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Su Netflix la nuova generazione di "ACAB – La serie"

Dopo tredici anni dal film, tornano i poliziotti del libro di Carlo Bonini

Su Netflix la nuova generazione di ACAB – La serie Dopo tredici anni dal film, tornano i poliziotti del libro di Carlo Bonini

I tempi cambiano, l’acronimo ACAB resta. Nel 2012 il romanzo scritto da Carlo Bonini era diventato film sceneggiato da Barbara Petronio, Daniele Cesarano e Leonardo Valenti e diretto da Stefano Sollima, che della Roma buia e criminale, anche e soprattutto quando coinvolgeva le cariche dello Stato, ha seguito successivamente i progetti/parenti Suburra (2015) e Adagio (2023). Stavolta la storia, che prende ispirazione dal libro quanto dal film piegandosi poi alle volontà degli avvenimenti e della società di oggi, diventa una serie Netflix che si sposta dalle vicende delle curve ultras ai manifestanti no TAV, mostrando la stessa violenza dei precedenti prodotti con però diverse parti politiche coinvolte, per poter rivolgersi quanto più possibile all’attualità dei giorni nostri.  Non a caso lo show, a cui va collaborando proprio Bonini alla sceneggiatura, insieme a Filippo Gravino, Elisa Dondi, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini, parte con i “celerini” pronti a linciare un gruppo di “zecche”, portando lo scontro su un terreno in cui ci rimetteranno ambo le parti. E non lo è nemmeno il fatto che, rispetto alla claustrofobia ideologica del film del 2012, la serie ampli la visuale della differenza di appartenenza a un distintivo, non rendendo tutti i poliziotti dei camerati, ma mettendone in discussione i principi e le azioni direttamente dall’interno della caserma. 

ACAB - La serie racconta del battaglione dell’agente Mazinga, impersonato sempre da Marco Giallini e presente anche nella pellicola di Sollima (qui produttore esecutivo) seppur in un ruolo uguale-ma-diverso, e delle divergenze col loro nuovo capo Michele, interpretato da Adriano Giannini. Stessa divisa, due modi di pensare differenti: da una parte la componente solidale e protettiva di un distintivo che, se indossato, rende tutti fratelli, dall’altra una mentalità riformista che non asseconda per forza il dover far parte di un branco e non accetta le manganellate, gli spintoni e le aggressioni gratuite, men che meno se taciute.  Rispetto al film del 2012 c’è quindi uno spiraglio in cui lo spettatore può provare a rifugiarsi, non come nell’incontro con l’oscurità degli animi dei protagonisti che affiancavano il “vecchio” Giallini al cinema (Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Domenico Diele), all’ombra della tragedia dei fatti della scuola Diaz. Una violenza, nel caso del film, alimentata da altra violenza. Due identiche facce dell’identica medaglia che si fronteggiavano seguendo ognuno una fede sbagliata, pur aderendo alla stessa radice. Poliziotti, criminali, violenti, razzisti, ultras, fascisti. Tutti fatti della medesima sostanza a differenza dell’opposizione incorporata nella serie dal personaggio di Giannini, costretto sul terreno del confronto con due classici, ma incisivi cliché. Prima di tutto la retorica di una città come Roma che non lascia alcuno scampo, metafora di una legione di cui o accetti di fare parte stando alle sue regole o è meglio che te ne torni da dove sei venuto. Dall’altra l’etichetta di “infame” che classifica l’uomo col suo nuovo incarico nella capitale, ostacolato dai sottoposti che, facendo gruppo, cercano di metterlo in un angolo. 

Pratiche che i poliziotti di ACAB esercitano ogni qualvolta li aggradi, come vediamo nella prima puntata: messi tutti insieme gli sfollagente in una vasca da bagno, gli oggetti vengono lavati con la candeggina per far sparire qualsiasi traccia del loro coinvolgimento negli accadimenti al centro della narrazione consumati in Val di Susa. Un sodalizio di cui entra a far parte, in occasione della serie, anche una donna agente di polizia, a cui presta il volto Valentina Bellè. La dimostrazione di come siano cambiati i tempi rispetto all’uscita del film, anche se per il resto tutto sembra essere rimasto lo stesso. Più torbida della sorella seriale Suburra, affetta da superflue lungaggini che ne depotenziano il ritmo stringente e concitato, ACAB - La serie cerca l’effetto Antidisturbios: Unità Antisommossa di Rodrigo Sorogoyen e trova una commistione tra prodotto di buona qualità e accessibilità al largo pubblico in un bacino ideale per una simile fusione come la piattaforma di Netflix. La messa in discussione di coloro che si sentono al di sopra della legge, quando comincia a sgretolarsi la silenziosa sintonia tra potere e controllo. Il lottare contro la parte peggiore di noi, dovendo decidere infine se sconfiggerla o abbracciarla.