonista. E su due ore e quaranta minuti siamo abbastanza sicuri di aver visto abbastanza rosa da poter assicurare che il ruolo di Glinda, rispetto alla versione teatrale, non è stato ridimensionato. Che ci siano stati poi esempi come Il silenzio degli innocenti, in cui l’interpretazione di Anthony Hopkins e la sua sola presenza di sedici minuti abbiano influito sull’inserirlo nella categoria dei migliori attori protagonisti è un caso che dovrebbe segnare più l’eccezione che la regola, proprio a sottolineare la straordinarietà dell’avvenimento - consolidata dal conseguente impatto nella cultura popolare del suo Hannibal Lecter.
Per quanto, dunque, non si possano che lodare le performance di due fuoriclasse come Saldaña e Culkin, il nostro pensiero va a Guy Pearce, con uno dei suoi migliori ruoli in carriera con The Brutalist. Ma anche a Jurij Borisov, che col suo Igor in Anora dà tutta una nuova direzione al film di Sean Baker. E ancora a Felicity Jones e a Monica Barbaro, sempre per The Brutalist e A Complete Unknown, che qualcuno forse non ricorderà nemmeno essere candidate – mentre per Isabella Rossellini, in realtà, si nutre ancora qualche speranza. Che Beatrice Straight in Quinto Potere (5 minuti), Judi Dench in Shakespeare in Love (8 minuti), Alan Arkin in Little Miss Sunshine (14 minuti) e Anne Hathaway ne Les Misérables (15 minuti su 2 ore e 38 minuti!) possano fare da reminder agli Oscar del futuro, facendo tornare in mente cosa significa sul serio essere dei degni supporter.