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Il 2024 è stato l'anno in cui i meme ci hanno reso stupidi?

Non ha caso si parla solo di "brain-rot"

Il 2024 è stato l'anno in cui i meme ci hanno reso stupidi? Non ha caso si parla solo di brain-rot

Dopo oltre 15 anni dalla nascita dell’internet come lo conosciamo, ormai tutti sanno fare meme (o almeno pensano di saperlo fare). Sarà stata la semplificazione della comunicazione visiva portata avanti dal branding – dove immagini e battute veloci sono diventate l’essenza – o il fatto che anche i boomer passano le giornate a scrollare TikTok, ma nel 2024 l’ironia si è imposta come linguaggio universale. Persino i capi di stato, che fino a pochi anni fa arrancavano con foto ingessate e messaggi istituzionali, ora cavalcano l’onda dell’umorismo per raggiungere elettori e consensi. La campagna elettorale brat di Kamala Harris ha costruito una narrativa pop e ironica, dimostrando che meme e politica non sono più mondi distanti. Lo stesso ha fatto il Partito Democratico italiano, scegliendo freddure, riferimenti virali e clip ad alto tasso di condivisione per conquistare la Gen Z. E se persino Saturday Night Live, dopo anni di anonimato, è tornato a essere rilevante, il merito è proprio di questa nuova ossessione per i contenuti satirici che si consumano in loop sui social. I meme non sono più una sottocultura, ma il cuore pulsante della comunicazione mainstream. Sono il modo più efficace per parlare a tutti e farlo in pochi secondi. Ma questa rivoluzione ha anche il suo lato oscuro: come evidenziato dall’artista statunitense Ethel Cain in un suo essay riguardo le elezioni americane, nel 2024 è nata l’“epidemia di ironia”, un fenomeno che porta sempre di più la popolazione dell’internet a prendere tutto poco sul serio. 

L’“epidemia di ironia” è ormai un fenomeno globale, al punto che l’Oxford Dictionary ha scelto “brain-rot” come parola dell’anno. Questo termine descrive perfettamente la sensazione di stallo cognitivo generata da contenuti semplici, veloci, a bassa qualità, creati per dare una scarica immediata di dopamina. Con l’internet trasformato in un flusso continuo di meme e battute, il pensiero critico rischia di venire sostituito dalla risata facile, dal contenuto mordi e fuggi. È come se l’ironia, da mezzo per comprendere il mondo, fosse diventata una maschera per evitare di affrontarlo davvero. Piattaforme come Letterboxd, un tempo rifugio per discussioni autentiche, oggi rispecchiano perfettamente questa deriva. Recensioni ironiche e battute che riducono pellicole complesse a meme virali sono diventate la norma, ribaltando completamente lo scopo originario dell’app, non si parla più di cinema, si cercano i like. Questo cambio di rotta non è isolato: riflette il modo in cui il web premia la viralità e il contenuto istantaneo a scapito della riflessione.

@wordsbykristin #greenscreen ethel cain’s latest post about joking and the “irony epidemic” in music #singersongwriter #musicbusiness #ethelcain original sound - Kristin Robinson - Billboard

Il legame tra meme e politica è forse l’esempio più evidente di come l’ironia sia stata fagocitata dal populismo contemporaneo. L’uso dell’ironia politica ha certo avvicinato i giovani al dibattito pubblico, ma a che prezzo? L’ossessione per la viralità rischia di trasformare ogni messaggio politico in una competizione per il contenuto più condiviso, non necessariamente il più significativo. Una dinamica che si lega a una tendenza pericolosa: più i messaggi diventano semplici, più le posizioni si esasperano. Ironia e sarcasmo funzionano benissimo per rafforzare una visione, ma raramente creano un terreno per il confronto ed il risultato è un dialogo sociale sempre più polarizzato, dove si sceglie di ridere di chi la pensa diversamente piuttosto che provare a capirlo, basti spendere un paio di minuti sull’X di Elon Musk. Ma dietro la leggerezza si nasconde un rischio: perdere la capacità di discutere seriamente, di analizzare i problemi per quello che sono. La parola “brain-rot” non è solo una moda linguistica, ma un simbolo di come la comunicazione online stia cambiando il nostro modo di pensare. Se l'internet con il caso di Luigi Mangione è persino arrivato a fare di un presunto omicida un fenomeno virale incomparabile, ed ogni giorno del press-day di Wicked era come Natale per i netizen, forse davvero lo screen-time sta alterando il naturale andamento del pensiero critico. Riusciremo a tornare a un equilibrio, dove l’ironia non soffochi la complessità e dove la risata non diventi l’unica risposta possibile?